Il rapporto tra consumatore e azienda oggi è profondamente cambiato. E questo è un dato di fatto. Per costruire una fidelizzazione non è più possibile affidarsi ad una comunicazione verticale, indirizzata ai singoli clienti, ma bisogna essere presenti in modo capillare e virale sui social network per creare un’interazione continua e costruttiva con l’intero target della clientela (anche, anzi soprattutto quella potenziale). Oggi conta molto di più il parere di un consumatore all’interno di un social network o di un blog che una campagna di comunicazione ben fatta. E questo è valido dall’azienda che vende il prodotto di nicchia fino a quella che offre servizi di base. Un altro dato di fatto è che il consumatore italiano, seppur in ritardo rispetto a quello europeo, ha iniziato a fare acquisti su internet. Qualche giorno fa dal Forum di Netcomm dedicato all’e-commerce sono emersi dati interessanti, soprattutto sulla velocità con cui il settore sta crescendo in Italia. Dati che sono avvalorati dal grande successo, anche nel nostro Paese, dei siti di shopping e social shopping online.
Il riferimento a Groupon e simili è d’obbligo: da noi il boom dei gruppi d’acquisto online è scoppiato nel 2010-2011, quando Groupon era già una potenza tale da quotarsi in borsa. Oltre a proporre al consumatore l’acquisto di qualunque cosa a portata di click (e questo l’aveva già fatto Ebay), il punto di forza dei gruppi d’acquisto online è stata l’applicazione sul web del concetto “più siamo meno paghiamo”. Il predecessore Ebay si era limitato a proporre un’asta virtuale di oggetti difficilmente reperibili in giro ad un prezzo relativamente basso; i gruppi d’acquisto online sono andati molto oltre innescando il fenomeno dell’acquisto di gruppo compulsivo: dalla cena esclusiva nell’hotel di lusso al trattamento odontoiatrico super scontato si fa a gara a chi riesce ad accaparrarsi il coupon più accattivante.
Proprio sulle offerte di prestazioni sanitarie si è consumata una lotta, finita sul tavolo dell’Antitrust, tra Groupon e l’Ordine dei medici: quest’ultimo ha mosso accuse pesanti sulla sicurezza dei servizi offerti, sulla competenza del personale utilizzato da Groupon e sull’idea di svendita della salute alla base di questo nuovo modello di business. Dal canto suo Groupon ha denunciato la campagna mediatica di boicottaggio lanciata dai medici, basata su ricostruzioni false e motivazioni pretestuose, che avevano come unico obiettivo quello di ostacolare una rivoluzione commerciale ormai in atto, in difesa degli interessi di categoria. Secondo Groupon, infatti, i medici stessi continuano a difendere tariffari minimi abrogati dal Decreto Bersani (che poi non è la tariffa minima a garantire la qualità della prestazione). Il caso è stato emblematico perché ha messo uno di fronte all’altro due modelli differenti di risposta ai bisogni dei consumatore. E in questo caso forse la ragione è andata più dalla parte di Groupon che ha garantito la professionalità e il rispetto dei canoni deontologici da parte dei singoli professionisti; anche le offerte, prima di essere pubblicate sul sito di social shopping, vengono sottoposte a rigidi iter qualitativi che verificano la qualità della struttura e il valore dei servizi proposti.
Ma non è tutto oro quello che luccica e presto sono emerse diverse problematiche legate all’acquisto dei coupon. Le Associazioni dei consumatori se ne sono occupate raccogliendo e dando voce a tutte le lamentele e i disagi dei consumatori: dall’overbooking all’impossibilità di fare reclamo o di avere un rimborso. Eclatante un caso di overbooking, finito anche in un servizio di Striscia la notizia, che ha visto quasi un migliaio di consumatori impossibilitati ad utilizzare il proprio coupon poiché Groupon ne aveva venduti oltre 900 a fronte di una cinquantina concordati con l’esercente. Un meccanismo che è sfuggito di mano o che forse non si è voluto fermare in tempo: alla fine comunque Groupon ci ha guadagnato, riscuotendo una somma alquanto elevata. Alcune Associazioni hanno condotto diverse inchieste sui siti di gruppi d’acquisto più famosi comprando coupon e verificando la qualità del servizio prestato, la correttezza dello sconto, la disponibilità del sito a risarcire in caso di problemi o di annullare l’acquisto dopo la scadenza del periodo di recesso. I risultati sono stati abbastanza deludenti: il risparmio per i consumatori è quasi sempre inferiore a quanto promesso, in molti casi i prezzi di partenza sono gonfiati per far apparire più roboanti gli sconti. Non è stato raro avere problemi di non corrispondenza tra il coupon e il servizio ricevuto: in questi casi quasi mai il sito si è assunto la responsabilità, provvedendo a qualche forma di risarcimento. L’Antitrust è intervenuta diverse volte, in particolare contro Groupon e Groupalia, che hanno dovuto adottare alcuni impegni a tutela dei diritti dei consumatori.
