Come hanno vissuto i drammatici mesi del lockdown i bambini e le loro famiglie? Questa la domanda che si posti pediatri e professori che insieme hanno organizzato e prodotto la ricerca Bambini e lockdown: la parola ai genitori.
Lo studio è stato presentato sulle pagine Facebook di Media Duemila e Orwell.biz con Paolo Ferri ( Bicocca) anche promotore dell’evento, Marina Picca SICuPP Lombardia), Susanna Mantovani (Bicoccca), Paola Manzoni (pediatra), Stefano Moriggi (Bicocca) e Maria Pia Rossignaud (Media Duemila e Osservatorio TuttiMedia) moderatrice. Lunedì 19 ottobre un ai bambini, riflessione che svolta la sezione lombarda della Società Italiana delle Cure Primarie Pediatriche (SICuPP Lombardia) con la collaborazione di un gruppo di ricercatori dell’Università di Milano-Bicocca e della spin off dell’Università di Milano-Bicocca “Bambini Bicocca che ha proposto numeri positivi perché non si sono evidenziate drammaticità nei questionari che soprattutto le mamme hanno accettato di compilare.
Infatti secondo i dati raccolti dal questionario, le famiglie sentono di avercela fatta, seppure con alti e bassi e ci sono diversi aspetti positivi, alcuni anche inattesi come l’aumento di solidarietà tra i gruppi familiari stessi, accanto a quelli più problematici che riguardano direttamente la crescita e lo sviluppo dei più piccoli. Tuttavia, tra conferme e sorprese che tra poco proveremo a sintetizzare c’è un dato che Maria Pia Rossignaud ha sottolineato in conclusione: i bambini hanno dimostrato grandi capacità di resilienza.
“Quando abbiamo pensato a questo questionario” ha esordito Marina Picca, Presidente e coordinatrice scientifica del progetto per i pediatri di SIcuPP Lombardia “ci trovavamo verso la fine del lockdown che per tutti è stata un’esperienza straordinaria. Abbiamo capito che durante quel periodo di chiusura c’era stata una perdita delle attività, delle abitudini, della quotidianità, in altri termini avevamo assistito a un cambiamento nei ritmi di vita e nelle relazioni pre-esistenti. Da ciò nascevano una serie di preoccupazioni riguardo alle difficoltà e ai disagi che le famiglie avevano mostrato a noi pediatri e per questo abbiamo voluto dotarci di uno strumento che ci aiutasse a documentarci e a raccontare quanto avvenuto durante i mesi dell’emergenza Covid. Crediamo che fosse importante lasciare una traccia, anche per le valutazioni che si faranno in futuro”.
A spiegarci nel dettaglio le modalità dell’indagine è intervenuta Susanna Mantovani, Coordinatrice scientifica di “Bambini Bicocca”, che sottolinea quanto sia stato importante sottoporre il questionario alle famiglie mediante la rete dei pediatri di famiglia, un “settore sensibilissimo e non spesso usato”. Nello specifico si sono approntati due questionari simmetrici, uno per i bambini di fascia d’età compresa tra i 12 mesi e i 5 anni e l’altro per quelli tra i 6 e gli 11 anni. Il campione interrogato proveniva da tutte le province della regione Lombardia e le famiglie da un’estrazione sociale medio-alta. “La partecipazione è stata sorprendente” evidenzia Mantovani, “abbiamo ricevuto 3443 risposte per 6000 bambini coinvolti, segno del fatto che le famiglie sentivano il bisogno di esprimersi”.
Ciò che emerge dallo studio è che, nonostante tutto, ci sono stati anche dei risvolti positivi: i bambini di entrambe le fasce d’età hanno dimostrato una buona accettazione delle regole e un miglioramento dei rapporti familiari. I più piccoli hanno addirittura mostrato progressi significativi nella propria autonomia e nelle competenze linguistiche. Le note dolenti riguardano gli aspetti della salute e dell’emotività: se nella seconda fascia l’alimentazione è rimasta invariata, i più piccoli hanno fatto segnare una significativa riduzione dell’appetito che, come spiega Paola Manzoni, pediatra, ha una spiegazione scientifica: “sotto i 6 anni il bambino ha una regolazione dell’appetito più ferrea e regolare rispetto ai bimbi più grandi e agli adulti; più energia spende e più mangia, essendo recluso in casa il suo fabbisogno diminuisce”. Del resto, in entrambe le fasce d’età si riscontra un aumento del consumo di snack che però sono tutti d’accordo nell’imputare alla voglia di interrompere la routine, di svagarsi e di introdurre diversivi nella scansione del tempo. Un cambiamento che ha accomunato sia i piccolissimi che i più grandicelli è l’irregolarità dei ritmi del sonno. Ci aiuta di nuovo Paola Manzoni a capire che “i bambini hanno bisogno di ritmi e cadenze particolari, la mancanza dei tempi e delle modalità della quotidianità ha alterato completamente le loro abitudini e, di conseguenza, il sonno è stato il primo aspetto che ha subito variazioni in senso peggiorativo”.
