di MARIO MORCELLINI       

I dati negativi ci sono, ma non sono l’unico elemento che caratterizza la lettura ed il giornalismo. È curioso che nel dibattito pubblico passino essenzialmente solo i dati della crisi e i dati della cronaca nera della crisi del giornalismo. Forse uno dei temi in cui si è più somatizzato il pessimismo dei giornalisti è l’incredibile indulgenza che hanno nei confronti della cronaca nera.

C’è una fantastica frase ne Il nome della rosache dice così: “non c’è prova più convincente dell’esistenza del diavolo di quella dei negatori, cioè di coloro che negano che esso esista davvero”. Gli apocalittici sono i peggiori. È tipico delle correnti culturali giovanili quello di cercare di interrogarsi sui motivi della crisi vedendo il tipo di bisogni soddisfatti dalla Rete e dalla multimedialità. È un lavoro molto interessante perché fa capire bene i cambiamenti nel rapporto che c’è tra lettore e testo, tra carta stampata, lettori e fruitori, ma non è l’unico modo per arrivare a delle certezze, anzi sono convinto che questi dati sono interessanti se noi li contestualizzassimo.

Il primo è che la crisi del giornalismo è una costante di questo mestiere. Se andate indietro nel tempo in uno straordinario libro Jan Baudrillard parlava di settimanalizzazione dei quotidiani. Con l’avvento della televisione si iniziò a pensare che il giornale quotidiano dovesse narrare il mondo come se fosse un testo scientifico, la televisione doveva dare la prima notizia e i giornali l’interpretazione, parola che poi è andata sostituita con tematizzazione. Questa parola ha invaso il dibattito pubblico per dieci anni; i giornalisti della carta stampata, non solo quelli dei quotidiani, non reggevano lo stress dell’arrivo del telegiornale. Ricordiamo le lotte, che anche il sindacato spesso incoraggiava, contro le rassegne stampa in televisione. Si diceva che avrebbero fatto perdere copie, una vera follia dal punto di vista della tematizzazione.

I cambiamenti di questi anni sono strepitosi ed è sconvolgente che si vedano solo gli aspetti negativi.

Invito tutti a valutare anche il declino della televisione, non c’è confronto tra i suoi numeri soprattutto in termini di classi di età (giovani) e la crisi del giornalismo tradizionale.

Negli ultimi 15 anni assistiamo alla crisi di tutto ciò che viene dal realismo, non solo nel giornalismo. È vero che anche i giornali specializzati condividono la crisi ma le percentuali sono diverse rispetto ai giornali omnibus. Seguendo industriaramente i dati, spiragli si aprono, solo che questi non vengono perseguiti, non c’è una vera copertura culturale delle informazioni.

I cambiamenti più forti sono in due dimensioni imprevedibili. Dal 1993 ad oggi c’è uno straordinario ritorno degli italiani, giovani compresi, sui consumi culturali che in passato avremmo definito d’élite, senza andare a scomodare la Rete, perché se ci riferiamo anche all’on line l’attivismo dei giovani è impressionante, prepara davvero un mondo diverso. Si tratta di contenuti culturali che non sospettereste: c’è un ritorno al teatro, al cinema, che dicevamo sarebbe morto sotto i colpi della Tv, la visita a musei e mostre. Oggi tutti i consumi di qualità vanno forte. Potremmo addirittura prevedere adesso i consumi dei prossimi 5 anni. Lo facciamo da sempre e qualche volta abbiamo anche sbagliato, ad esempio sul cinema. Un tempo condividevamo con la sinistra dell’epoca l’impressione che il cinema sarebbe stato massacrato dalla Tv ed oggi dobbiamo ricrederci perché il cinema va forte e la televisione che è più moderna del cinema è in crisi. Questo significa che le previsioni devono essere fatte con più attenzione.

Chiudo con il dato più bizzarro e che riguarda la lettura: gli adulti non leggono. I giovani, che non sono mai stati lettori accaniti, stanno aumentando nella lettura intensa, cioè 12 libri all’anno (la cosiddetta lettura “eccitata” a differenza della lettura “frigida” di soli 3 libri all’anno) che in un paniere di possibilità tecnologiche illimitate significa che è una scelta, non come per noi che era l’unico deposito di immaginario che avevamo. I dati dicono che la lettura intensa resiste o aumenta e che la lettura intermittente è in crisi; ciò vuol dire che non è la carta, il dispositivo, che è in crisi ma è una vertenza di contenuti, di empasse con le culture giovanili, di invecchiamento della cosiddetta “messa cantata del giornalismo“. Non tutti i dati sono così positivi ma essi sono importanti soprattutto per posizionare una ricostruzione del messaggio del giornalismo che quindi potrà essere reinventato.

Mario Morcellini

Preside Scienze della Comunicazione, “Sapienza”, Università di Roma

Articolo precedenteGiornalismo e pubblicità separati in casa
Articolo successivoISMETT, ospedale paperless, festeggia i primi 1000 trapianti