di GIAMPIERO GRAMAGLIA –
Quest’anno, Media Duemila festeggia i trent’anni: una bella età, per una rivista pubblicata, per la prima volta, nel settembre 1983 con l’obiettivo di esplorare un futuro che, intanto, è arrivato ed è probabilmente andato persino al di là dei confini della ‘grande mutazione’ che il fondatore e per 25 anni, fino alla sua scomparsa, nell’autunno 2008, direttore della rivista Giovanni Giovannini aveva intravisto.
Media Duemila, che aveva nel titolo un orizzonte limitato al XX Secolo, ma che ha già dimostrato di potere sopravvivere nel XXI Secolo, nasce da un’intuizione di Giovannini, giornalista, inviato e vice-direttore de ‘La Stampa’, dopo essere stato soldato e internato nella Seconda Guerra Mondiale. Nella sua ‘seconda vita’ professionale, proprio a partire dai primi Anni Ottanta, Giovannini fu poi presidente della Fieg e dell’Ansa, ma restò sempre giornalista. E, da giornalista, inventò Media Duemila: una rivista che allora non c’era, per anticipare ed esplorare, appunto, la ‘grande mutazione’, mentre, poi, molte ne sono nate, nella sua scia, magari più tecniche e dettagliate, ma meno ‘visionarie’.
Trent’anni fa -ma la distanza, in termini informatici, è siderale-, i computer c’erano, ma, almeno in Italia, stavano appena entrando nei media tra diffidenze e resistenze imprenditoriali e sindacali; internet ancora non c’era, cioè c’era magari in nuce ma tutti, o quasi, lo ignoravano; le mail non partivano ancora, i social media nessuno li immaginava neppure; il videotel e il televideo erano la frontiera più avanzata dell’ ‘era elettronica’ e l’Europa, che era ancora Comunità e sarebbe diventata Unione solo dieci anni più tardi, s’apprestava a lanciare Esprit, il primo programma di stimolo dell’industria e della ricerca europee verso la ‘società dell’informazione’.
Media Duemila nasceva allora. Sulla locandina del primo numero, la lista dei componenti di un Comitato di redazione di qualità, che è sempre rimasto una caratteristica della rivista. Dal sommario, traspare un disegno d’internazionalizzazione che Giovannini aveva molto chiaro: la grande mutazione non poteva essere raccontata dall’Italia, o almeno solo dall’Italia, che non ne era allora, e non ne è oggi, a parte isole d’eccellenza, la frontiera.
Ecco allora corrispondenza dall’America e dal Giappone, da Londra, Parigi –addirittura un’intervista a Jean-Jacques Servan Schreiber, che aveva da poco scritto Le défi mondial-, Bruxelles e altri luoghi ancora; e la spiegazione di quell’allora nuovo prodotto televisivo che era il televideo, di cui scriveva Massimo Fichera. In calce firme di colleghi già affermati che di Giovannini erano amici ed accettarono di essere complici in quest’avventura e firme di colleghi allora giovani che Giovannini ‘scoprì’ e valorizzò con Media Duemila. E, in regia, Filiberto Dani, che, fino alla sua scomparsa, fu il prezioso caporedattore.
A scorrere il primo numero, a leggere oggi quei pezzi, si ha la chiara percezione che forse nessuno, a parte Giovannini e certamente Servan Schreiber, aveva chiara la direzione e l’intensità della mutazione che ci accingevamo a vivere e che provavamo a raccontare, spesso senza capire bene –era certo il mio caso- quanto scrivevo di quei programmi criptici e di quelle novità ancora potenziali e appena intraviste.
Trent’anni sono tanti. Ovviamente, non tutti i protagonisti del primo numero sono rimasti partecipi del progetto e dell’avventura. Ma ad alcuni di quelli che firmarono il primo numero e che sono tuttora attivi sulla scena professionale, come Piero Bianucci, Ennio Caretto, Cesare De Carlo, Vittorio Zucconi, Media Duemila ha chiesto di festeggiare con loro pezzi, nel corso dell’anno, il trentesimo anniversario.
Quanto siamo sorpresi che la ‘grande mutazione’ sia arrivata dov’è arrivata?, e quanto saremo ancora sorpresi nello scoprire, numero dopo numero di Media Duemila, dove arriverà? Una sorpresa, se vogliamo, è anche che Media Duemila, trent’anni dopo, sia sempre qui a raccontarla. E voglia continuare a farlo, sulla carta e –adesso che si può- online.
Giampiero Gramaglia