di GIANNI DI GIOVANNI.
Resistere al cambiamento è come resistere alla respirazione: si muore per mancanza di ossigeno. Cambiare significa mutare, progredire, passare, trasformarsi da uno stato ad un altro ed è, per questa ragione, una dimostrazione di vitalità ed evoluzione. Se prima dell’avvento di Internet era difficile unire e guidare una “comunità”, era complicato far circolare la voce, coordinarne l’azione e svilupparla rapidamente, con la comunicazione Web si è concretamente realizzato quel global village – che Marshall McLuhan aveva già idealmente prefigurato negli anni Sessanta – dove tutti sono interconnessi all’interno di uno spazio. Col senno del poi, noi professionisti della comunicazione dobbiamo riconoscere al Web il primato di aver saputo al meglio integrare comunicazione interna ed esterna, stimolando un confronto interattivo, bidirezionale e soprattutto trasparente. La comunicazione Web non permette equivoci fra il documento che si manda ai sindacati e il comunicato che si dà ai giornalisti, tra un dossier inviato ad un analista finanziario e la relazione annuale che si redige per gli azionisti. Tutti hanno accesso a tutto e, allo stesso tempo, tutti possono rintracciare il “proprio messaggio” perché, volendo tornare a McLuhan, “il medium è il messaggio” ed è con il linguaggio del Web – immediato, fruibile, stigmatizzato in common tags – che la comunicazione si è definitivamente “globalizzata”.
Comunicare globale è, in primis, comunicare semplice: un passaggio tangibile con l’avvento del Web 2.0, con Facebook, Twitter, Youtube, MySpace, Slideshare, Flickr, Gmail, Msn, Linkedin ed i corporate blog, nuovo e stimolante terreno di prova per quanti operano nella Comunicazione Esterna. La differenza rispetto a prima è significativa: dalla semplice consultazione si passa alla possibilità di alimentare il Web con i propri contenuti. Stando alle ultime rilevazioni Doxa, nelle Rete ci sono 80 milioni di blog e ogni giorno ne nascono almeno altri 100 mila. L’instant messenger e la consultazione dei blog e dei social network risultano essere le tre attività maggiormente svolte su Internet. Non soltanto giornalisti, ma anche scrittori, artisti o semplici blogger, diventano così protagonisti attivi dando vita al citizen journalism. Interessante, soprattutto nel settore dei servizi, delle multiutility e dell’energia, è l’opportunità del customer relationship blog che offre supporto tecnico e commerciale al consumatore. Un tipico caso in cui è lo strumento stesso a cambiare le relazioni.
Utilizzare gli strumenti del Web 2.0 offre molteplici vantaggi, consentendo di:
- ampliare la propria capacità di ascolto e comprensione dell’opinione pubblica, termine ombrello delicato e sottovalutato poiché non esprime soltanto una sommatoria di opinioni stereotipate e manipolabili, bensì un “dibattito” sempre in progress;
- individuare le opportunità più innovative di diffusione dei messaggi: gli utenti dei social media sono singoli individui che non amano essere bersagliati da messaggi pubblicitari celati. Al contrario, esigono di intervenire nel flusso delle informazioni;
- semplificare il messaggio: l’obiettivo è rendere la comunicazione accessibile, eliminando le barriere cognitive e culturali, sensibilizzando al confronto attraverso keywords significative per l’identità aziendale. Per comunicare trasparenza si dovrebbe passare da un approccio divulgativo e unidirezionale ad un approccio inclusivo.
Con la consapevolezza, tuttavia, di non poter controllare:
- la qualità dell’informazione, che nel mondo dei social network in molti casi si sottrae alla verifica e alla rettifica;
- il fattore tempo, elemento essenziale: se per la comunicazione Web era necessario lavorare in tempo reale, con il Web 2.0 la velocità della Rete è persino maggiore, diventa istantanea. Va da sé che, per quanto riguarda lo strumento del corporate blog, se non si può dedicare tempo alla lettura e alla selezione dei messaggi, alle risposte e alla pubblicazione di nuovi post, si rischia di comunicare “assenza”;
- la criticità del passaparola: se prima costituiva una semplice condivisione di comportamenti ed esperienze, la Rete gli ha messo le ali. Le esperienze positive sono immediatamente registrate e condivise, ma, attraverso il tam tam dei forum e delle blog mailing list, gli utenti esprimono altresì e più incisivamente anche quelle negative. La cosiddetta consumer generated media society è diventata una società sotto la sorveglianza del consumatore.
La sfida si fa intrigante e va colta perché le regole della comunicazione stanno cambiando e nel gioco occorre “restarci” da leader. I recenti avvenimenti che hanno visto salire alla ribalta la British Petroleum ci confermano che – anche per un economical giant – nella comunità globale la gestione delle notizie in una situazione d’emergenza è la più delicata delle circostanze in cui capita d’imbattersi. Non soltanto per la portata drammatica di taluni eventi, in molti casi destinati a passare alla storia, ma anche per la dimensione internazionale dello scenario in cui essi avvengono e per la complessità dei pubblici coinvolti. Ormai globale, il processo di comunicazione deve tenere conto del fatto che non ha più soltanto un “pubblico primario”, ma anche quello non direttamente collegato, sebbene influente, degli stakeholders. Alcuni pensano che la “comunicazione dell’emergenza” si riduca a poco più di una sofisticata operazione di pubbliche relazioni a favore della legittimazione del rischio. In poche parole, si limitano a pensare di poter “tranquillizzare” l’opinione pubblica attraverso opinion maker mirati che agiscono sull’agenda mediatica. Strategia adottata dalla BP quando, soltanto un mese dopo l’esplosione della piattaforma petrolifera Deep Water Horizon nel Golfo del Messico, ha ingaggiato l’ex capo delle pubbliche relazioni del Dipartimento dell’Energia Usa, Anne Kolton, per migliorare l’immagine del gruppo, messa a dura prova dalla gestione della crisi, e per rimediare alle pesanti gaffes del CEO Tony Hayward che l’Herald Tribune ha cinicamente ribattezzato “a chief with a foot in the mouth”. In una situazione confusa, senza alcuna notizia sulle cause specifiche dell’incidente, ha rilasciato dichiarazioni spesso in contraddizione con quelle ufficiali e addirittura irrazionali (es. “Ridatemi la mia vita, non ne ho più una”), trasmettendo un grande senso di precarietà. Sensazione amplificata dal sito Internet, dove è stato addirittura lanciato un appello on line per raccogliere idee su come tappare la falla. Se è ancora impossibile stabilire l’impatto economico-finanziario dell’incidente, benché BP abbia già perso un terzo del suo valore azionario, non meno grave sarà quello sulla sua reputazione. Non sarà facile per BP ricostruire la propria credibilità sul mercato globale, né si può pensare di affidare questo compito alla comunicazione soltanto in extremis, quando ormai il danno è fatto e all’azienda non resta che prendere atto di essere impreparati alla comunicazione di massa. Noi lo sappiamo: i rapporti con la stampa, e con gli stakeholders in generale, non s’improvvisano. Poiché una società non può comprare “cultura aziendale” nello stesso modo in cui acquista tecnologia, è responsabilità della Comunicazione Esterna costruirla attraverso una strategia integrata a sostegno dell’identità e della reputazione.
Gianni di Giovanni
Senior Vice President External Communication Eni Spa