“Nessie”, il primo progetto condiviso di big data per il marketing e la comunicazione,Vittorio Meloni (Direttore Generale Upa) lo spiega Media Duemila
Di che si tratta e come mai avete scelto questo nome?
Il progetto prende il nome dal nomignolo affettuoso utilizzato in Scozia per indicare il leggendario mostro del lago di Lochness ed è stato lanciato dall’Upa con il supporto tecnico di una società specializzata nei “big data” che si chiama “Neodata”. Fin da subito abbiamo raccolto l’adesione di alcune aziende importanti, presenti con noi alla conferenza inaugurale, e contiamo se ne aggiungano molte altre durante il percorso. L’obiettivo è creare ciò che in gergo si chiama un “data lake” (lago di dati, ndr), ovvero una piattaforma che riceve e rielabora i dati non proprietari che le aziende partecipanti al progetto conferiscono alla piattaforma stessa.
Di che dati parliamo?
Si tratti dei dati che qualsiasi marchio riceve spontaneamente da chiunque transiti sulle proprie properties digitali (le pagine web, ndr); ad esempio i cookies, cioè tracce digitali che corrispondono in genere all’apparecchio utilizzato per navigare su quel determinato sito. Tutte le volte che appare la finestra con la richiesta d’autorizzazione a registrare i cookies, in pratica autorizziamo i gestori di quella pagina web a trattenere delle informazioni sulla nostra visita. I “big data” nascono, in parte, anche da qui: si tratta di informazioni prodotte dal crescente utilizzo di piattaforme digitali per funzioni sempre più complesse e diversificate.
L’obiettivo qual è?
Il nostro progetto prevede che gli aderenti concedano al nostro “lago di dati” i propri cookies in modo che ciascuno possa arricchire i propri cookies grazie all’azione partecipativa del gruppo. Poniamo il caso di un utente che con il proprio smartphone visiti casualmente il sito di una delle aziende coinvolte in “Nessie”: le informazioni che lascerà saranno limitate. Tuttavia, se per caso lo stesso utente visiterà in seguito altre pagine digitali dei partner coinvolti, lascerà ulteriori dati che permetteranno al nostro software di delinearne un profilo più chiaro. In questo modo anche l’offerta di marketing sarà più specifica e orientata ai gusti e alle peculiarità del consumatore (genere, età, provenienza geografica, abitudini di navigazione ecc.). In ultima analisi, lo scopo di questo progetto è creare anche in Italia una piattaforma per i “big data” di natura consortile, basata sull’uso di cookies o di altre tracce digitali che lasciamo sul web.
Com’è nato “Nessie”?
Nasce da un’idea di Upa che l’ha proposto ai suoi associati, alcuni dei quali hanno già aderito (e parliamo di aziende molto importanti), altre lo stanno valutando per un’eventuale adesione. Comunque, mi preme specificare che si tratta di una realtà già operante. Nessie è già costituito ed è già attivo: riceve, cioè, i dati delle società che hanno aderito e hanno deciso di condividere i propri dati. A mano a mano che la mole di dati aumenterà, il “data lake” sarà sempre più completo e ricco. Tra l’altro, se consideriamo che l’Italia è in ritardo rispetto alla “digital transformation”, quest’iniziativa mi sembra ancora più interessante; soprattutto visto che uno degli elementi chiave dell’innovazione tecnologica è la gestione dei dati.
Cosa serve oggi per la gestione dei dati?
Competenze tecniche, risorse specifiche (che non tutte le aziende hanno) e un’infrastruttura tecnologica efficiente. Quindi, il fatto che si possa aderire a un progetto già avviato, senza la necessità di dover costruire da zero il proprio modello mi sembra un fatto importante. Del resto, la chiave di volta dovrebbe essere proprio la consapevolezza di poter trarre molti vantaggi dal lavoro collaborativo: l’azienda che decide di operare attraverso Nessie non solo avrà chi gestisce i suoi dati in modo efficiente e avanzato ma li vedrà arricchiti e integrati dal costante afflusso di nuovi elementi.
I dati raccolti sono esclusivamente a disposizione degli associati o possono anche essere rivenduti?
In primo luogo, l’obbiettivo è quello di essere a disposizione di chi li ha raccolti e condivisi, attivando un processo che dovrebbe fornire ai diretti interessati un dato più ricco di quello che aveva in origine. Successivamente vedremo: oggi la vendita dei dati o dei cookies esiste già ed è un mercato in espansione, ma al momento questa non è la nostra priorità.
