Con l’allentamento delle misure anti-pandemia e la ripresa, che io preferivo più cauta e graduale, delle attività in presenza, ho dovuto riprendere a viaggiare in auto in lungo e in largo per l’Italia – per il treno, attendo il richiamo del vaccino -. E i miei spostamenti sono scanditi dai giornali radio: non me ne perdo uno, adeguando le soste ai loro orari. Da giorni, il tema quasi unico, e comunque dominante, è il Piano nazionale di ripresa e resilienza, il Pnrr – che brutto acronimo, e pure che brutto nome! -, messo a punto dal governo, presentato al Parlamento, approvato dal Parlamento, varato dal governo, trasmesso alla Commissione europea, da cui ci aspettiamo la manna dei fondi per uscire dalle peste della pandemia e della crisi che ne è derivata.
Sul sito del Ministero dell’Economia e della Finanza leggo che il Pnrr “è lo strumento per cogliere la grande occasione del Next Generation EU e rendere l’Italia un Paese più equo, verde e inclusivo, con un’economia più competitiva, dinamica e innovativa”; e mi si allarga il cuore. Il sito prosegue: “Un insieme di azioni e interventi … per superare l’impatto economico e sociale della pandemia e costruire un’Italia nuova, intervenendo sui suoi nodi strutturali e dotandola degli strumenti necessari per affrontare le sfide ambientali, tecnologiche e sociali del nostro tempo e del futuro”.
Con questi obiettivi, l’Italia adotta una strategia complessiva che mobilita oltre 300 miliardi di euro, il cui fulcro è rappresentato da oltre 210 miliardi delle risorse del programma Next Generation Ue, integrate dai fondi stanziati con la programmazione di bilancio 2021-2026. “Un ampio e ambizioso pacchetto di investimenti e riforme in grado di liberare il potenziale di crescita dell’economia, generare una forte ripresa dell’occupazione, migliorare la qualità del lavoro e dei servizi ai cittadini e la coesione territoriale e favorire la transizione ecologica”.
Mentre viaggio in auto, sento parole e concetti analoghi echeggiati nei Gr quasi ‘a reti unificate’. E mi immagino un’Italia di qui a pochi anni più equa e più dinamica, più verde e più efficiente, dotata d’infrastrutture adeguate e banda larga ovunque. E ho molto tempo per questi miei pensieri; troppo, perché le autostrade che percorro sono lentissime: cantieri aperti, con lunghi tratti di corsia unica, incolonnati dietro i tir; gallerie e viadotti in rifacimento.
Fantastico di banda larga, ma – di coda in coda – mi trovo a chiedermi se sapremo davvero cogliere “la grande occasione del Next Generation EU”, noi che apparentemente non abbiamo saputo cogliere la piccola, ma facile occasione di aprire i cantieri sulle strade mentre l’Italia era chiusa, dando lavoro senza creare disagi. Oppure la situazione di strade e soprattutto gallerie e viadotti era così drammatica che, dopo il crollo del ponte di Genova, siamo corsi ai ripari, ma non c’è stato ancora modo tempo per riparare tutti i guasti – e qui guidando mi prende un brivido -.
Quelle corsie uniche e strette sono un monito dell’inefficienza e un inno alla lentezza e un handicap per le scommesse della nostra estate e della nostra ripresa, tipo il turismo. E neppure mi convince un altro ritornello dei Gr ‘a reti unificate’ che accompagnano i miei viaggi: finché c’è Draghi, c’è speranza di un’Italia europea. Forse, ma voglio vedere adesso che si entra nel semestre bianco e, poi, dopo l’elezione del successore di Sergio Matterella. Ho la percezione che i partiti ora siano contenti che Draghi faciliti l’apertura dei rubinetti da parte della Commissione europea, ma che poi vorranno gestire loro il flusso e la destinazione di quei miliardi. E il rischio è di ritrovarsi senza bande larghe e con le corsie ancora strette.