Non è successo, che gli europei si dividessero. Se l’aspettavano tutti: lo temevamo noi; e i britannici ci speravano. Ma non è successo: compatti fino all’accordo. E, adesso che è fatto, noi non ci perdiamo nulla. Mentre, se non lo si faceva, loro ci perdevano un sacco. Una volta che saranno fuori –c’è il periodo di transizione-, anche quando non ci sarà nebbia sulla Manica, non sarà il continente a restare isolato, ma la Gran Bretagna, che, con il referendum del 23 giugno 2016, ha scelto d’andarsene, ma che da allora si chiede un po’ smarrita dove finirà. Il Commonwealth, che qualcuno s’illudeva di ritrovare, non c’è praticamente più; e Donald Trump, l’amico americano che li ha incoraggiati a uscire, si preoccupa solo di fare l’America ‘great again’ e non gliene può importante di meno di quella che fu la ‘relazione privilegiata’ con l’ex ‘madre patria’.
Però, andiamoci piano con le certezze, ché di qui a domenica, quando l’accordo sulla Brexit dovrebbe essere suggellato, con un Vertice straordinario a Bruxelles, potremmo ancora vederne delle belle. Ad esempio, che il fronte unito dei 27, fin qui a tenuta stagna, s’incrini su Gibilterra, l’enclave britannica in terra spagnola, sul cui statuto Madrid si scopre in extremis pronta a dire no. Il presidente del governo spagnolo Pedro Sanchez minaccia il veto sull’intesa raggiunta, se non avrà l’esplicita rassicurazione che lo statuto di Gibilterra – territorio autonomo britannico storicamente rivendicato storicamente dalla Spagna – resterà un dossier a parte nel quadro delle relazioni future tra Unione europea e Regno Unito. Sanchez avverte: “Se qualcosa non cambia nel testo, non firmo”.
E la premier britannica Theresa May cerca di tenere tutti con il fiato in sospeso: la partita – dice – “non è finita”, l’incontro di mercoledì a Bruxelles tra lei e il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker era “ancora parte dei negoziati in corso” e non voleva solo essere “una stretta di mano anticipata”. Si discute, appunto, il documento quadro sui rapporti post Brexit fra l’Ue e Londra, destinato a integrare l’intesa sul divorzio raggiunta.
Il testo definitivo sulle relazioni future resta fluido e sarà perfezionato di qui al Vertice di domenica. Per quel che riguarda l’intesa sul divorzio, la premier britannica – messa sotto pressione dai falchi fra i Tories e dagli alleati di governo del Dup, la destra unionista nordirlandese – può solo provare ad approfondire possibili “soluzioni alternative” per garantire il mantenimento di un confine aperto fra Irlanda e Irlanda del Nord senza mettere al contempo in dubbio i legami tra Belfast e Londra – è stato il punto più difficile dell’intera trattativa -. “Soluzioni alternative”, che contemplano fra l’altro l’uso alla frontiera di apparati “tecnologici”, già citate come possibilità nel documento sul divorzio concordato.
Ma la May, più che il fronte europeo, deve temere il fronte interno: c’era il rischio che non arrivasse da premier al Vertice di domenica, rovesciata dalla fronda nel suo partito, lacerato sulla Brexit fin da prima del referendum; e, ora, c’è il rischio che i Comuni boccino l’intesa, quando sarà sottoposta al loro voto. Ma questa sarà un altro capitolo di questa storia.

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Giampiero Gramaglia
Giornalista, collabora con vari media (periodici, quotidiani, siti, radio, tv), dopo avere lavorato per trent'anni all'ANSA, di cui è stato direttore dal 2006 al 2009. Dirige i corsi e le testate della scuola di giornalismo di Urbino e tiene corsi di giornalismo alla Sapienza.