E comunque la vostra base sarà l’Italia?
Proprio così. Anche nel nostro Paese le aziende iniziano a porsi il problema di come gestire i propri dati. Per ora le più strutturate utilizzano “dmp” (data manager platform, ndr) proprietarie che ad oggi vengono arricchiti con dati di dubbia qualità e non trasparenti (dati di terza parte). La condivisione di dati di prima parte ha l’obiettivo di migliorare sensibilmente le attività di arricchimento dati. Ci tengo a sottolineare che nessuno, con quella modalità, perde il diritto sui propri dati ma semplicemente li mette a disposizione per far sì che si arricchiscano. In tal senso “Nessie” è doppiamente innovativo: in primis, perché non esiste un progetto simile nel nostro Paese; in secondo luogo, perché è un progetto aperto, inclusivo per sua natura in quanto diventa più incisivo, più ricco, più efficace con l’aumentare dei suoi partecipanti. Non a caso nasce dall’Upa che è un’associazione che rappresenta il mercato: tutte le aziende, di qualunque settore, purché investitori in pubblicità, vi sono rappresentate.
Nel resto d’Europa esistono già esperienze simili?
Noi riteniamo che, per come è congegnato “Nessie”, sia la prima realtà del genere nel continente. Non abbiamo ancora completato l’esame di tutte le realtà, magari poi troveremo delle esperienze simili, ma allo stato attuale ci risulta che sia la prima a livello Europeo.
Ci diceva che il sistema è già operativo, a che punto siete?
Siamo nella fase in cui le aziende partecipanti conferiscono i propri dati, quindi la prima fase. In seguito, ci sarà la fase in cui i dati verranno arricchiti.
Esiste già l’infrastruttura tecnologica?
Assolutamente sì ed è già attiva. Non si tratta di un annuncio per rivelare qualcosa che faremo in futuro: il software esiste, come dicevo è stato sviluppato da Neodata sulla base di una piattaforma “cloud” di Microsoft e sta già raccogliendo i primi dati.
Che tempi vi siete dati per un primo, parziale, bilancio?
Innanzitutto, speriamo di riuscire a finalizzare una serie di contratti che sono ancora in discussione in modo da poter allargare subito la platea delle aziende partecipanti. Dopo di ciò, tra il lancio e il rodaggio iniziale, credo che per la fine dell’anno potremo già analizzare le prime evoluzioni, almeno dal punto di vista dell’operatività del progetto e dei parametri che sarà in grado di far affiorare relativamente al transito di consumatori sulle piattaforme delle aziende partecipanti.
Lei crede che la pubblicità tradizionale verrà soppiantata dalla profilazione on-line e dagli annunci personalizzati?
No, almeno non in questa fase. La pubblicità nasce in un altro contesto, che è quello dell’editoria sia tradizionale sia innovativa, a cui, tra l’altro, questo progetto è aperto. Il punto è che per raggiungere un pubblico più o meno ampio con un contenuto specifico è necessaria una piattaforma editoriale. Ciò che si può fare attraverso la gestione dei dati è individuare con più chiarezza il tipo di consumatori che queste aziende già intercettano. Si tratta di un processo che non si sovrappone a quello pubblicitario, ma può valorizzarlo. Nel mondo, ad esempio, c’è il modello Amazon, che possiede un’enorme quantità di dati grazie non solo ai cookies che raccoglie, ma anche alla grande mole di informazioni personali che chi lo utilizza per acquisti gli rilascia. Con i cookies la traccia digitale è lasciata da un dispositivo (pc, smartphone, tablet) utilizzato per navigare: incrociando più informazioni si può provare a dare un’identità a quella macchina. Amazon, con gli acquisti diretti sulle sue piattaforme, ha già il nostro nome e cognome, l’indirizzo, l’età, il nostro numero di carta di credito, in alcuni casi la nostra professione e in base a ciò può segnalarci articoli che corrispondono alle nostre inclinazioni o a ciò che cercavamo in quel determinato momento. Allo stato attuale, nessuno ha la possibilità di raccogliere così tanti dati commerciali sui propri utenti. Per questo la pubblicità rimane una realtà separata, mentre gli strumenti come Nessie possono diventare complementari all’investimento in comunicazione per trasformare un dato dispositivo in un profilo-utente vero e proprio che possa diventare, questo è l’obiettivo, un cliente.