La politica europea e italiana di Piero Malvestiti, a cura di Concetta Argiolas e Andrea Becherucci, Edizioni di Storia e Letteratura, 2018.
Un europeista della prima ora, la cui attività nell’ambito dell’integrazione europea non è conosciuta e ricordata a dovere: la vita e il contributo alla causa europea di Pietro Malvestiti sono raccontati in un volume a cura di Concetta Argiolas e Andrea Becherucci. E’ una raccolta di documenti e interventi, fra cui spiccano l’intervista alla figlia Mila, giornalista, corrispondente per quasi mezzo secolo da Bruxelles, recentemente scomparsa, e un contributo del genero, ingegner Flavio Mondello, per molti decenni rappresentante della Confindustria a Bruxelles.
Nato in provincia di Macerata nel 1899, Piero Malvestiti combatte nella Prima Guerra Mondiale, ricevendo una croce al merito. Si oppone al fascismo fin da subito, fondando Azione Guelfa, un movimento che coniuga ideologia antifascista e religione cattolica, e viene arrestato nel 1933. Rilasciato, è tra i pochi democristiani della prima ora a scegliere la lotta partigiana, nonostante l’età non più giovane e le condizioni di salute piuttosto precarie; dopo un periodo di esilio in Svizzera, partecipa alla liberazione di Como.
Nell’Italia repubblicana, è eletto deputato nell’Assemblea costituente, poi è ministro dei Trasporti e in seguito dell’Industria e del Commercio. Si occupa anche della gestione del piano Marshall e firma un memorandum sulle spese per la difesa, presentato al comitato misto italo-americano per il riarmo. I suoi più grandi successi politici, però, sono in campo europeo: nel 1959 è nominato prima membro e poi presidente dell’Alta Autorità della Comunità europea del carbone e dell’acciaio, la Ceca, l’istituzione che gettò le prime basi dell’integrazione europea. Ricopre la carica fino al 1963, pochi mesi prima della morte.
Nel volume, Malvestiti emerge come un uomo di principi saldi ed estremamente rilevanti anche al giorno d’oggi, in un periodo di crisi del progetto europeo. Mentre vari esponenti della Chiesa simpatizzano per il fascismo, lui è uno dei pochi cattolici che contestano apertamente la dittatura. Una volta incarcerato, sfrutta le lunghe giornate per lo studio di economia, storia e letteratura, una sorta di università dietro le sbarre. L’esilio in Svizzera, invece, diventa per Malvestiti e gli altri esuli antifascisti una “scuola di federalismo europeo”, dove il progetto europeista nasce e si consolida.
Una volta presidente dell’Alta Autorità della Ceca, oltre a dare maggior rilevanza all’Italia sul piano europeo, Malvestiti affronta una serie di tematiche molto attuali: primo tra tutti il costruire l’integrazione europea tra Paesi con opinioni discordanti, tra la Francia del generale Gaulle contraria al principio di sovranazionalità e il Regno Unito che vorrebbe un’unione soltanto doganale e non politica. Ma soprattutto negli anni della presidenza Malvestiti la Ceca diventa molto di più di un mercato comune del carbone e dell’acciaio: il suo ruolo diventa sociale, oltre che prettamente economico.
Infatti, dopo che negli anni Trenta e Quaranta gli Stati europei hanno fallito nell’assicurare la sicurezza economica e fisica ai propri cittadini, negli Anni Cinquanta il loro dovere è di ricostruire l’economia ma riacquistando un ruolo centrale nel welfare dei cittadini. In questo senso, il mercato comune della Ceca contribuisce, nella visione centrista del dopoguerra, a una più rapida diffusione della ricchezza come mezzo per portare alla stabilità del continente. La stabilità e l’aumento degli scambi commerciali non avevano uno scopo esclusivamente economico, ma contribuivano a una maggiore integrazione europea, quell’integrazione che Malvestiti auspicava sin dagli anni della guerra.

Eleonora Febbe

 

 

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