Il Falcon Heavy, l’imponente razzo riutilizzabile progettato dalla SpaceX, ce l’ha fatta: nella notte del 25 giugno si è staccato dalla rampa di lancio 39A della base spaziale Nasa di Cape Canaveral presso il Kennedy Space Center (Florida) e ha portato a termine la missione denominata STP-2, commissionata dal governo degli Stati uniti, che si prefiggeva l’obiettivo di mettere in orbita 24 satelliti di dimensioni ridotte e la LightSail 2, vela spaziale a propulsione solare. Si tratta di un carico dal valore stimato attorno ai 750 milioni di dollari, contenente, tra gli altri, una serie di satelliti per l’osservazione metereologica da parte del National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA), un satellite per esperimenti scientifici dell’Air Force e diversi dispositivi appartenenti alla Nasa. Ad essere precisi la missione non è stato un completo successo, dal momento che i due razzi laterali del Falcon sono atterrati nella landing zone della base, come da programma, mentre il nucleo centrale non è riuscito a centrare la piattaforma robotica installata al largo della costa della Florida, in pieno Oceano Atlantico, ed è andato perso (anche se da SpaceX non fanno drammi, facendo sapere che questa ipotesi era già stata preventivata). Quello che contava più di tutto era riuscire a portare a destinazione il prezioso carico, che, come accennato, conteneva soprattutto la vela solare denominata LightSail 2, progetto realizzato da Planetary Society, organizzazione nonprofit statunitense fondata nel 1980, che promuove l’esplorazione dello spazio, e ha finanziato l’operazione attraverso il crowdfunding: si tratta del primo veicolo spaziale che, in caso di successo, raggiungerà la propria orbita attorno alla Terra, alla ragguardevole distanza di 720 km dal nostro pianeta (ben al di sopra della Stazione Spaziale, che si trova a 400 km), servendosi esclusivamente dell’energia ricavata dalla luce solare. LightSail 2 (delle dimensioni di un tostapane e del peso di circa 5 chilogrammi) è racchiusa in una sorta di contenitore chiamato Prox-1, realizzato dagli studenti del Georgia Tech, che la porterà nello spazio: solo dopo sette giorni dalla sua partenza, Prox-1 rilascerà, aprendosi, la vela solare; a quel punto LightSail 2 aprirà i quattro pannelli solari di cui è dotata e attenderà il giorno successivo per dispiegare le sue quattro vele triangolari per una superficie totale di 32 metri quadrati. Quindi sarà pronta per sfruttare (secondo i piani) la leggera spinta generate dalla pressione di radiazione (ovvero dei fotoni del Sole) per raggiungere i 720 km di distanza dal nostro pianeta. Con il termine vele si fa riferimento a pellicole riflettenti simili a specchi, che hanno la capacità di riflettere la luce solare, in particolare i fotoni, e trasformare in moto le minuscole quantità di energia derivate proprio dalla loro riflessione. “Per secoli, la gente ha sognato di viaggiare nel cosmo usando vele solari. Nel 2019, LightSail 2 della Planetary Society contribuirà a trasformare quel sogno in realtà tentando il primo volo controllato di una vela solare nell’orbita terrestre”, ha scritto Planetary Society a lancio avvenuto.