Media Duemila pubblica l’intervista fatta ad Alberto Valeri esperto di design editoriale, uno dei più famosi e ricercati chirurghi plastici di giornali.
Il 2043 (secondo la teoria di Philip Meyer), o peggio ancora il 2014 (secondo la teoria degli studenti della Columbia University) sono indicate come le date in cui verrà stampata l’ultima copia del New York Times: i giornali cartacei continuano a perdere lettori e pubblicità e presto moriranno. Cosa ne pensa di queste previsioni? Quale sarà secondo lei il futuro dei giornali?
Quando è uscito il libro di Meyer, ormai qualche anno fa, abbiamo inteso le sue previsioni più come una provocazione, che un elemento della realtà. Certo prima o poi andremo al funerale del giornale cartaceo e questa non è una bella notizia ma, banale dirlo, tutto ciò fa parte della storia del mondo: non dobbiamo quindi sorprendercene più di tanto.
Io però farei una distinzione tra giornali a vocazione nazionale e quelli a vocazione locale. Credo che i primi e i dati di vendita lo dimostrano, non se la stiano passando bene e, tra questi, proprio il New York Times. Mentre se guardiamo con più attenzione i giornali locali, quelli a bacino regionale o provinciale, scopriamo che, pur non crescendo, tengono bene la loro quota di mercato. E questo è un dato importante ed anche incoraggiante. L’informazione locale veicolata dalla carta stampata rimane ancora leader del proprio territorio.
Pensa che il calo o la crisi nelle vendite della carta stampata sia imputabile al concetto di gratuità che ha sviluppato la Rete o da altre motivazioni? È da considerarsi un errore, da cui non si torna indietro, concedere la lettura gratuita su Internet da parte dei quotidiani?
Non c’è dubbio che Internet ha contribuito a far sì che i lettori si spostassero dal quotidiano al sito web. Ma questa non è l’unica causa della crisi delle vendite. I nostri quotidiani, così come sono fatti, sono creati per un pubblico maturo, adulto. Questo scoraggia ulteriormente i lettori più giovani dalla lettura dei giornali cartacei. Anche se La Gazzetta dello sport, quotidiano cartaceo, vende benissimo tra i giovani. Quindi, mi pare, non è tanto un problema di mezzi ma soprattutto di contenuti.
Non è però facile costruire un prodotto giornalistico trasversale, cioè che soddisfi i vari target. Due anni fa mi sono occupato della riforma grafica de Il Giornale. Tra gli obiettivi del direttore, all’epoca Mario Giordano, c’era quello di raggiungere anche il mondo dei giovani. Nonostante i suoi sforzi, e vi assicuro che l’offerta giornalistica era di prim’ordine, i numeri non gli hanno però dato ragione. Il Giornale andava bene, però non era riuscito a sfondare nel lettorato giovanile.
Per quanto riguarda la gratuità dell’informazione in Internet sono convinto che sia un grande errore. I contenuti per essere di qualità devono essere preparati da professionisti che devono essere pagati per il lavoro che fanno. Esattamente come accade per i quotidiani cartacei. La notizia ha un valore. Ed un costo.
Come si svolgono solitamente i suoi progetti di redesign?
Intanto devo dire subito che occorre molto tempo. Devi entrare in simbiosi con la redazione, capire come trattano la notizia. E, vi assicuro, ogni giornale ha il suo modo di proporsi. Ho lavorato per giornali sia locali sia nazionali e, ovviamente, i modi per raccontare le notizia sono profondamente diversi. Occorre quindi capire che cosa effettivamente fanno.
Successivamente si tratta di raccogliere, attraverso interviste e incontri con il direttore e i redattori, le loro necessità e trovare un modo per raccontarle visivamente.
Solitamente, durante un progetto di redesign, il direttore ha anche voglia di cambiare, di aggiungere elementi nuovi, inserire o togliere contenuti. È il designer che aiuta a fare in modo che ciò avvenga, aggiungendo degli elementi visivi che prima non esistevano. Ma con grande prudenza e attenzione perché non si può stravolgere completamente un quotidiano e la sua storia: un giornale lo si fa come la redazione è abituata a farlo e come i lettori sono abituati a percepirlo. L’aiuto che il designer può dare è quello di migliorare questo modo, il disegno deve facilitare la lettura ed aiutare il lettore a contraddistinguere i vari elementi che compongono il percorso di lettura.
In alcuni giornali in cui ho lavorato era tutto molto confuso. I piani di lettura totalmente disassati, un uso delle font arbitrario, una collocazione delle immagini funzionale agli spazi lasciati vuoti dal testo. Era difficile, per i lettori, comprendere ciò che si stava leggendo. Il nostro aiuto consiste, quindi, anche in questo: aggiungere un elemento in più alla comprensione. Questo è ciò cha accade dal punto di vista metodologico.
Si tratta quindi di lavorare intensamente con il direttore per trovare una sintesi. Vengono poi prodotte pagine, realizzato un manuale di impaginazione ed uno di infografia. Vengono tenuti corsi ai redattori e ai videoimpaginatori. Occorre sempre ricordare che il giornale è l’unione formale di tante storie molto diverse tra di loro. C’è una profonda differenza tra le notizie di attualità e quelle di cultura, oppure tra quelle di politica e quelle di sport. Ma in realtà, chi compra il giornale lo compra tutto. Il giornale è il racconto di un mondo, anche dal punto di vista visivo. Per cui occorre attenzione nel disegnare le varie parti.
