Parla Wissam Chbat, consigliere del ministero dell’Energia libanese.

Una disputa che può scatenare altri conflitti in una regione già segnata per decenni dalla guerra o un’opportunità per avviare una nuova era di cooperazione a beneficio dell’intera regione? La scoperta negli ultimi anni di ingenti riserve di gas naturale nell’est del Mediterraneo, su cui si affacciano Israele, Libano, Siria e Cipro, porta con sé le potenzialità per entrambi questi sviluppi. Ma per ora le tensioni restano confinate alle schermaglie retoriche, mentre tutti si concentrano sulle azioni concrete per preparare il terreno allo sfruttamento di queste insperate nuove risorse.
Israele prevede di cominciare già nel 2013 le estrazioni dal giacimento di Tamar, un centinaio di chilometri al largo di Haifa. Cipro ha chiuso nel maggio scorso il secondo Licensing Round per l’assegnazione di contratti a compagnie internazionali. Il Libano prepara il primo Licensing Round, dopo aver bruciato negli ultimi due anni le tappe per dotarsi degli strumenti legislativi e fare avanzare, in misura decisiva, i rilevamenti geologici nei 22.700 chilometri quadrati al largo delle sue coste. A Beirut si stanno anche finalizzando le procedure per la nomina della Petroleum Administration, un consiglio formato da sei membri, con un mandato di sei anni rinnovabile, che avrà il compito di presentare al ministero dell’Energia e delle Acque le raccomandazioni tecniche e commerciali relative all’assegnazione di contratti da parte del consiglio dei ministri. 
Uno studio della US Geological Survey del 2010 nel Bacino del Levante, quello appunto delle acque orientali del Mediterraneo, ha stimato la presenza di 122.000 miliardi di piedi cubi (3.500 miliardi di metri cubi) di gas estraibile e circa 1,7 miliardi di barili di petrolio. Una fortuna nascosta sotto le acque di Paesi storicamente affamati di energia. Alla scoperta del giacimento di Tamar nel 2009, con riserve stimate di 225 miliardi di metri cubi di gas naturale, ha fatto seguito nel 2010 quella dell’altro giacimento israeliano, Leviathan, con riserve di 453 miliardi di metri cubi e, nel 2011, quello cipriota di Aphrodite, con riserve di 255 miliardi di metri cubi. Tutte ad opera della compagnia americana Noble Energy.
Niente di strano se l’avvio delle operazioni, da parte di Israele, ha suscitato reazioni negative in Libano, in particolare del movimento sciita Hezbollah che, nell’estate del 2006, ha combattuto con lo Stato ebraico una sanguinosa guerra durata 33 giorni. Israele, di conseguenza, ha risposto ipotizzando di utilizzare anche i suoi droni (gli aerei senza pilota) a difesa dei propri giacimenti. “Le divergenze tra Libano e Israele riguardano un’area di circa 860 chilometri quadrati, al confine tra la Zona di interesse economico esclusivo dichiarata da Israele e quella ratificata dal Parlamento libanese, e approvata dal governo di Beirut”, spiega Wissam Chbat, consigliere del ministro dell’Energia libanese Gebran Bassil per il settore upstream e uno dei membri di una task force di otto esperti dei ministeri dell’Energia, delle Finanze e dell’Ambiente che negli ultimi due anni, insieme a due avvocati, è stata incaricata di preparare il terreno per la concessione di licenze per l’esplorazione nelle acque libanesi. “In realtà però – aggiunge – i giacimenti che Israele intende sfruttare si trovano in una parte della Zona israeliana su cui il nostro governo non ha rivendicazioni. Tamar e Leviathan si trovano rispettivamente a 38 chilometri e a 46 chilometri a sud del confine, così come delineato dalle autorità libanesi. Ora stiamo pianificando la mappatura geofisica in 3D, in particolare delle nostre aree marittime nel sud, quelle più vicine alle Zone economiche israeliana e cipriota. Ciò è importante dal punto di vista geo-strategico, perché qui in futuro potrebbero sorgere delle dispute”.

A che punto è il lavoro di mappatura geofisica?

