“C’è una sola cosa al mondo peggiore del far parlare di se: il non far parlare di se” diceva il grande Oscar Wilde. Ma potremmo anche dire che oggi, vero e falso sono la stessa cosa, talmente identici da non essere più distinguibili, e anzi hanno finito per farsi intercambiabili.
Chi si ponesse, anche solo per diletto, a disquisire intorno ai metodi e alle tecniche della comunicazione di massa si troverebbe in un “mare magnum” di saperi in cui si accavallano scienze come la psicologia sociale, la psicologia comportamentale, l’economia, il marketing, specie quello emozionale, la politica, la sociologia, l’economia geopolitica, ed altro, oltre a tutto un sottobosco ed un indotto di tutti questi saperi che rendono questo campo, questa dimensione dell’attività umana, come la più discussa in assoluto degli ultimi due secoli.
Nella sostanza la comunicazione, nell’ultimo periodo specialmente, si è sempre di più spostata su una realtà prevalentemente economica, relativa alla velocità, e quindi al “mercato della notizia”. Finita l’era del cronista che, talvolta rischiando la “ buccia”, si getta alla scoperta del “ fatto” da raccontare. Oggi esiste la notizia mediata e immediata. Sicuramente anche un mondo paludoso di non-notizia e fake news. I media di comunicazione telematici hanno annullato le distanze e i tempi, e talvolta (se presi per valide fonti di informazione) anche danneggiato il mondo dell’informazione, con la Disinformazione.
La disinformazione on-line è ormai un fenomeno globale che richiede un approccio europeo: la Ue si sta dedicando all’elaborazione di una pluralità di azioni per limitarne la diffusione già da un paio di anni. Notizie “spettacolo”, in rete nello stesso momento in ogni parte del mondo. Ma senza intermediazione. Senza filtri Tutto questo è “oggi” la comunicazione , la rete alla quale fanno riferimento i notiziari aperti 24 ore su 24. Noi tutti, quotidianamente, attingiamo in modo, a volte, anche superficiale a questa fiumana di “notizie-spettacolo” quasi dando per scontato che tutto il mondo sia nel nostro salotto di casa, sul nostro schermo piatto, tra la colazione mattinale e la cena. Quando in concomitanza con il pranzo, mentre distrattamente tra un boccone e l’altro solleviamo lo sguardo e facciamo qualche commento sul disastro aereo, l’attentato a Gaza, l’elezione di Miss Mondo, le finali del mondiale di calcio, l’ennesimo scandalo di corruzione del nostro sistema politico, ecc… ci appropriamo della notizia mordi e fuggi. La comunicazione “profonda”, quella che cambia “le cose”, è fatta di tutt’altri tempi e di tutt’altri mezzi.
Sappiamo da tempo che l’informazione cambia il corso della storia, lo sappiamo dai tempi della fine della “Bella Epoque”, quando i giornali di tutta Europa rilanciarono la notizia dell’attentato a Sarajevo … fu quell’informazione condita con i più vari toni trionfalistici, politici, nazionalistici, strategici e con tutti gli ingredienti del fatalismo, allarmismo, militarismo in larga misura stampati su testate rette da industriali produttori di tecnologie dell’epoca (automobili, aerei, locomotive, navi) a “gestire” la comunicazione ponendo al soldo giornalisti e direttori di testate, cronisti ed altro … il tutto doveva consentire un incremento di un iniziale caos politico che si sarebbe trasformato, poi, in una corsa alla produzione massiva di quei manufatti tecnologici di cui sembrava emergere il bisogno,in quei momenti, in tutta l’Europa.
Qualcosa andò male: “la comunicazione” che avrebbe dovuto generare un caos “controllato” che, a sua volta, avrebbe dovuto produrre un boom di produzione industriale, finì, invece, per generare la prima guerra mondiale, senza sapere, ad oggi, chi realmente abbia iniziato.
La comunicazione e il suo impatto sulla realtà del mondo cambiò radicalmente, e assunse il ruolo di strumento decisivo per muovere eventi, fermare eventi, produrre effetti in assenza di causa, generare speranze, cancellare speranze, produrre ideologie, cancellare ideologie, enfatizzare idee, invenzioni, arte, personaggi, economie o, al contrario cambiare le sorti di tutto questo. Generare opinioni “ pilotate”.
