Media Duemila ha sempre proposto concetti all’avanguardia. Infatti già in maggio 2014 ha parlato della Singularity University con Nicoletta Iacobacci che ha definito la sua esperienza qualcosa che le ha cambiato la vita. Adesso è ambasciatrice per l’università di Google in Svizzera. Parliamo spesso della sua esperienza e contiamo di partecipare anche noi ad una sessione di studio.
Su Media Duemila in aprile Nicoletta Iacobacci ha proposto un articolo sulla sua esperienza ed anche una storia su questo nuovo modo di studiare. Siamo stati i primi dunque a parlare di Singularity University, siamo ben contenti che il nostro premier Matteo Renzi ne parli mentre è in visita in USA. Di seguito riproponiamo l’articolo che la Iacobacci ha scritto.
“Ray Kurzweil è il direttore responsabile dell’ingegneria di Google, il fondatore della Singularity University e il “legittimo erede di Thomas Edison”. Qualche (giorno mese ieri?) ha affermato che intorno al 2029, i computer saranno in grado di capire quello che diciamo, impareranno dalle loro esperienze, faranno scherzi, racconteranno storie e saranno persino in grado di sedurre e amoreggiare; insomma saranno più intelligenti degli esseri umani.
Se si considera che, solo qualche anno fa, il telefono, la radio, il lettore musicale, la Tv e il computer pretendevano dispositivi separati spesso ingombranti ed oggi tutte queste applicazioni stanno nel palmo della mano in uno smartphone o un tablet, è evidente che l’evoluzione tecnologica è esponenziale e la nostra esperienza di progresso durante il 21esimo secolo sarà molto più estesa di 100 anni.
Secondo Kurzweil questo ci porterà alla Singolarità – il periodo storico futuro nel quale uomini e macchine saranno presumibilmente tutt’uno e l’innovazione tecnologica talmente rapida e il suo impatto così incisivo da provocare probabilmente uno strappo nel tessuto della storia dell’uomo.
Qualche mese fa ho deciso di andare a verificare di persona il concetto di crescita esponenziale delle tecnologie emergenti e mi sono iscritta all’Executive Program della Singularity University (SU). E ho seguito un corso di studi fondato proprio da Kurzweil e Peter Diamandis. La SU, ancorché uno dei centri di ricerca più innovativi del pianeta, non può essere riconosciuta dalle autorità americane come istituto accademico in quanto cambia il programma di studi ogni tre mesi per stare al passo con l’evoluzione tecnologica.
SU è anche chiamata Sleepless University perché quando entri sei talmente sopraffatto dall’innovazione che ti dimentichi di dormire. È strategicamente ubicata nel cuore della Silicon Valley, tra la Carnegie Mellon University e gli headquarter di Google. E unanimemente considerata la fabbrica contemporanea del futuro.
Le discipline sulle quali la SU si focalizza sono molteplici: biotecnologia e bioinformatica, nanotecnologia, medicina e neuroscienze; intelligenza artificiale, robotica, calcolo cognitivo, genetica, sistemi ecologici, energia, spazio, scienze fisiche, finanza, nuova imprenditorialità, ed etica.
Tutte le discipline sono presentate in maniera convergente e orizzontale per definire un ecosistema affascinante e allo stesso tempo spaventoso. “Affascinante” perché si ha la presunzione di comprenderle tutte e di discuterne le possibili conseguenze; “spaventoso” perché si ha il sentore che queste tecnologie che crescono in maniera esponenziale non siano del tutto monitorate, né tantomeno regolate.
Per otto giorni sembra di vivere in una fantascienza ravvicinata: argomenti come il reverse engineering del cervello (per creare macchine con un’intelligenza cognitiva superiore a quella umana) o la medicina personalizzata e disponibile su dispositivi mobili come Scanadu, un piccolo scanner portatile che permette a chiunque di condurre su se stessi, sofisticati esami fisici – facilmente e in un attimo.
Il suo funzionamento è semplice. Si fa pratica separando il proprio DNA, costruendo piccoli robot, imparando a utilizzare la stampante 3D, analizzandone le profonde conseguenze che sarà in grado di generare. Una tecnologia del genere può avere effetti rivoluzionari sull’economia industriale.
Nell’Executive Program della Singularity University (SU) si discute di scansione del genoma al prezzo di 100 dollari, si pratica l’uso dei bitcoin (con un gruzzolo di valuta virtuale autentica da spendere e scambiare) e si analizza la robotica, oramai sempre più necessaria e invasiva. E si ipotizza un futuro straordinario, dove tutti i lavori noiosi saranno assorbiti dalla tecnologia, un futuro garantito da tempo e disponibilità illimitati per coltivare hobbies, passioni e intensi rapporti umani.
Robot che aiuteranno nelle tediose faccende domestiche; robot che assumeranno nuovi ruoli nelle case (ad esempio, con l’educazione, l’intrattenimento, e la compagnia), e robot utilizzati per assistere gli anziani.
Per quanto alcuni parlino di opinabilità e malinconia per l’assenza crescente d’interazione umana, il rapporto con le macchine è destinato a divenire sempre più solido. Lo dimostra l’ultimo Oscar per la sceneggiatura vinto dal film “Her” di Spike Jonze, che è riuscito a rappresentare in una quasi-normalità, l’innamoramento di una coppia non proprio normale, visto che lui ha un corpo e lei non è altro che un sistema operativo.
La verità è che la paura dell’uomo per le tecnologie è esponenziale forse anche per come i media continuano ad affrontare il problema dell’intelligenza artificiale. Invece di condividere innovazione, educare sui progressi tecnologici in maniera sensata, sviluppano storie e creano narrative che incutono paura, sgomento e rifiuto perché catturano più audience.
