L’incredibile affluenza, l’attualità delle tematiche affrontate, il confronto costante, il carattere internazionale della manifestazione: chiari segnali della volontà degli operatori dell’informazione ad ogni livello di comprendere in quale direzione sta andando il giornalismo, un settore sempre più attratto dal web e dal digitale, dai nuovi modi di comunicare, dalle innovazioni del settore.
Ha rappresentato tutto questo e molto altro la X edizione del Festival Internazionale del Giornalismo (#ijf16) che si è tenuto a Perugia dal 6 al 10 aprile. Numeri impressionanti quelli del 2016: 60mila le presenze stimate; 259 gli eventi, tutti a ingresso libero, dei quali 85 in traduzione simultanea (incontri, dibattitI, talk, interviste, serate teatrali, premiazioni, presentazioni di libri, case history, startup, nuove realtà e tendenze editoriali) in 17 luoghi del centro storico di Perugia; 549 i relatori provenienti da 34 paesi diversi; più di 2000 i giornalisti accreditati; oltre 170mila le visite al sito internet.
Nei giorni del festival è stato esposto in piazzo IV Novembre il monumento “Anything to say? A public art project for freedom” dell’artista Davide Dormino e del giornalista e scrittore americano Charles Glass. Si tratta di gruppo scultoreo in bronzo che raffigura in dimensioni reali Julian Assange, Chelsea Manning, Edward Snowden: tre figure in piedi su tre sedie e accanto a loro una sedia vuota. “La maggior parte delle sculture pubbliche raffigurano eroi. – ha spiegato Glass – L’opera di Domino è un omaggio a tre persone che dicono no alla guerra, alle bugie in nome della guerra e all’intrusione nelle nostre vite private per continuare a fare guerre. Assange, Snowden e Manning hanno perso la loro libertà per noi. Ringraziamoli per aver sostenuto quest’ideale rifiutandosi di collaborare con il potere”.
Tra le tematiche principali affrontate dal festival il terrorismo, la mafia, la comunicazione politica, le innovazioni tecnologiche. Il dibattito “Raccontare le elezioni: dalle maratone tv al web” ha offerto una panoramica su ciò che avviene in Italia e negli Stati Uniti. “La maratona elettorale – ha detto Alessandra Sardoni di ‘La7’ – è un genere televisivo particolare che ha una sua liturgia. Non mancano elementi della commedia: ospiti, inviati, tecnici, teatralità. L’obiettivo è quello di costruire una narrazione”. “Nella copertura delle campagne elettorali americane – ha detto Francesco Costa de ‘Il Post’ – entrano in gioco moltissimi elementi come i dati storici e i flussi demografici. Gli studi televisivi sono popolati da ospiti ed opinionisti di professione, mai da politici. Perché è tradizione che non si ‘immischino’ in quelle discussioni”.
Per il panel discussion “Giornalismo politico, propaganda, conformismo e consenso” Mauro Calise dell’Università di Napoli “Federico II” ha chiesto agli ospiti in che misura il giornalismo si percepisce come un nuovo potere, come vive la crescita del proprio ruolo, così come la magistratura, nella politica e come sta affrontando il corto circuito che ne scaturisce. “Negli ultimi 20 anni – ha affermato Marco Damilano de ‘L’Espresso’ – la battaglia politica si è combattuta intorno ai mezzi d’informazione. E, sempre negli ultimi 20 anni, la politica è apparsa sempre più debole ed ha cercato una supplenza nella magistratura e nel giornalismo. Con il premier Matteo Renzi il potere politico ha ripreso forza a discapito di altri poteri come l’informazione, che pure sta molto a cuore al presidente del Consiglio. Sono orgoglioso del ruolo del giornalista nella democrazia ma ho timore del giornalista che si dimezza da sé il proprio potere occupandosi solo del Governo o solo dell’opposizione”.
“A noi manca una coscienza di gruppo, – ha spiegato Jacopo Iacoboni de ‘La Stampa’ – non c’è una comunità. È un problema di prassi, di pigrizia e talvolta anche di direttori”.
“Mentre prima il giornalismo era un contropotere – ha detto Wanda Marra de ‘Il Fatto Quotidiano’ – oggi è mischiato con gli altri poteri. C’è un rovesciamento interessante perché Renzi spesso riesce ad imporre l’agenda ed in molti non riescono a contrastare tutto ciò. Quindi possiamo parlare di equilibrio, di conformismo, di pigrizia? Ciò che è certo è che c’è uno studio scientifico da parte del premier: questo porta ad un piano inclinato a cui è difficile resistere”.
“Io metto l’accento – ha commentato Alessandra Sardoni – sulla debolezza del giornalismo, sulla crisi economica e sulla mancanza di risorse. Penso alle agenzie di stampa che dovrebbero rappresentare la ‘prima linea’ ma che non riescono più a fare un lavoro capillare. È un problema di risorse, non di cattivi giornalisti”.

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Francesco Ferrigno
Giornalista, esperto di comunicazione, copywriter. Laureato in Scienze della Comunicazione e successivamente specializzato in digital journalism e content marketing. Collabora con diversi quotidiani, portali web e agenzie di comunicazione, tra cui Media 2000, Antimafia 2000, iGv Network, Il Mattino.