Potrei fare moltissimi esempi di comunicazione antropologica, che potremo definire “profonda”, essendo elaborata a tavolino con un fine preciso, che smuove un apparente caos, per poi ricostruire “il tutto”, dopo aver scompaginato il preesistente.
Quindi torniamo a chiederci: com’è cambiata la comunicazione? E com’è cambiata soprattutto nell’era dei Social Media? Ci sono maggiori o minori strumenti per comunicare, come sembra? E’ una comunicazione di qualità? Forse, più che cambiata, la comunicazione si è allargata, avendo maggiori mezzi a disposizione. Noi, in fondo, non abbiamo mai smesso di comunicare, siamo andati sempre più alla ricerca di altri modi per farlo, allargando ogni tipo di ambito al nostro bisogno.
Facebook o Twitter, i social più usati e diffusi, hanno indubbiamente contribuito molto a questo “arricchimento” comunicativo. Un tempo c’era il telefono, la posta tradizionale, poi la posta elettronica. Oggi per comunicare si prediligono strumenti come Facebook o Twitter, o Whatsapp, che permettono di instaurare un contatto “ FALSAMENTE” diretto. Oggi le maggiori compagnie telefoniche addirittura regalano minuti a iosa, tanto nessuno li usa. Si usano i GB. Non si telefona più, si lasciano i “ vocali”. Si risponde con i “ vocali”. E il telefono in tutto questo? Ovvio che il contatto telefonico dia la possibilità di esprimersi in maniera diretta, poi con la voce, che dà forma ed espressione emozionale alle parole, si comprende meglio di chi sta dall’altra parte. Sono molte le incomprensioni che nascono senza un contatto diretto, e che svaniscono dopo una telefonata di chiarimento. Perchè il contatto di persona consente sempre di dissipare eventuali dubbi, eliminare le incertezze ma consente soprattutto di gestire la comunicazione su un piano squisitamente “emozionale”. I mutamenti di natura culturale, sociale, tecnologica e professionale che hanno caratterizzato gli ultimi decenni hanno reso necessaria una riflessione a più voci, perché la cosiddetta “rete” rappresenta oggi l’habitat comunicativo per tutti, ed è quindi importante conoscere, studiare, saper gestire ed avere abilità nell’uso dei linguaggi digitali e nella gestione dell’informazione online. Figure professionali come quelle del giornalista, ad esempio, sono notevolmente cambiate negli ultimi anni: il giornalista non è più colui che semplicemente scrive, ma colui che “ sa scrivere” nei diversi linguaggi digitali .In sostanza, nel tempo dei Social Media, quando gli strumenti per comunicare sono aumentati consentendo una comunicazione più ampia fra le persone, quello che bisognerebbe chiedersi è: “come faccio a comunicare, quali strumenti posso utilizzare per rendere la mia comunicazione efficace?”. E la risposta è: ”gli strumenti ce li abbiamo e dobbiamo solo utilizzarli tenendo conto dell’importanza di ciascuno. Solo in questo modo potremo costruire una comunicazione efficace e consapevole con le persone”. È la realtà del nostro tempo, ormai. La cosa, se compresa nelle sue reali dimensioni, può sicuramente rendere interdetti, generare stupore e anche paura. Ma è proprio questo che può rendere la comunicazione uno strumento monopolistico nelle mani di una elìte mercantile che se ne occupa, e la gestisce in modo talvolta amorale e pragmatico.
Diversi anni fa «Time» incoronò persona dell’anno «You»: «You control the Information Age. Welcome to your world» si leggeva in copertina. Ma è davvero cosi? Siamo noi a controllare l’informazione grazie alla rete? A ben vedere, il «rumore di fondo» ha preso il sopravvento, disorienta i cittadini e ne influenza le decisioni, anche, ad esempio, come agire da elettori consapevoli. E’ possibile operare una scelta ponderata, giusta, sottoposti come siamo al fuoco di fila di notizie inesatte, falsi allarmismi, parole di odio? La Comunicazione sociale come comunicazione al servizio del bene comune, i Media Digitali come ambienti-linguaggi-mezzi da esplorare e sperimentare, la Cultura come laboratorio di coscienza e conoscenza per formare uomini e donne liberi. Questa è la ricetta. Certo, rimarrà la grande sfida di riflettere su cosa dire oggi, perché mentre la tecnologia semplifica i processi di trasmissione, la cosa difficile rimane dire qualcosa di interessante. E vero. Anche se non fa comodo.