di MARIA PIA ROSSIGNAUD –


Mario Alì Direttore Generale per l’Internazionalizzazione della Ricerca spiega a Media Duemila come è possibile ricominciare a crescere e produrre puntando sul capital immateriale.

Un’antica passione ereditata dal professor Antonio Ruberti. Rettore, Ministro dell’Università e della Ricerca, per la prima volta riunite in un solo Ministero dedicato all’alta formazione e alla ricerca. Anche commissario a Bruxelles sempre per università e ricerca. Ci ha legato una convinzione comune: la globalizzazione o mondializzazione non riguarda solo ed esclusivamente lo scambio di merci e materiali, ma la crescita dell’individuo e delle sue qualità. L’unico modo per aver accesso ai grandi progetti è promuovere la conoscenza. Non sempre è così, purtroppo. La moneta unica, l’Europa sono ancora lontani dal promuovere il capitale umano, quale bene più prezioso in qualsiasi società. La finanza non è tutto. Ruberti, prima, ed oggi io, siamo dell’avviso che il capitale immateriale, ossia le conoscenze e le competenze,  sono la vera chiave di volta. Sono la nuova ricchezza di ogni nazione, senza la quale non c’è alcuna possibilità di crescita.

Con Derrick de Kerckhove stiamo lavorando al concetto di identità digitale, che ben si coniuga con quello che lei sta dicendo, perché questa identità digitale è trasversale e quindi implica una regola globale di comportamento. Su questo, per esempio, noi immaginiamo di promuovere un percorso anche nelle scuole. L’identità religiosa nelle scuole è molto sentita tanto che si insegna la materia. Il mondo  digitale non è solo tecnologia…

Noi italiani abbiamo tantissime idee, troppo spesso non riusciamo a realizzarle perché non si trova il budget o non si trova apertura mentale o coscienza del problema. Credo che anche in questo caso il tema del capitale immateriale sia centrale, riguarda la crescita qualitativa di ciascun essere umano. Amo il famoso motto: se dai una moneta a me e io ne do una a te, ciascuno rimane con una sola moneta. Se due persone si scambiano un’idea, ciascuno avrà due idee. Questo esempio serve per comprendere la forza delle idee. Una forza che riesce a creare sviluppo, a produrre incrementi quantitativi veri e propri. Ruberti non aveva paura della globalizzazione, desiderava affrontarla in modo che mercati ed individui crescessero parallelamente. Nel nostro sistema Paese c’è stata forse un po’ di disattenzione in questo senso, tant’è che oggi siamo penalizzati. I dati danno un passaggio dall’1.5% del prodotto interno lordo in ricerca all’1.1; dal quinto/sesto posto tra i Paesi più industrializzati del mondo, siamo passati al ventitreesimo/ventiquattresimo.

Perché siamo arrivati a questo punto?

L’attenzione della politica dovrebbe indirizzarsi allo stravolgimento completo e mondiale in atto: paesi che fino a 25-30 anni fa erano quelli non industrializzati sono all’avanguardia. Mi riferisco a Cina, India, Corea del Sud, Brasile, Turchia. Stati che stanno continuando a crescere mentre l’Europa,  che va non a due velocità ma a molte più velocità, è ferma. La domanda che ci dovremmo porre è: come possiamo fermare questo Tsunami? Come possiamo diventare competitivi rispetto a questa grande massa di capitale immateriale cresciuto durante questi anni? L’unica possibilità è di cominciare oggi ad investire maggiormente in capitale immateriale. E’ chiaro che intendo la scuola, l’università, la ricerca. Dobbiamo spingere la crescita e non pensare che il futuro non interessa, perché vecchi. Dobbiamo considerare che vedremo i primi risultati di questo sforzo tra quindici o venti anni. L’importante è cominciare, altrimenti lo scatto non avverrà mai. Questo è il rischio che stiamo correndo.

Quali i temi da non trascurare?

Abbiamo di fronte circa 3 miliardi di persone in movimento verso i paesi occidentali, da quelli che un tempo erano considerati i Paesi in ritardo di sviluppo ed ora al contrario sono le economie emergenti del pianeta. E nel frattempo noi qui aspettiamo di capire come sviluppare la crescita, come aggregare l’innovazione e come andare verso lo sviluppo. Aggiungo ancora che si parla molto di crescita, senza capire come la si può anche promuovere. L’attuale Governo ha fatto tagli che ci riportano in linea con i parametri europei – giustissimo – ma ora è tempo di pensare anche alla crescita, che a mio avviso è fondamentale. Il muro che si è creato fra la stasi dell’economia e la crescita va assolutamente abbattuto, ma come? Questo è il tema dei temi.


Il nostro sistema Paese non riesce a trovare una strada…

Il Paese, almeno per quanto riguarda il tema dell’università e della ricerca, dovrebbe avere una funzione di propulsione, con il fine ultimo di stimolare la crescita economica, e io credo si possa fare anche dando maggiore attenzione ai programmi internazionali ed europei di ricerca: Dico questo perché la Comunità europea con la recente comunicazione “Innovation Union” ha dimostrato che se l’Europa nel suo complesso riuscisse a raggiungere il 3% del prodotto interno lordo in ricerca, avremmo come possibile ricaduta un aumento di posti di lavoro di circa 3 milioni e 700 mila unità lavorative, di cui un milione nel solo campo dei servizi innovativi e della ricerca.