Negli ultimi due anni, da quando è stata approvata la legge 132 del 2010, che con i relativi decreti ha fornito un quadro normativo complessivo dal punto di vista legale, finanziario, tecnico e ambientale, abbiamo aumentato da 8.000 a 14.000 chilometri lineari la copertura della superficie in 2D e da 2.800 a 7.000 chilometri quella in 3D. Passi avanti molto importanti, se si pensa che per le mappature precedenti era stato necessario un intero decennio, a partire dal 2000. Stiamo ora lavorando ai rilevamenti in 3D di altri 3.000 chilometri quadrati, compresa una vasta area nel settore sud-ovest, al confine con le zone israeliana e cipriota, affidata alla compagnia Spectrum. I dati così raccolti devono essere analizzati e interpretati. L’interpretazione dei dati in 2D e 3D è condotta dal gruppo di consulting francese Beicip-Franlab, che nell’ottobre 2011 ha concluso l’interpretazione delle linee base di 10.000 chilometri in 2D e sta ora lavorando sui dati degli studi in 3D. L’analisi su un’area di 1.500 chilometri quadrati nell’area sud-est delle nostre acque è stata completata nell’aprile scorso. Ora stanno lavorando su un’area di 600 chilometri quadrati nel settore nord-ovest. Il nostro obiettivo è di arrivare quest’anno all’acquisizione, in 3D, di un’area di 10.000 chilometri quadrati, su un totale di 22.700 chilometri quadrati che costituiscono la nostra Zona economica di interesse esclusivo, una delle più alte coperture al mondo nella fase precedente ai Licensing Rounds. Normalmente queste attività sono condotte dalle compagnie, ma questo le aiuterà a risparmiare fino a due anni nella fase di esplorazione e arrivare prima alla fase di produzione.

Quali sono finora i risultati?

Gli studi hanno individuato, in molti punti della Zona economica esclusiva libanese, strutture chiuse che potenzialmente racchiudono idrocarburi. Ecco perché abbiamo accelerato particolarmente le nostre attività di acquisizione e interpretazione in 3D a cominciare dall’area meridionale della nostra Zona. Il nostro studio di modello del bacino (Basin Modeling Study) ha mostrato che più vicino alla costa, verso est, e sulla terraferma c’è più probabilità di trovare petrolio che nelle acque più profonde, verso ovest. Perforazioni furono condotte tra il 1947 e il 1967 nella provincia di Tripoli, nel nord del Paese, e lungo la Valle della Bekaa fino al sud, dove un pozzo sperimentale arrivò a produrre 300 barili al giorno nel 1953. Non lontano da lì, in Galilea, gli israeliani hanno trovato del greggio qualche mese fa. Questa estate la Spectrum comincerà uno studio geofisico in 2D sulla nostra terraferma.

Come avete valutato i rischi per l’ambiente in un Paese come il Libano che ha, nel turismo, una delle sue prime fonti di ricchezza?

Sulla gestione ambientale, la legge del 2010 è severa. La normativa prevedeva uno studio di valutazione ambientale, lo Strategic Environment Assessment (Sea), completato in sei mesi dalla compagnia britannica Rps Energy. Il Sea fotografa la situazione esistente, determina quali dati devono essere usati per la valutazione dell’impatto ambientale, quali procedure seguire in caso di incidente e per preparare i piani d’emergenza. Seguendo queste istruzioni, le compagnie che si aggiudicheranno i contratti dovranno preparare gli studi di impatto ambientale delle attività previste, gli Environment Impact Assessment (Eia). Secondo il Sea, la zona di mare fino a dieci chilometri dalla costa è la più vulnerabile e qui nessuna attività può essere autorizzata prima che nuovi dati vengano acquisiti. In generale, comunque, i precedenti in materia di incidenti delle compagnie e il loro modo di reagire alle emergenze saranno i criteri principali per lo screening iniziale nel processo di assegnazione dei contratti, insieme con le capacità tecniche. È per questo che ci poniamo l’obiettivo di attirare qui da noi grandi compagnie, e non quelle di dimensioni limitate.

Alberto Zanconato
media2000@tin.it

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