Allo stato attuale appare difficile che l’AI (artificial intelligence) riesca a superare l’essere biologico; è sicuro invece che avverrà un’autentica fusione tra umano e macchina; un uomo “aumentato”: più longevo, in perfetta forma fisica e più intelligente.
Il serio ostacolo da affrontare sarà a quel punto l’etica, già in difficoltà di fronte all’evoluzione tecnologica attuale. In un contesto da Far West, molte norme morali sembrano asincrone perché in ritardo rispetto al progresso tecnologico.
Un’ipotesi azzardata ma forse efficace è di costringere l’etica a fare un grande balzo in avanti, a superare la crescita rapida delle nuove tecnologie a trattare direttamente con la fantascienza, disciplina che ormai non riesce più a inventare futuri fantasiosi, ma che à costretta a costruire sulle innovazioni contemporanee.
Applicare l’etica alla fantascienza significa poter utilizzare il backcasting – definire un futuro desiderabile e procedendo al contrario per individuare, senza pressioni di crescita rapida, politiche e programmi che connetteranno il futuro al presente. E forse in questa maniera sarà possibile guidare il progresso tecnologico senza impedimenti o inutili ritardi.
Ogni settore sarà potenzialmente influenzato dalla convergenza tra scienza e tecnologia. Nel 2020 l’economia mondiale sarà arricchita da tre miliardi di nuovi utenti, che grazie ad apparecchiature mobili semplificate e sempre meno costose vivranno con /e nei media 24 ore su 24.
Secondo un nuovo studio pubblicato dalla Cisco, il traffico Internet mobile è cresciuto del 70% nel 2012 e si prevede che cresca ad un tasso annuo pari 66% fino al 2017; anno in cui il traffico Internet mobile supererà quello del traffico di rete fissa.
In particolare in Italia, sembra che nel 2014 si raggiunga la quota di 45 milioni di persone in possesso di un telefono cellulare intelligente; numero superiore a quello di chi possiede un computer, un laptop o un tablet.
Come stanno reagendo i broadcaster e i creatori di contenuti a questa rivoluzione in atto?
Viviamo in una società, dove le notizie accadono e sono distribuite simultaneamente. Esistiamo in un contesto culturale in cui, al fine di esercitare una capacità di attenzione sempre più volatile, i professionisti dei media, e i comunicatori in genere, confondono i valori etici di una corretta comunicazione con i mezzi per sedurre una audience sempre più difficile da catturare.
Il filosofo tedesco contemporaneo Mike Sandbothe codifica i media in tre gruppi distinti: sensory perceptions media, semiotic communication media and technical dissemination media. Sensory, come percezioni sensoriali che coinvolgono il tempo e i sensi; semiotic come linguaggio e quindi scrittura, musica, e immagini; per technical intende le tecnologie di broadcasting, il cinema e l’Internet.
Se questi tre gruppi mediatici distinti sono, fluidamente interconnessi e posizionati attraverso una giusta strategia di distribuzione di contenuti multipiattaforma, si ottiene quella narrazione non lineare o transmedia, quindi “partecipativa-pervasiva-personalizzata”, adatta a questo nostro periodo di continuo coinvolgimento con media.
Non c’è dubbio che la narrazione transmediale, essendo una conseguenza organica delle nuove tecnologie è, e sarà il futuro della comunicazione.
In un’epoca di narrative sempre più pervasive vivremo esperienze in cui, idealmente, ogni mezzo di comunicazione, a richiesta, sarà in grado di dare un proprio contributo unico allo svolgimento della storia, creando un contesto più profondo e una forma più sostenuta di coinvolgimento emotivo e intellettuale.
Se questi tre gruppi distinti di media sono interconnessi attraverso una “strategia non lineare e quindi transmediale, forniscono o possono fornire un’esperienza dinamica e coinvolgente che permette al fruitore di andare a fondo nella narrativa e di immedesimarsi nella storia stessa.
C’è anche il rovescio della medaglia perché più le storie sono pervasive e personalizzate e più è necessario prendere in considerazione nuovi valori etici per i media di oggi e in particolare per quelli di domani.
I confini tra una piattaforma e l’altra non sono più marcati: finzione e realtà sono mescolate e generano una nuova tipologia di storie che se utilizzate in maniera corretta, possono influenzare positivamente la nostra vita, ma se utilizzate in modo strategico (per ragioni economiche o di potere) possono produrre conseguenze negative e devastanti.
In una società in cui i bambini nascono con gli smartphone in mano e gli iPad nelle loro culle, il coding, linguaggio per programmare i computer, sta diventando la nuova alfabetizzazione.
Come dice Mitch Resnick del MIT Media Lab, il coding non è solo per i maghi del computer, dovrebbe essere utilizzato da chiunque.
Insegnare ai bambini il coding ha un valore inestimabile. Infatti, in questo modo non sono solo sono fruitori di nuovi media, ma sono anche abilitati a creare.
Il coding è un linguaggio che supera le barriere di luogo; coding può essere una lingua universale, non solo utile solo per governare i computer ma un tramite per una comunicazione globale e multimodale.
Sapere più lingue continuerà comunque ad essere importante per l’alfabetizzazione del ventunesimo secolo. Insieme al linguaggio parlato e scritto, programmare diventerà una realtà alla portata di molti; anche perché è l’unico linguaggio che permette l’interazione uomo-macchina; e quindi, anch’esso in crescita esponenziale.
Parafrasando William Gibson possiamo dire che il futuro della comunicazione è già qui, ma non è uniformemente distribuito. Una volta che il coding diventerà un’abitudine, la comunicazione multimediale diventerà la nostra routine quotidiana e acquisterà un’onnipresenza della quale difficilmente ci si potrà liberare”.