Con la cultura si mangia!

Màire Geoghegan Quinn, commissario europeo per la ricerca ha recentemente asserito che alta formazione e ricerca equivalgono a innovazione, sviluppo, crescita, occupazione. Questo però vuol dire che, al contrario, senza formazione e ricerca ci sono scarse possibilità di creare nuovi posti di lavoro.  Oltre al conseguimento del pareggio di bilancio, finalità sicuramente importante, non dobbiamo dimenticare anche la strategia Europa 2020 che è altrettanto fondamentale. Il “venti-venti” non è un numero di protocollo della Commissione europea, ma l’anno in cui dovremmo aver raggiunto certi risultati in ambito europeo. Guarda caso, tutti i risultati che fanno parte della strategia – e sono 5 in particolar modo – riguardano il capitale immateriale. Si riferiscono infatti al numero degli scolari (quanti e perché abbandonano la scuola), al numero dei laureati, al prodotto interno lordo in ricerca. Quest’ultimo dovrà raggiungere il 3%,. L’Europa dice che per poter fare passi in  avanti c’è bisogno di far crescere la qualità del sistema e dell’individuo. Come possiamo intervenire? Qualcuno si sta accorgendo che i finanziamenti per università e ricerca vanno  diminuendo a livello nazionale ma aumentano costantemente a livello internazionale ed europeo. Siamo passati dal sesto programma quadro di ricerca (19,5 miliardi), al settimo programma quadro (circa 53 miliardi), e ne avremo  ben 87 miliardi nel prossimo Horizon 2020.

Di fondi europei in Italia ne arrivano sempre pochissimi, perché non riusciamo a prenderli?

Non solo non riusciamo a prendere nuovi fondi europei, in realtà ne perdiamo anche! I nostri giovani vanno utilizzati anche per attività europee ed internazionali, questo è importante, fondamentale! Grazie a una battaglia che abbiamo fatto come Ministero e come Direzione Generale per l’Internazionalizzazione della Ricerca, nel programma che partirà nel 2014 l’Italia avrà il coordinamento generale europeo di tutta la parte di Cultural Heritage. Se si fanno le giuste proporzioni e si pensa che su 87 miliardi ben 36 riguardano questo settore, e se dall’altro canto si pensa al patrimonio culturale trascurato per mancanza di finanziamenti, si capisce che ampio spazio per migliorare. Dobbiamo forse abbandonare un certo atteggiamento individualista e lavorare sulla coesione, scoraggiando le contrapposizioni tra istituzioni pubbliche e private. Creare delle roadmap per priorità nazionali, da presentare a Bruxelles, significa influenzare le prossime call. Non mi sembra poco. Immaginiamo quanti giovani possono essere coinvolti in un processo del genere!

Qualche elemento di fiducia?

I nostri media utilizzano molto le notizie di tipo negativo e creano una depressione totale nel sistema Paese ed i giovani  si immergono  in Facebook. In effetti  il 99% delle notizie che leggiamo sui giornali sono di origine negativa. Si potrebbe quasi dire che l’unica parte positiva sono i necrologi, perché “ci si toglie di mezzo, finiscono le preoccupazioni”. Eppure grazie ad un lavoro serio e continuo si possono ottenere buoni risultati anche in quelle classifiche internazionali che cosi dannose sono a volte per la nostra credibilità finanziaria. Da circa 3 anni stiamo collaborando in maniera assidua con l’OCSE per cercare di dare una reale fotografia del Paese, ristabilendo con questo fondamentale organismo di valutazione economica un clima di ritrovata fiducia, ed ora i primi risultati si cominciano a vedere. Lo scorso 7 dicembre Dominique Guellec, il Senjor Economist responsabile del rapporto su scienza tecnologia e industria 2012 dell’OCSE, che ricordo è uno dei rapporti fondamentali a livello internazionale in tali settori, è venuto a presentare il suo lavoro a Roma all’Accademia dei Lincei, di concerto con la mia Direzione Generale del MIUR. La situazione non è certo rosea, ma grazie a tale proficua collaborazione è emerso finalmente che vi sono anche molte cose positive in Italia, in settori fondamentali per lo sviluppo, e questo è importante per ridare fiducia al Paese ed aiutarlo a ripartire, da quella grande economia globale che è l’Italia.
Con l’OCSE abbiamo tra l’altro iniziato un interessante percorso di studio legato alla tematica della ageing society, così cruciale per un Paese come il nostro che si trova al 4° posto tra i paesi più  “anziani” al mondo. In tale logica, e per ristabilire il corretto approccio nel rapporto tra le generazioni, insieme alla dr.ssa Elettra Ronchi dell’OCSE, ci concentreremo in particolare sullo studio delle persone anziane come risorsa sociale e non come zavorra, analizzando la cosiddetta silver economy, sia in relazione agli aspetti tecnologici, sia alle tematiche urbane.
Io quindi credo in conclusione che parlare un po’ più delle prospettive reali del Paese, dare speranza, questo è aiutare concretamente. Perché in ultima analisi i nostri giovani, i nostri figli sono i nostri veri tesori!

Maria Pia Rossignaud

media2000@tin.it

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