La rincorsa, spesso caotica, ad una app miracolosa per salvarci dal Covid-19 cui si sta assistendo in questi giorni è forse anche frutto di una necessità mediatica di far vedere che si sta facendo qualcosa. Che non sia un problema tecnologico mi pare evidente. Al bando del Ministero dell’Innovazione hanno risposto nel giro di pochi giorni centinaia di aziende, a riprova di esistenza diffusa di tecnologia e know how.
Inoltre, app di questo genere sono state utilizzate in Cina, Sud Corea, Taiwan e Singapore dimostrando una notevole efficacia. Se però andiamo ad esaminare queste app scopriamo che la loro efficacia non è legata alla tecnologia, bensì al modo di utilizzarla, nello specifico nella obbligatorietà di avere l’app attiva ogni volta che si esce di casa (unita al monitoraggio, possibile anche da remoto), che l’utilizzo sia controllato con relative sanzioni “certe” nel caso si sgarri. Non solo, queste app trovano il loro valore nella misura in cui sono percepite come elemento di controllo stretto, a cui non si sfugge, portando quindi a comportamenti che diminuiscono le probabilità di contagio.
Un ulteriore elemento, fondamentale, è che queste app generano dati che vengono analizzati da sistemi di correlazione per evidenziare possibili rischi. E’ la correlazione che rappresenta l’elemento fondamentale nell’efficacia di questo tipo di app. Correlazione significa anche la capacità di distinguere tra un probabile contatto (sono stato vicino ad un’altra persona per 3 minuti durante i quali questa ha tossito (rilevato dall’accelerometro del telefonino del tossicchiante) rispetto ad un contatto inesistente in quanto ero sì vicino ad un’altra persona ma c’era un muro tra noi per cui di infezione non se ne parla proprio.
E’ evidente come il modo (non la tecnologia) in cui pare si voglia utilizzare la app in Italia (e in altri Paesi con la cultura della privacy) non possa portare al tipo di efficacia che ha potuto dare altrove. Rendere la app facoltativa (a seconda del fattore R del virus, nel nostro caso siamo -forse- intorno a 3, il numero di adesioni reali deve essere all’incirca simile a quello che porta alla immunità di gregge, cioè =1-1/R il che significherebbe una adesione di almeno il 60% delle persone) diminuisce di molto sia la sua effettiva penetrazione sia l’adozione da parte di quella fascia di “furbi” che in realtà dovrebbe essere quella più importante da coinvolgere.
Inoltre qui si parla di tracciamento (a posteriori) mentre quello che renderebbe la app efficace è il monitoraggio… ma allora addio privacy.
Siamo quindi al punto che questa app è completamente inutile? No, anche una adozione bassa è potenzialmente in grado di diminuire le probabilità di contagio e aumentare il contenimento, cioè abbassare il fattore R e sappiamo quanto la velocità di espansione dell’epidemia sia sensibile anche a piccoli decrementi del numero.
Tuttavia, il mio rammarico maggiore è che i governi occidentali, ma anche i media che in fondo sono le leve più forti nel creare cultura e indurre comportamenti responsabili, non si rendano conto che questa crisi è una enorme opportunità per ripensare molti aspetti del sistema sanitario, creando una rete di prevenzione piuttosto che correre a tappare buchi. Passare ad una infrastruttura di sanità digitale permetterebbe di prepararsi alle crisi che verranno, così come hanno fatto diversi paesi colpiti anni fa dalla SARS e MERS. La mia paura è che questa epidemia non ci insegni nulla in termini di prevenzione. Nascondersi dietro alla bandiera della privacy, pur importante, mi sembra un non voler riconoscere la situazione e neppure il fatto che la nostra privacy viene violata dai controlli di velocità, dalle auto certificazioni per non parlare del nostro quotidiano abdicare alla privacy sui social media, sulle carte di fedeltà, sugli acquisti on line…
Mi viene in mente cosa potrebbe dire il buon Totò: … ma mi faccia il piacere…