Ma in rete, si sa, ogni novità diventa subito vecchia e dopo i gruppi d’acquisto online si sono diffusi altri esperimenti: il riferimento è a piattaforme come Tripadvisor e Booking che sono diventati dei veri e propri luoghi dove avvengono, in tempo reale, le scelte dei consumatori. E sappiamo tutti che nel momento stesso in cui il consumatore sta scegliendo cosa acquistare (o in quale ristorante andare), è facile influenzarlo. E queste piattaforme hanno il potere di farlo. Facciamo l’esempio di Booking ed Expedia che sono tra i più famosi siti di offerte di voli aerei e alberghi, delle vere e proprie agenzie turistiche online: l’utente deve solo inserire la destinazione in cui vuole passare le vacanze e il periodo di riferimento; in tempo reale gli vengono proposte una serie di combinazioni, corredate da foto, descrizioni dettagliate delle strutture e valutazioni dei clienti. In alcuni casi per prenotare bisogna pagare l’intera cifra, in altri basta semplicemente dare i propri dati. Ma tutto questo ha dei limiti e proprio qualche giorno fa l’Antitrust ha acceso i riflettori su Booking ed Expedia per una possibile violazione di concorrenza. La segnalazione è partita da Federalberghi e denuncia sostanzialmente il fatto che gli albergatori non sono liberi di applicare al cliente che contatta direttamente loro (senza la mediazione di uno dei due siti) tariffe più basse di quelle concordate con Booking o Expedia. Come a dire: se volete comparire sulle nostre piattaforme (perché vi portiamo un mare di clienti) dovete assicurarci che il prezzo più basso sia quello che facciamo noi. L’Autorità ha avviato un’istruttoria per verificare se queste clausole contrattuali limitano la concorrenza nei servizi di prenotazione ostacolando la possibilità per i consumatori di trovare offerte migliori. Lo sapremo l’estate prossima, per ora non ci resta che fare molta attenzione quando cerchiamo soluzioni per le nostre vacanze.
Infine c’è il caso delle false recensioni su Tripadvisor, il famosissimo sito di recensioni scritte direttamente dai consumatori su hotel, ristoranti, soggiorni turistici. Anche in questo caso l’Antitrust ha avviato un’istruttoria per verificare se la società adotti delle misure per limitare il rischio di false recensioni che si configurerebbero come pratica commerciale sleale sia sotto il profilo informativo (diffusione di informazioni false e ingannevoli) che relativamente alle procedure di registrazione (per scrivere una recensione, infatti, basta dare una mail). A lamentarsi sono stati in tanti: dai consumatori ai proprietari di alberghi, ristoranti e altre strutture turistiche che denunciano recensioni poco limpide e casi di recensioni positive a pagamento. Spesso i giudizi non sono attendibili e lo si scopre soltanto andando sul posto. Questo, purtroppo, può ostacolare o agevolare questo o quel professionista alle spalle della buona fede del cliente. C’è poi un altro problema: non è chiaro agli occhi del consumatore la distinzione tra le informazioni rese da altri viaggiatori e quelle rese dalle strutture turistiche che usufruiscono di un servizio a pagamento che consente di registrare i “profili aziendali” sulla piattaforma. Ci sarebbe quindi un rapporto commerciale tra Tripadvisor e alcune strutture, a tutto vantaggio del loro “indice di popolarità” e posizionamento nel ranking delle strutture recensite. Infine, c’è il problema del “Certificato di Eccellenza”: come viene assegnato? Il meccanismo di generazione del “rating” o “indice di popolarità” è alquanto oscuro. Anche in questo caso non ci resta che affidarci al nostro senso critico e diffidare di alcune recensioni un po’ troppo ambigue (nel bene e nel male).
Antonella Giordano