Sono stato  al  “Privacy Day”   organizzato dall’Autorità garante per la protezione dei dati personali diretto da Antonello Soro, una mattinata da cui ho tratto molti spunti, ed infine mi sono detto che mi sarebbe piaciuto rispondere ad alcune domande poste nelle tavole rotonde ai relatori. Detto fatto. Ecco le risposte che propongo ai mei lettori anche perché devo dire che in qualche momento ho pensato di aver imparato più dalle domande che dalle risposte. Mi ha colpito in particolare quanto discusso sull’elettore profilato al fine dell’invio di messaggi. Pratica che alla base ha il monitoraggio in rete dei gusti e degli interessi, praticamente la stessa usata dalla pubblicità online. Sulla pubblicità comportamentale sono già intervenuti i garanti europei ma le soluzioni sono tutte da inventare, il mio esercizio è volto anche all’analisi utili a immaginare soluzioni. Di esempi di successo ne abbiamo come ha sottlineato Licia Califano (Componente dell’Autorità Garante) moderatrice della tavola rotonda con Ilvo Diamanti (sociologo, politologo e saggista italiano) ed Enrico Giovannini (Presidente dell’ISTAT).
Infatti Obama è stato definito dal il Washington Post come “Big Data President” perché è riuscito ad applicare alla politica e quindi alla campagne elettorali le tecniche di indagine e di ricerca nate e sviluppate in ambito commerciale.

Trattamenti di profilazione effettuati in ambito politico ed elettorale, cosa cambia?
Tutto cambia. Possiamo prevedere l’uso dei Big Data a tutto tondo, persino per sondare i nostri pensieri più intimi. In politica mi aspetto l’applicazione, non solo, di strategie commerciali ma anche di tutte le possibilità offerte dalla smart city. Il caso Singapore è già un esempio eclatante, lì i 7 milioni di cittadini sono sottomessi a una sorveglianza costante (ovunque e sempre – on e off line), il tutto in nome della sicurezza e del benessere, con l’assenso più o meno generale della popolazione. Non si discute mai della privacy. In ambito elettorale una nuova sorta d’iper-sondaggio via Big Data permette di targhettare l’elettorato con grande precisione, pratica che potrebbe, però, condurre alla depersonalizzazione dell’elettorato e far sparire la necessità di dialogo con l’elettore.
Non è solo profilazione commerciale perché i gusti degli utenti corientano il messaggio politico, qual’è l’incidenza di tutto questo sul concetto di cittadinanza?
La risposta è già nella domanda, il cittadino rinominato “entità demoscopica” da analizzare, perde l’essenza dell’individualità tipica della persona che diviene fonte di profili destinati ad algoritmi per essere riconfigurati, riclassificati e diversamente distribuiti sulla Rete. Siamo i nuovi operai. Quando l’antropologo Michael Wesch diceva “The machine is using us” era un’idea divertente, con rammarico devo ammettere che nessuno, me compreso, l’ha giudicata profetica. Oggi si può interpretare come un segnale debole o un Distant Early Warning di quanto ormai già succede.

