Il video di un uomo dato alle fiamme a Hong Kong diventa virale sui social media. E’ successo lunedì scorso, l’11 novembre, com’era già successo il 10 ottobre alla clip del poliziotto che sparava dritto su un manifestante, ferendolo gravemente.

L’uomo torcia è in condizioni critiche per ustioni di secondo grado sul 28% del corpo, concentrate soprattutto su braccia e torace. Questa volta, non si tratta di un contestatore del regime pro Pechino, ma di un contestatore dei contestatori: la sua vicenda è stata sfruttata dalla propaganda cinese.

L’11 novembre è stata una giornata insurrezionale, a Hong Kong: violenze, incendi, saccheggi; e una repressione talora brutale. Ma la governatrice Carrie Lam e le autorità locali mettono l’accento sull’uomo torcia: dare fuoco a una “persona è un atto totalmente inumano e imperdonabile”

Sull’episodio dell’uomo in fiamme vi sono diverse ricostruzioni, non sempre coincidenti: sarebbe avvenuto nel primo pomeriggio alla stazione della metropolitana di Ma On Shan. Nelle immagini, non nitide e montate, la vittima, un uomo di mezza età, è ferito alla testa, si muove barcollando, indossa una maglietta verde e urla contro un gruppo di giovani attivisti, accusandoli di essere “britannici” e non cinesi. La piccola folla radunatasi gli risponde “Siamo tutti di Hong Kong” e gli intima di non colpire nessuno degli astanti. All’improvviso, si fa avanti una persona, che non si vede, versando sull’uomo del liquido infiammabile e dandogli poi fuoco. Il rogo divampa subito, ma non è poi chiaro che cosa sia successo alla vittima: c’è un fuggi fuggi generale e l’uomo resta a terra a bruciare come un cencio.

Della giornata insurrezionale, è la scena che resta più impressa; ed è una scena che forse la racconta al contrario, fa dei presunti buoni i presunti cattivi. Ammesso che i manifestanti pro-democrazia, che vanno in piazza conciati da black bock e agiscono da ‘casseurs’, siano più buoni della polizia che tutela un regime.

Lo stesso strabismo c’era stato il 1o ottobre, quando uno sparo in una strada di Hong Kong fece più rumore del rombare dei carri coi super-missili sulla Piazza Tienanmen a Pechino. Nel giorno in cui la Cina comunista celebrava il 70° anniversario della sua fondazione, sfoggiando una potenza militare inedita, le manifestazioni di Hong Kong sciorinavano di fronte al Mondo le sue fragilità: la difficoltà di dialogare con il proprio popolo, se non è docile e remissivo; e l’incapacità di evitare che il confronto degeneri in scontro.

La sequenza del poliziotto che spara al petto, all’altezza del cuore, a un manifestante di 18 anni divenne per un giorno un’icona come quella del ‘rivoltoso sconosciuto’ che il 4 giugno 1989 si parò, solo e inerme, davanti alla colonna di blindati giunti a sedare la protesta.

Il video era un condensato di violenza: la rabbia del giovane, la paura dell’agente, bardato in tenuta anti-sommossa. La scena era su Hoi Pa Street, nel distretto di Tsuen Wan, sulla baia, di fronte all’isola di Tsing Yi. Il colpo viene esploso a meno di un metro di distanza: l’intento è di colpire, non di dare un avvertimento.

Il giovane si salvò, come s’è salvato l’uomo torcia. La verità su quei due giorni critici a Hong Kong, affidata solo a brandelli di video, è rimasta ferita, forse letalmente.

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Giampiero Gramaglia
Giornalista, collabora con vari media (periodici, quotidiani, siti, radio, tv), dopo avere lavorato per trent'anni all'ANSA, di cui è stato direttore dal 2006 al 2009. Dirige i corsi e le testate della scuola di giornalismo di Urbino e tiene corsi di giornalismo alla Sapienza.