Quale tra i suoi progetti di redesign ha presentato maggiori difficoltà? Quali sono state?
Sicuramente quello de Il Giornale. Le necessità erano tante, Mario Giordano era un direttore proveniente dal mondo della Tv che però aveva un progetto molto chiaro. Prima di giungere alla realizzazione delle pagine mastro finali abbiamo dovuto fare parecchie prove, fare moltissime ricerche. Abbiamo passato parecchio tempo nella progettazione. Ma paradossalmente è il giornale locale quello che per noi designer rappresenta la maggiori difficoltà di progetto: la necessità di far convivere le notizie nazionali e quelle locali presuppone uno sforzo progettuale molto intenso. Un conto è tematizzare in una pagina due argomenti come fa un nazionale, un conto è offrire in una pagina otto dieci notizie tutte degne di visibilità. Lo sforzo di progettazione è notevole.
Qual è, secondo lei, il rapporto tra design e contenuti?
Si parte dai contenuti. Si tratta allora di osservare quali sono le notizie e trasferirle con un linguaggio visivo corretto. Non tutti i contenuti portano le stesse cose, ogni elemento della comunicazione deve essere vestito in un modo percepibile da parte del lettore. Lo sforzo del designer è appunto quello di rendere questa differenza, pur mantenendo una continuità visiva all’interno del giornale. Per cui si deve creare un percorso chiaro, al cui interno possano essere individuati e segnalati i diversi contenuti.
Lei proviene dal mondo del giornalismo. Che tipo di formazione dovrebbe avere, a suo parere, il designer di quotidiani? Non pensa che possa ancora esistere, secondo un vecchio ma mai tramontato dettame di Albe Steiner, il redattore grafico che, come formazione, ha entrambe le competenze ma una formazione da designer della comunicazione?
Io non credo si debba fare una grande differenza tra chi scrive e chi disegna. Ognuno ha la sua competenza, ma in realtà queste due figure lavorano sullo stesso tavolo. Il designer si occupa della parte visiva, della fotografia, dell’infografia, della disposizione degli elementi; il redattore si occupa della scrittura della notizia. Si tratta di trovare un momento di sintesi tra le due figure, ma è sempre fondamentale, soprattutto per il designer, partire dai contenuti. Se non si è in grado di percepire qual è la notizia, non si potrà mai disegnare una pagina; per poter percepire qual è la notizia occorre quindi essere un giornalista.
Quali sono, secondo lei, i migliori quotidiani al mondo dal punto di vista grafico?
Un giornale ben fatto è il quotidiano portoghese I: ha una formula editoriale assolutamente innovativa ed una cura visiva molto ben realizzata. Sono anche convinto che un giornale ben fatto è quello che calza meglio alla situazione editoriale del contesto in cui si trova. Per cui non sempre il nostro lavoro è libero da condizionamenti. Il nostro problema è progettare in un contesto editoriale. Se ci è richiesto di fare un progetto grafico in continuità con quello precedente ne devi tenere conto. E le complessità aumentano. L’unico modo per poter progettare in totale libertà è trovare un editore che inizi una nuova avventura editoriale. Ma di questi tempi non è facile.
Negli atti del seminario organizzato dalla SND – Italia lei afferma che “oltre i nostri confini il mondo sembra viaggiare con i jet, mentre noi abbiamo appena inventato la ruota”. Qual è la situazione del newspaper design in Italia?
Questa frase è stata pronunciata in modo provocatorio. In Italia ci sono degli ottimi giornali ma ci sono anche tanti giornali che visivamente non sono certo un esempio da imitare. Le responsabilità sono anche nostre: la mancanza di una scuola italiana di designer è certo un motivo che non ha permesso al linguaggio visivo dei quotidiani di progredire. E anche un’eccessiva inclinazione al testo scritto di tanti direttori non ha certo giovato a far si che i nostri giornali siano anche belli da vedere. Voglio ricordare una persona che ha davvero cambiato il modo di fare i giornali: Piergiorgio Maoloni. Mi ricordo ancora una pagina da lui realizzata durante il suo periodo da direttore artistico del Messaggero di Roma. Nel 1969, quando l’uomo sbarcò sulla luna, creò una prima pagina con una grande foto della luna, e con un titolo a caratteri cubitali con scritto “luna”. Era un modo allora totalmente diverso di fare i giornali. Con questa pagina Maoloni è riuscito a trasmettere per questo evento epocale un impatto visivo proporzionato alla notizia.
Le nuove tecnologie stanno rivoluzionando il mondo dell’editoria. Molti vedono nell’iPad e nel tablet il miracolo che potrà risollevare l’editoria dalla crisi. Qual è la sua opinione?
Secondo me l’iPad cambierà il mondo dell’informazione in tempi rapidissimi. Per ora l’esperienza italiana è ancora un po’ di retroguardia rispetto a ciò che fanno all’estero. Le applicazioni iPad dei nostri quotidiani, a parte pochissimi casi, sono semplicemente una trasposizione del file in formato pdf del quotidiano cartaceo. All’estero ci sono già esperienze degne di nota: il quotidiano americano Usa Today, oppure il messicano La Vanguardia, hanno realizzato, ad esempio, un’applicazione pensata appositamente per iPad. Credo che questa sia la via da percorrere. Saremo attenti osservatori ed anche, credo, preziosi interlocutori.
intervista di Micaela Bonetti,
laureanda in Design della Comunicazione presso il Politecnico di Milano