Fabio Pianesi approdò nel 1977 alla rinomata facoltà di psicologia alla Sapienza Roma (la prima ad essere autonoma in Italia e non appendice di altri corsi di studi), ma scoprì qualche anno dopo che, accanto all’intelligenza ‘naturale’ umana, vi era un percorso scientifico, innovativo, che affrontava l’ancora poco esplorato tema delle intelligenze artificiali.
Fu in quello che si specializzò nel 1986 e oggi, da precursore, ha un ruolo in prima fila come coordinatore di ricerca dell’EIT Digital ARISE Europe Program, connettendo i centri d’innovazione e gli ecosistemi locali all’avanguardia dei Paesi dell’Europa Centrale e dell’Est, del Sud Europa e dei Paesi Baltici alla galassia degli EIT Digital.
Si racconta con l’understatement che gli viene dalla sua origine umbra: “Vengo dalla ricerca, dalla Fondazione Bruno Kessler, dove sono arrivato nel 1988 e che mi ha prestato a tempo pieno ad EIT Digital. Ho partecipato alla crescita del nodo, nonché, precedentemente, alla creazione del consorzio che ha vinto la call europea per la localizzazione del nodo stesso. Come EIT Digital, abbiamo una proiezione anche negli USA, a San Francisco, associando unità locali per realizzare progetti oltreoceano.”
– Una visione europa-centrica: ma ora, con la Brexit, cosa accadrà?
“E’ chiaro che il Governo britannico farà di tutto per rimanere agganciato al sistema europeo giacché è uno dei più finanziati e disconnettere l’ecosistema inglese rappresenterebbe un vero problema. La comunità scientifica e dell’innovazione inglese è molto preoccupata dai contraccolpi dell’exit.”
– Sfatiamo un possibile equivoco: EIT Digital non è una declinazione dell’Unione europea.
“Assolutamente no. E’ un’entità autonoma finanziata su contratto annuale dell’Unione europea che ha intrinseca, però, la missione di rendersi sempre più autonoma e autofinanziata.
Il meccanismo su cui ci fondiamo, i KIC (Knowledge Innovation Community) ricevono finanziamenti dalla Ue solo per il 25% del loro budget; il rimanente 75% si fonda anche sulla ricerca e sui brevetti svolti dai singoli partner in un’azione di valorizzazione e messa sul mercato.”
– Pensate ad una vostra autonomia completa?
“Sarebbe un contro senso, perché una parte della nostra missione è pubblica e anche la partnership che è alla nostra base è pubblico-privata.
Non ci aspettiamo dunque di diventare del tutto autonomi, ma comunque abbiamo raggiunto un buon grado di autofinanziamento: aiutiamo le aziende innovative a crescere e ne riceviamo un corrispettivo per questa nostra attività di servizio; anche la nostra scuola professionale è a pagamento.
Restiamo comunque una non profit che ha la mission squisitamente pubblica di allargare la galassia delle imprese innovative nel digital, formando nuovi imprenditori, supportandone l’internazionalizzazione e consentendo loro di entrare in contatto con potenziali clienti e investitori.”
– L’occupazione, per le nuove generazioni di nativodigitali, passa per voi.
“Ci crediamo tanto da dedicarvi importanti investimenti, con Master e dottorati, sostenuti da borse di studio, che consentono di creare gli imprenditori del domani.
Nel 2016 abbiamo investito 10,5 milioni di euro in education e altrettanti prevediamo di destinarne nel 2017.
Grazie a bandi aperti, abbiamo selezionato 1.200 laureati, fra i 22 e i 27 anni, per il 99% laureati in ingegneria o in informatica.
Una selezione meritocratica che riguarda giovani provenienti da tutto il mondo, persone di qualità cinesi, pakistane, indiane, di cui valorizziamo i progetti, senza fermarci al mero curriculum.
Sono startupper talentuosi a cui diamo l’opportunità dell’esordio sul mercato. Molto spesso, infatti, un prodotto tecnologico stenta a decollare perché non c’è il primo cliente che funge da rompighiaccio, Noi ci occupiamo anche di fornire questo elemento, che fa da volano al successo. Le aziende nostre associate, a fronte di un progetto promettente, sono disposte ad esserne i primi acquirenti.”