Le fake news sono sempre più considerate un vero e proprio pericolo per la democrazia. Dopo la petizione lanciata in Italia dalla presidente della Camera Laura Boldrini, la Germania passa alle vie di fatto in merito alla lotta alle notizie false, le cosiddette bufale, veicolate soprattutto attraverso i social network.
Nei giorni scorsi le agenzie di tutto il mondo hanno battuto la notizia riguardante le sanzioni che la Germania potrebbe applicare nei confronti delle piattaforme che ospitano le fake news. Heiko Mass, ministro alla Giustizia tedesco, ha annunciato di essere in procinto di proporre una normativa che prevede multe fino a 50 milioni di euro per i social che non rimuoveranno, entro 24 ore dalla segnalazione o nell’arco di 7 giorni qualora sia necessaria un’attività investigativa, “contenuti come parole d’odio o fake news diffamatorie”. I social network, inoltre, stando alla bozza di legge, dovranno dotarsi di funzioni, semplici e immediatamente visibili per procedere alla segnalazione.
L’iniziativa è stata presentata in pompa magna a Berlino: dalla capitale, quindi, il Governo ha lanciato il progetto che punta a combattere la diffusione dell’odio via web, che in Germania avrebbe assunto connotati molto rilevanti.
“Le aziende del settore hanno fatto passi in avanti – ha spiegato Maas – ma non basta. Sono troppo pochi i contenuti criminali che vengono rimossi e, in ogni caso, non vengono cancellati in tempi sufficientemente brevi”. La Germania è giunta a tali conclusioni prendendo in considerazione alcune statistiche presentate dallo stesso ministro: YouTube, e quindi Google, sarebbe il social più “coscenzioso”, avendo rimosso il 90% dei contenuti ritenuti offensivi; seguirebbe Facebook con il 39%; ultimo Twitter con solamente l’1% delle cancellazioni a seguito di segnalazioni da parte degli utenti.
Il progetto di Berlino ha comunque causato reazioni da più parti. La bozza di legge di Maas è stata letta come un attacco alla libertà d’informazione, ma non solo. Il provvedimento riguarderebbe, infatti, “intermediari” della comunicazione come i social network che non dovrebbero essere considerati responsabili dei contenuti pubblicati se non dopo un giusto processo condotto da un’autorità indipendente ed imparziale, così come sancito da una dichiarazione congiunta firmata poche settimane fa a Vienna da Nazioni Unite, Ocse, Organizzazione degli Stati americani e Commissione africana per i diritti umani.