Quale è l’idea di democrazia che l’impiego di questi strumenti presuppongono?
Si può chiamare Datacrazia. Questo significa che il potere si sposta dalla gente alla Rete. Il potere va, dove va il controllo dell’uomo. Nella società orale l’autorità era la parola del capo. L’idea che la gente comune partecipasse al potere, cioè la democrazia, è nata nell’antica Grecia con la cultura alfabetica. La pratica della lettura permetteva l’appropriazione individuale del linguaggio. Saper leggere ha permesso un cambiamento perché il linguaggio perde potere e l’individuo acquisisce diritti personali. L’ordine politico greco-romano si è costituito eliminando la feudalità e la tirannia grazie alla legge uguale per tutti e poi è arrivata la democrazia. La democrazia si afferma almeno ideale, se non sempre come norma.
Oggi la crisi delle democrazie annuncia un cambiamento di fondo, epistemologico. La macchina sta prendendo il potere sul linguaggio e, allo stesso tempo, sulla nostra mente. Il problema è questo: finora abbiamo avuto la certezza di avere esclusiva proprietà delle nostre parole e più di tutto dei nostri pensieri. Non è più il caso, a partire dai Data Analytics con la loro capacità di sondare i discorsi umani per accedere ai pensieri e agli stati mentali, tutto cambia. In questo modo si gestisce la gente a partire dalla selezione di dati comuni prelevati su una quantità rappresentativa di persone diverse. Le decisioni politiche o sociali, che risultano da questi indagini, sono presentate quali irrefutabili e il nuovo ordine politico diviene datacrazia.
Quali sono le nuove forme che la sovranità popolare e la rappresentanza politica assumono all’interno della società contemporanea nel mondo dei Big Data?
La sovranità popolare viene sostituita dalla sovranità dei dati: ecco la datacrazia. Primo utile strumento per servire la burocrazia politica, i dati stanno rovesciando i ruoli perché fra poco anche i politici cederanno e saranno al servizio dei dati. Non ci sarà bisogno di rappresentazione, solo d’intermediazione tecnica. La gente si comporterà e si esprimerà quale effetto inconscio degli algoritmi usati per sondarla. La nuova gerarchia sarà, partendo dal basso, gente-politico-data, vuol dire il demos al fondo. Il politico dovrà per forza adattarsi.
Quale è il modo per evitare che il cittadino venga sempre più concepito e a sua volta si concepisca come utente e consumatore piuttosto che come soggetto attivo alla partecipazione politica?
Questo è un problema di educazione civica. In realtà non credo manchi del tutto la partecipazione politica. Ci sono numerose organizzazioni on e off line che alimentano varie forme di azione politica, tipo hacktivism, o diverse reti di proteste, come Avaaz e Ushahidi. Si parla anche di clicktivism, dove la partecipazione politica del cittadino si riduce al “like” o al re-tweet. Detto questo, la partecipazione politica si esprime anche con emozioni. Siamo nell’era della rabbia, come si vede nel Brexit, nell’elezione di Trump, o in tante variazioni di populismo. Con il blog di Grillo o i tweet di Trump, la Rete trasmette emozioni e funziona al livello sociale come un sistema limbico. I media e i social media in particolare portano a condividere emozioni. I più bravi fanno fatica a praticare hacktivism per resistere a politiche ingiuste.
La precondizione della democrazia è necessità di una capacità di lettura della classe politica dei bisogni percepiti dai cittadini e degli orientamenti prevalenti nell’opinione pubblica. La capacità di questi bisogni una volta era prerogativa dei partiti politici. Oggi al tempo dei Big Data chi detiene questa capacità di lettura, questa capacità di intercettare i bisogni dei cittadini?
Adesso, solo gli esperti, i “Chief Data Officer”, nuova funzione nella gerarchia dell’impresa (già presente in realtà nord-americane) uomini che hanno la capacità di leggere i dati e di cui nessuno potrà fare a meno. Le applicazioni, le cosiddette “app” prolifereranno sempre di più, ed useranno i dati per funzionare al meglio, così tutti noi non ne potremo più fare a meno, come oggi non possiamo evitare Google. I ragazzi delle scuole, che sanno essere al passo con i tempi, imparano Hadoop e altri sistemi di Analytics, gratuiti, o con costi decrescenti, per gestire sul loro smartphone, dati in mille configurazioni, per esempio, solo per provare ad intercettare le intenzioni dei compagni di classe! (https://medium.freecodecamp.com/i-ranked-all-the-best-data-science-intro-courses-based-on-thousands-of-data-points-db5dc7e3eb8e#.787llkt7c )
Quando il rapporto fra elettori ed eletti si sviluppa sempre di più attraverso i mezzi di comunicazione e per lo più attraverso i sondaggi qual’è il ruolo che rimane ai partiti politici? Cosa accade se la partecipazione sociale e l’organizzazione sul territorio sono rimpiazzati dalla comunicazione?
Accade lo sparire del politico. Allora che la democrazia aveva sempre la necessità di portare al potere individui incaricati di seguire i desideri della maggioranza, la datacrazia può decidere di tutto per tutti. A lungo termine la tendenza verso la “datacrazia” potrebbe portare all’eliminazione del politico. Partendo dai profili e non dalle persone, più la macchina gestisce automaticamente il bene comune, meno serve il politico.
I cittadini diventano pubblico e audience o in alternativa diventano entità demoscopiche da analizzare. Nel passaggio da democrazia del pubblico fondata sulla Tv ad una democrazia della Rete che è quella attuale il passo successivo è la democrazia ibrida? Cos’è la democrazia ibrida e in che cosa si differenzia dalla democrazia del pubblico che abbiamo vissuto nei 30 anni precedenti e la democrazia della Rete che stiamo vivendo in questi ultimi anni?
Riprendiamo questa nuova e ghiacciante definizione del cittadino post-umano, “entità demoscopiche da analizzare”. Salutiamo il “quantified self”, l’uomo digitalizzato, summa di data, nuovo Pinocchio elettronico. Dov’è la responsabilità del cittadino trasparente? Come si comporterà? A chi o a che dovrà rendere conto?