Ma qui il discorso si complica, secondo Picca, gli aspetti emozionali ed emotivi hanno confermato alcune tendenze che si erano supposte in fase di elaborazione: i bambini si sono dimostrati più irritabili, i più grandi hanno ricominciato a fare i capricci e si è diffuso in entrambe le fasce d’età un senso di paura, fomentato anche da paure nuove, che ha influito direttamente sui limiti del sonno. Per citare un dato Il 30% dei bambini si risvegliava più volte durante la notte.
A cosa imputare questo cosiddetto senso di paura? Secondo Paolo Ferri, docente del Dipartimento di Scienze umane per la formazione dell’Università di Milano-Bicocca: “la televisione, lasciata spesso come sottofondo in casa, in questi mesi ha fatto registrare un aumento significativo dell’utilizzo da parte delle famiglie. I bambini erano così esposti costantemente ai notiziari e ai programmi che diffondevano le notizie drammatiche di quelle settimane. Ciò ha sicuramente influito direttamente sul loro immaginario, senza contare, che il questionario ci rivela che l’esposizione media dei bambini più grandi allo “schermo” (sia tv, sia dispositivi informatici: pc, tablet, smart-phone) si è attestato tra le 4 e le 6 ore e per i minori tra una e due ore”. Queste statistiche però ci consegnano anche un’altra conclusione: la socialità risulta fortemente spostata verso il guscio domestico ma anche, a sorpresa, verso le relazioni on-line con i propri coetanei. I bambini hanno avuto la tendenza ad abbandonare la visione solitaria di video e il gioco on-line per spostarsi verso le chat (soprattutto su Instagram e Whatsapp) e mantenere i rapporti con i propri coetanei. Ciò ha causato anche qualche piccolo rimorso a una parte dei genitori che si sono sentiti in colpa per aver lasciato troppo i bambini soli con i dispositivi informatici. Inoltre, l’esperienza della didattica a distanza che, sebbene sia stata giudicata positiva dal 52% dei genitori, lascia molti interrogativi aperti e soprattutto delle differenze sostanziali tra asili nido e scuole materne da un lato (più attente alle attività educative in senso ampio) e la scuola primaria dall’altro (più legata alla disciplina scolastica).
Proprio sulla didattica a distanza e sui suoi risultati si è concentrato Stefano Moriggi, docente dell’Università di Milano-Bicocca, che sottolinea come: “il virus e l’epidemia hanno rappresentato, al netto de drammi causati, una lente d’ingrandimento delle famiglie e della scuola e di come queste interagiscono con strumenti che chiamiamo “nuovi” ma che nuovi non sono più. Per la realtà che è stata indagata i risultati sono incoraggianti, le famiglie, nonostante tutte le difficoltà, hanno dimostrato di avercela fatta. Ma” si chiede Moriggi, “per quanto riguarda la didattica a distanza, quanto è correlata la soddisfazione di avercela fatta con l’effettiva qualità delle relazioni messe in campo?”. Tutti i pedagoghi intervenuti hanno convenuto che è fondamentale che la didattica a distanza non sia una pedissequa riproduzione della scena didattica in aula, attuata attraverso lezioni frontali in cui si incollano i bambini per ore agli schermi, ma che necessiti di modalità differenti.
In ultima analisi, come emerge dai risultati dell’indagine, i bambini hanno dimostrato di saper accogliere velocemente i cambiamenti, anche quelli dei dispositivi e delle modalità di apprendimento. È evidente che sono gli adulti a doversi adeguare ai cambiamenti. Il che ci dimostra nei fatti la resilienza di cui parlavamo in apertura. Di contro, la presenza di nuove paure, le difficoltà nel mantenere l’attenzione o la frammentarietà dell’apprendimento, il senso di svogliatezza rispetto alle attività non ludiche e i disagi alimentari e del sonno, ci consegnano un quadro in cui la tutela e l’attenzione ai più piccoli sia più che mai importante. “Studi come questo” ha aggiunto Moriggi, “sono fondamentali per avere un quadro della situazione serio e dettagliato in modo da intervenire direttamente dove ce n’è più bisogno”.
“D’altronde” come ha ricordato Rossignaud,” bisognerebbe applicare un modello virtuoso di collaborazione tra accademia e medici direttamente impegnati sul territorio anche in altre regioni d’Italia in cui la scarsità di alfabetizzazione digitale o di strumenti adeguati potrebbe delineare un contesto più problematico”.