Una bella discussione sul rapporto tra fake news, social, media e politica, dai toni molto, e forse troppo, ottimisti. E la fiducia che la tecnologia possa risolvere tutti i problemi (ma non li aveva, invece, creati?).
Paolo Messa, direttore del Centro Studi Americani di Roma, ha organizzato, mercoledì 12 luglio, nella bella sede di via Caetani a Roma, un seminar lunch con William Dutton, docente di Media e Information Policy presso la Michigan State University e già direttore dell’Oxford Internet Institute.
Il professor Dutton è un’assoluta autorità e gode di grande prestigio: la sua fiducia e serenità, quando offre “nuove prospettive sulle fake news, le echo chambers e le filter bubbles”, sono certamente ben riposte. Ma in parte del pubblico qualche perplessità è rimasta.
Introdotto da Maria Latella, il professore ha presentato a uomini politici, esperti di comunicazione e giornalisti i principali risultati d’una sua nuova ricerca: “Search and Politics: The Uses and Impacts of Search” in Gran Bretagna, Francia, Germania, Italia, Polonia, Spagna e Stati Uniti, finanziata – è stato detto – da Google.
Con un’impostazione molto rassicurante e con toni tranquillizzanti, Dutton ha sostanzialmente stemperato, se non fugato, il timore che la cattiva informazione possa indebolire la democrazia nell’era digitale e attenuato la preoccupazione che gli algoritmi stiano minando la qualità delle news online.
Il professore s’è chiesto, in particolare, se i motori di ricerca e i social media forniscano alla gente informazioni che confermano le loro convinzioni e opinioni e non le incoraggino a confrontarsi, invece, con prospettive alternative. E se abbiano, o meno, un grosso impatto sull’opinione pubblica e sulla politica e le elezioni (in senso positivo?, o negativo?).
Nello studio, 14mila utilizzatori di internet dei sette Paesi coinvolti sono stati sondati su come conducono le loro ricerche online e su come acquisiscono l’informazione politica. Le conclusioni suggeriscono che – parole di Dutton – “il panico su fake news, echo chambers e filter bubbles è esagerato”, pur mettendo in rilievo “la centralità di internet nel contribuire all’informazione sottesa alla partecipazione politica”.
I dati raccolti indicano che gli internauti sono mediamente furbi e accorti, consultano più fonti e si fanno difficilmente abbindolare; insomma, il problema delle fake news è quanto meno esagerato e comunque la tecnologia, prima o poi, ma presto, lo risolverà. Twitter, poi, pecca di ubris quando si vanta, rammaricandosene, di essere colpevole dell’elezione di Donald Trump.
Se però Trump vince nel merito, cioè le idee, e non per il mezzo, cioè twitter, verrebbe da dubitare che gli internauti siano così ‘smart’. Ma forse il dubbio nasce dall’implicita evidente supponenza d’un giornalista vecchio e, per di più, ‘old media’.