La tentazione fascista è uno dei più grandi rischi della datacrazia. Si vede in totale eruzione in Turchia. Una democrazia ibrida deve avere e sostenere la forza di resistere a questa tentazione. Fiducia e trasparenza sono le condizioni di base del nuovo contratto sociale benché né ancora scritto, né firmato. La trasparenza sta crescendo di scandalo a scandalo (Panama Papers, Luxleaks, ecc.) e la nostra condizione d’informazione permanente non risparmia niente e ci obbliga ad “indossare il mondo come l’estensione della nostra pelle” (McLuhan).
Però la trasparenza deve andare in due sensi. La democrazia ibrida sarà possibile solo se la trasparenza in corso si realizza pienamente senza provocare troppe scosse sociali. Il problema è sempre quello della responsabilità. Se qualche reciprocità esiste tra governo e governati una fiducia mutuale può nascere fra le due parti.
La comunicazione può essere una risorsa per la democrazia rappresentativa?
Evidentemente sì. Se il politico vuole mantenere la pertinenza del suo ruolo deve sostenere il dialogo con i cittadini per contrastare l’effetto depersonalizzante di un governo di dati.
È proprio vero che i cittadini divengono soltanto spettatori e fruitori passivi dei contenuti? O essi stessi tornano ad essere, seppure con modalità diverse, nuovamente attori?
Oggi il cittadino, solo per essere e vivere, diviene una sorta di operaio della macchina.
Il nuovo attore politico è secondo tutte le evidenze quello che sa gestire la Rete, per il bene come per il male, per esempio suscitando “fake news” con gravi impatti politici (ancora un’evidenza sono le turbolenti manipolazioni delle prossime elezione in Francia, o l’attivismo sospetto della Russia nelle elezioni di altri paesi). Rispondere a questo pericolo diviene una delle più grandi responsabilità non solo dei governi ma anche dell’educazione nazionale.
In questo quadro subentrano due facce della medaglia: 1) tutela della privacy perché il cittadino diventa attore usa la Rete e lascia tracce. 2) di fronte al superamento della democrazia rappresentativa in cui la classe politica vede il cittadino come consumatore è possibile individuare il rischio di una iperdemocrazia (come diceva Rodotà) cioè dell’affermazione di un modello basato sui limiti e sul controllo che i cittadini pretendono di esercitare attraverso la Rete sugli eletti. Ciò trasforma geneticamente il potere di controllo dei cittadini e provoca la delegittimazione delle istituzioni?
1) Lasciamo perdere la tutela della privacy; è un incubo e il lupo è già istallato nella fabbrica. “Privacy is over” (dixit Mark Zuckerberg); la società trasparente richiede nuove regole per non dire una etica completamente rinnovata.
2) Lascia perdere pure l’iperdemocrazia; come diceva Scalfari nell’Espresso (05 marzo 2014) “fa rima con utopia”. Almeno fino a quando avremo superato la penosa transizione che stiamo vivendo adesso globalmente ed elettori/eletti arriveranno a concludere e rispettare un nuovo contratto sociale fondato sulla fiducia e la trasparenza mutuale, vale a dire utopia per il momento.
Non possiamo vivere senza le istituzioni, però il governo, la banca e le multinazionali sono presi nel maelstrom di una crisi di fiducia. Ci vorrà un rovesciamento di fondo per ristabilizzare un rapporto produttivo fra i governi di tutti tipi e i loro governati.

Privacy day

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Derrick de Kerckhove
Direttore scientifico di Media Duemila e Osservatorio TuttiMedia. Visiting professor al Politecnico di Milano. Ha diretto dal 1983 al 2008 il McLuhan Program in Culture & Technology dell'Università di Toronto. È autore di "La pelle della cultura e dell'intelligenza connessa" ("The Skin of Culture and Connected Intelligence"). Già docente presso il Dipartimento di Scienze Sociali dell'Università degli Studi di Napoli Federico II dove è stato titolare degli insegnamenti di "Sociologia della cultura digitale" e di "Marketing e nuovi media".