Di Giovanni Giovannini, s’è celebrato lo scorso anno il centenario: era nato a Bibbiena, in provincia di Arezzo, il 30 maggio 1920; e lo si è ricordato il 10 dicembre, alla consegna del premio Nostalgia di Futuro a lui intitolato e giunto alla XII Edizione.
Ogni anno, il premio è per me l’occasione per rinnovare il ricordo riconoscente di un personaggio che mi fu mentore, direttore, presidente e da cui ho imparato molto di quel che so del mestiere.
Quest’anno, seguendo online, nel segno dei tempi, l’evento del premio, che Maria Pia Rossignaud, la direttrice di Media Duemila, la rivista fondata da Giovannini, riesce sempre a infittire d’interventi tecnologicamente stimolanti e professionalmente competenti, mi sono sorpreso a chiedermi quale sarebbe stato il rapporto di Giovannini con i social.
Quando Giovannini morì, a Torino, l’8 ottobre 2008, Facebook già esisteva da qualche anno, Twitter era stato appena creato l’anno prima, e i loro antesignani, My Space e Second Life, erano già al tramonto delle loro effimere fortune. Ma non era ancora chiaro – o, almeno, non lo era a me – il posto e il peso che i social avrebbero acquisito nella comunicazione e nell’informazione.
Che ‘twittatore’ sarebbe stato Giovannini?, compulsivo alla Donald Trump?, o riflessivo?, o estemporaneo, utilizzando lo strumento per trasmettere un’idea più che un’informazione? E, soprattutto, che rapporto avrebbe avuto con l’assenza di responsabilità delle piattaforme social rispetto a quanto veicolano: sarebbe stato d’accordo, nel nome della libertà d’espressione?, o sarebbe stato piuttosto dell’idea di equipararle a dei media e, quindi, in quanto tali, di renderle responsabili delle bufale e degli allarmi che contribuiscono a rendere virali, traendone pure vantaggio economico?
Interrogativi, ovviamente, senza risposta, anche se, nell’etica del giornalista, che in Giovannini era radicata, c’è che l’opinione è libera, ma la notizia deve essere vera, o quanto meno verificata. Me li sono tornati a porre pochi giorni or sono, quando – finalmente? – Facebook e Twitter e Snapchat e YouTube e altri hanno adottato misure per limitare i deliri online del presidente degli Stati Uniti.
Lo hanno fatto una volta sicuri che Trump avesse perso le elezioni; e soltanto dopo che aveva fatto il passo falso – grave e criminale – d’incitare i suoi fans alla presa del Campidoglio, per convincere il Congresso a rovesciare l’esito del voto. E lo hanno fatto dopo avere profittato per quattro anni dell’enorme volume di traffico, pro e contro, suscitato dai tweet e dai post di Trump, della cui inaccuratezza e pericolosità hanno apparentemente cominciato a rendersi conto o a curarsi solo durante l’ultima campagna elettorale.
Trump censurato?, o Trump untore? L’uno e l’altro, direi. Ed è giusto censurare l’untore? Non ne sono sicuro, ma certo è giusto impedirgli di nuocere. E se oscuriamo Trump chi altri dovremmo oscurare?, sull’orizzonte mondiale – Putin?, Xi?, Khamenei?, il principe ereditario saudita presunto mandante d’atroci delitti?, Kim Jong-un? – e a casa nostra, tra improvvisatori e mestatori?
Più che la censura, lo strumento che forse piacerebbe a Giovannini sarebbe un fact checking competente e tempestivo: non affidato a macchine, per quanto artificialmente intelligenti, e regolato da algoritmi; ma fatto da giornalisti, uno stuolo di giornalisti. Facebook & C. se li possono permettere.