Le attuali e potenziali applicazioni di strumenti dell’Information Communication Technology (ICT) nel campo della prevenzione dei conflitti e del consolidamento della pace sono state analizzate dall’Istituto Affari Internazionali in un recente studio, nel contesto del progetto EU-CIVCAP finanziato dalla Commissione europea. Il documento evidenza che connettività e strumenti Ict hanno o potrebbero avere un ruolo importante anche in quelle aree, soprattutto per le possibilità che offrono nella produzione, conservazione e condivisione di dati. Il rapporto si sofferma sull’applicabilità di alcune particolari tecnologie come ad esempio computer e smartphone (e relativi software), gli Unmanned Aerial Systems (Uas), più comunemente conosciuti come droni, e i sistemi satellitari.
I contenuti dello studio sono stati sintetizzati dal ricercatore Tommaso DeZan in un articolo appena pubblicato dalla rivista online dello IAI AffarInternazionali.it.
Smartphone, computer e relativi software – spiega ad esempio DeZan – vengono già utilizzati nel sistema di “early warning” keniano, che ha lo scopo di monitorare l’eruzione di atti di violenza. La popolazione dispone di telefoni cellulari attraverso i quali invia degli Sms per allertare le autorità di possibili episodi conflittuali. Un altro esempio è il sistema realizzato dallo United Nations Development Programme (Undp), che ha realizzato un software (Crisis Recovery Mapping Analysis) che permette di creare mappe virtuali con i dati ricevuti dal terreno.
Descrive: “Qualcuno afferma che arriveremo a breve anche a utilizzare l’enorme quantità e granularità di dati derivanti dall’utilizzo di siti e social network come Twitter, Facebook, Instagram e Youtube (“Big Data per la prevenzione dei conflitti”)”.
Secondo il ricercatore, “i benefici che connettività e tecnologia possono avere nel campo della prevenzione dei conflitti e del consolidamento della pace sono molti e destinati ad espandersi mano a mano che queste tecnologie miglioreranno e aumenterà la connettività”. Tuttavia, avverte DeZan, “c’è anche un ‘lato oscuro’ della tecnologia” che va considerato.
In primo luogo, il cosiddetto “digital divide”: la diseguaglianza generata dalle diverse possibilità di accesso e utilizzo dell’Ict potrebbe portare ad interventi da parte di attori esterni in zone di conflitto tale da far aumentare il risentimento verso questi attori, nobili o meno che siano le loro intenzioni.
Inoltre, le conseguenze della diffusione di notizie false nella campagna elettorale statunitense sono sotto gli occhi di tutti. Se la manipolazione di notizie e voci avvenisse in contesti di conflitto, è facile pensare che gli effetti possano essere ben più nefasti.
Infine, il discorso privacy. Collezionare i dati che si trovano in rete offre sicuramente un vantaggio notevole se li si utilizza per prendere decisioni in contesti delicati. Ma a parte quei dati che possono essere ricavati attraverso tecniche di open-source intelligence, in situazioni di crisi non è detto che gli attori in un conflitto diano il proprio consenso al dispiegamento, per esempio, di droni che potrebbero esporre le proprie malefatte alla comunità internazionale.
Per DeZan, “una maggiore integrazione di connettività e sistemi Ict nella pianificazione e conduzione delle attività di promozione della pace può offrire dei benefici evidenti”. La tecnologia va dunque considerata come uno dei vari strumenti piuttosto che la soluzione definitiva e, in questo senso, dovrebbe essere complementare, piuttosto che sostitutiva, delle altre tradizionali forme d’intervento da parte di attori esterni per aumentare le possibilità di una pace duratura.