“Internet sta entrando in una nuova fase: siamo più consapevoli delle possibilità e dei rischi, ma il prossimo passo è creare una rete in cui l’individuo sia protetto. Lo snodo centrale della nuova fase sarà creare regole adeguate e queste regole dovranno basarsi su valori condivisi” ha aperto così il suo intervento Nick Clegg, vice-presidente affari internazionali e comunicazione di Facebook, alla conferenza a lui dedicata, “The fight for the soul of the Internet” presso l’università Luiss di Roma.
“È già da un po’ di tempo” ha continuato Clegg, “che assistiamo a una polarizzazione netta del digitale: da un lato c’è il modello americano ed occidentale che, con tutti i suoi difetti, prova a migliorarsi nel nome della libertà d’espressione e di concorrenza delle imprese; dall’altro c’è l’internet cinese, basato sul controllo opprimente dello stato che decide cosa si può pubblicare e cosa no, di cosa si può parlare e quanto si può sapere su un determinato argomento”. Insomma, secondo Clegg non bisogna abbandonarsi alle analisi pessimistiche sui danni che il web e i social network stanno producendo alle nostre società ma bisogna tentare costantemente di migliorarsi. Si definisce un “techno-optimist” in quanto “la tecnologia non è né buona né cattiva”, sicuro del fatto che le tecnologie, da qualche anno soggette a uno sviluppo rapidissimo, ci aiuteranno a crescere come individui e come società. Del resto ogni avanzamento tecnico e tecnologico è stato foriero di eventi contrastanti: la stampa ci ha dato la possibilità di leggere, scambiarci e conservare le opere di Shakespeare ma anche di far diffondere il “Mein Kampf”; la radio ha portato la cultura e la musica nelle case di tutti ma è stata un strumento cardine per la propaganda dei regimi dittatoriali.
“Fino a qualche anno fa erano in molti a essere convinti che Internet avrebbe risolto tutti i nostri problemi, nel frattempo si è sviluppato il fronte degli scettici e poi dei nemici della rete, ora il pendolo si è spostato sul terreno del sospetto: ci si chiede chi raccolga i nostri dati, come siano usati, chi li immagazzini e chi ci guadagni”. Sono dubbi legittimi, riconosce Clegg, ma aggiunge che Facebook e le altre società del web costituiscono un nuovo tipo di compagnia e per questo hanno un nuovo tipo di responsabilità. “Ad esempio, noi non creiamo i contenuti ma abbiamo la responsabilità di porre di limiti (per tutto ciò che non è già sanzionato dalla legge, ovvio). Ed è una responsabilità che ci diamo noi, contrariamente a quanto si afferma con leggerezza, i nostri sistemi sono molto meno misteriosi di quanto si pensi. La domanda fondamentale, quindi, diventa: dove mettiamo la linea tra libertà d’espressione e contenuti pericolosi?”. A tale proposito Clegg ha raccontato i progressi fatti da Facebook nel controllo degli account fasulli, delle “fake news” e dell’ “hate speech”, grazie a investimenti significativi, a molte assunzioni di addetti alla verifica dei contenuti e degli account (circa 35 mila, tre volte in più rispetto a qualche anno fa) e ad algoritmi sempre più precisi. Secondo alcune ricerche, infatti, il numero di “fake news” diffuse sarebbe calato del 50% dal 2016 a oggi.
“In breve” chiosa Clegg, “crediamo di aver imparato dai nostri errori e crediamo di essere sulla strada giusta, ma non possiamo svolgere questo cammino da soli. Siamo disposti a lavorare con la Comunità Europea, con il Parlamento Europeo e con i singoli stati per creare un sistema più giusto e condiviso”. Ed è proprio il ruolo centrale dell’Unione Europea che ha costituito uno dei punti forti del discorso di Clegg. Sebbene il nostro continente non abbia la potenza commerciale dei giganti tecnologici americani o cinesi, è considerato un faro a livello mondiale in materia di legislazione e controllo democratico e il GDPR ne è la prova. “Tuttavia, non bisogna insistere sulla strada della repressione per le aziende di successo: cercare di smantellare un’impresa solo perché fa bene ciò per cui è nata è un atteggiamento deleterio. Bisognerebbe, al contrario, dotarsi di nuove regole, mettersi al lavoro seriamente, magari anche con gli attori privati principali, per creare l’internet di domani. Noi, come azienda, siamo impazienti di essere indirizzati”.
Nell’ultimo passaggio del suo discorso Clegg si è soffermato sui “big data” affermando che, nonostante “data” sia una parola tecnica, indica qualcosa di molto profondo: cosa ci piace e cosa non ci piace, chi amiamo, la nostra comunità, alcuni dei nostri desideri, in estrema sintesi un ritratto della nostra personalità dipinto con tanti 0 e 1. “Per questo l’affidabilità in tale dominio è tutto. Noi, come azienda, vogliamo rendere l’esperienza su Facebook interattiva, coinvolgente, adeguata a ciò che l’utente ama. Ma come troviamo il giusto equilibrio tra le regole che riguardano i dati e la privacy dovuta a ogni utente? Tali regole devono essere stabilite dalla politica e non da compagnie private come Facebook; anche se noi siamo più che disposti a dare il nostro contributo”.
“Spesso” ha concluso Clegg, “i politici europei dicono che bisognerebbe costituire un modello alternativo a quello americano e cinese. Io sono un impiegato di Facebook ma anche un fiero europeo e spero che il prossimo gigante tecnologico possa nascere qui. Per far sì che questo accada c’è bisogno del background adeguato. La più grande riforma del sistema europeo non dovrà passare per forza attraverso la creazione di nuove regole ma potrà anche originarsi dalla creazione di un unico “mercato digitale” dove siano presenti centinaia di milioni di persone. A differenza dei suoi rivali la UE ha al suo interno diverse lingue e culture e questo svantaggio pratico non sarà mai eliminato, ma diventerà un vantaggio nel momento in cui riuscirà a essere messo a valore. Ad esempio: se una legge può essere accettata in Europa, nonostante tutte le sue anime differenti, può essere accettata ovunque. Credo che sia auspicabile che i valori europei costituiscano il cuore della regolamentazione anche degli altri stati al di fuori dell’Unione; non a caso spesso gli altri paesi guardano a Bruxelles come un faro. A livello economico, invece, la Ue deve essere in grado di creare le condizioni perché il successo di uno possa dare impulso al successo degli altri, anche dei più piccoli. L’economia digitale produce valore reale e non può essere più disgiunta dall’economia di mercato, ne sono la prova le centinaia di aziende italiane ed europee che grazie a Facebook hanno trovato nuovi canali di pubblicizzazione e di vendita”.