Piccolo dizionario della grande trasformazione digitale, a cura di P. Pozzi, con testi di Silvia Boero, José M. Cerruto, Roberto Cresti, Riccardo Poggi, Marco Severini; Aras Edizioni.
Pieraugusto Pozzi, ingegnere di professione, ha ideato un dizionario composto da 26 parole non tutte di uso comune, ma molto attuali. L’obiettivo è quello di dare ai giovani uno strumento che generi “una società della conoscenza che abbia consapevolezza e coscienza del proprio presente-futuro digitale e che non sia preda di apparati cognitivi artificiali sempre più perfezionati e pervasivi, mentre paradossalmente non si riduce l’ignoranza individuale e sociale”.
Ingegnere elettronico, Pozzi, negli Anni 80, ha lavorato nell’industria e nella ricerca sulle reti di calcolatori. Dagli Anni 90, direttore del Forum per la Tecnologia dell’Informazione, ha coordinato vari rapporti su diversi aspetti del digitale. Dal 1996 condirettore della Collana Società dell’Informazione e della Comunicazione edita da Franco Angeli, ha avuto incarichi di docenza universitaria e pubblicato saggi ed articoli.
Nel suo lavoro, Pozzi analizza per il lettore una serie di termini ormai entrati nel quotidiano, che segnano la grande trasformazione digitale. Stiamo vivendo in un presente che non è paragonabile a quello dei nostri avi e per capirlo meglio dobbiamo prendere confidenza con questi nuovi concetti o personaggi – ci sono Steve Jobs e Xi Jinping, accanto a QAnon e infodemia -.
Algoritmo, Big Data, Contemporaneità, Digitale: sono le prime voci di questo viaggio nella trasformazione digitale e culturale. Gli effetti prodotti dall’innovazione continua hanno rimodellato la cultura attraverso forme di comunicazione nuove; l’invasione tecnologica ha cambiato radicalmente aspetti della vita sociale, politica ed economica.
Se prima leggere il giornale era passi comune a molti, oggi l’ingente numero di piattaforme di news disponibili fa sì che la stampa raccoglie meno del 10% del mercato pubblicitario globale, mentre il 45% è preda di giganti del web come Google e Facebook.
Alla fine degli Anni 70 l’informatica, la radio e le telecomunicazioni erano rigidamente separate. Ma con l’avvento della microelettronica la convergenza digitale ha unificato informatica e comunicazioni. Da quel momento, sono arruivati personal computer, telefonia mobile, web, motori di ricerca, social network, smartphone e così via.
Con la pandemia, questa trasformazione ha accelerato il passo, in un panorama di uomini e macchine in cui il digitale non è più solo uno strumento operativo e gestionale, ma cambia il metodo di apprendimento, il lavoro e le relazioni tra le persone. Tutto ciò ha inevitabilmente influito sulla cultura e sul concetto di libertà.
L’assenza di confini e barriere nella giungla del web nasconde, dietro un’apparente positività, lati oscuri di disinformazione, sfiducia, diseguaglianza. Se da un lato la comunicazione digitale abbatte le barriere e le distanze tra le persone, dall’altro gli spazi pubblici si riducono a favore di quelli privati e personali. Tutto ciò sfavorisce una pubblica informazione con conoscenze aperte e ben verificate.
Dopo la pandemia il valore di mercato delle società che agiscono tramite piattaforme è salito. Si fa strada un approccio cumulativo e informativo, schiacciato sul presente, che non sfrutta il patrimonio documentale disponibile, ma ne confonde autorevolezza e origine.