Chi è Barbara Bonomi Romagnoli? Una donna in lotta che anticipa i tempi.

La Corte costituzionale ha posto fine all’adozione obbligatoria del cognome paterno per i figli e sancisce la piena parità giuridica uomo-donna. Barbara, la piena parità per la sua famiglia, l’aveva già pretesa: 15 anni fa ha deciso di adottare anche il cognome materno per firmare le sue pubblicazioni.

“Rigorosamente in ordine alfabetico- sorride -. Con altre colleghe e attiviste decidemmo di adottare entrambi come forma di protesta per la mancanza di una legge italiana in merito, e così sono diventata Barbara Bonomi Romagnoli. La notizia della Consulta è ottima da un punto di vista simbolico perché dice espressamente che non ci può essere più automatismo del cognome paterno”.

Giornalista freelance, laureata in filosofia con una tesi sperimentale in Storia della Scienza in ottica di genere, inizia la sua attività con il periodico Carta Cantieri Sociali, collegato al Manifesto.

“Mi è sempre piaciuto scrivere, la fattura del giornale l’ho vissuta dalla costruzione delle pagine, alle cianografiche in tipografia (ricordo che condividiamo n.d.r.) – racconta – ed ho sempre portato dentro la redazione la diversità di un punto di vista femminista”.

Libera, sempre libera da pregiudizi e stereotipi per qualche anno ha vissuto all’estero, rientrata in Italia si trova ad affrontare la crisi dell’editoria che rendeva più difficile l’accesso alla professione. Questa difficoltà la ha trasformata in un’opportunità, infatti riprende, anche grazie ad un’esperienza al ministero delle pari opportunità nel secondo governo Prodi, ad occuparsi di questioni di genere. “Sono una ricercatrice indipendente – puntualizza -. Ho scritto 2 libri sul tema, il primo nel 2014 dal titolo ‘Irriverenti e libere. Femminismi nel nuovo millennio’ e nel 2019 ‘Non voglio scendere! Femminismi a zonzo’ con la collega Marina Turi”.

 

Non è molto ottimista sul nostro mondo: “Non siamo messe benissimo, ricordo che ho faticato molto a far sì che in redazione ci si occupasse di temi di genere, che a giudizio di molti colleghi erano considerati di nicchia, come se le questioni delle donne non interessano tutti, ad esempio la salute riproduttiva di donne e ragazze non riguarda solo loro, ma il benessere complessivo della comunità! Noi giornaliste femministe siamo trattate come persone con manie. Con il passare degli anni ho guadagnato l’autorevolezza che viene dall’età, ma vedo ancora troppo machismo e patriarcato. Sono felice dell’ingresso di tante donne nelle redazioni, che però devono essere consapevoli e formate se vogliamo cambiare, perché ai vertici dei giornali continuano ad esserci ancora troppi uomini. Continuiamo ad essere perlopiù la manovalanza del settore dei media”.

È importante lavorare anche sui social: “Noi generazioni di mezzo dobbiamo imparare cosa succede in questo contesto, intercettare eventuali stereotipi e veicolare informazioni corrette – precisa -. Mi riferisco anche all’uso del linguaggio sessuato e non sessista che è fondamentale.

Il linguaggio è la mia battaglia professionale e politica. L’uso rispettoso nel comunicare alcune vicende fa la differenza. Penso alla violenza, al bullismo, ai corpi in transizione che hanno il diritto di essere chiamati con il genere che la persona preferisce. Nel racconto di temi sensibili il linguaggio è fondamentale perché deve invitare all’inclusione. Noi giornaliste abbiamo una grande responsabilità”.

E non siamo le sole perché l’educazione, la conoscenza sono strumenti indispensabili: “Le donne hanno davanti ancora una strada in salita, fortunatamente oggi nascono sempre più reti di giornaliste anche nei media mainstream e dobbiamo ascoltare anche quello che arriva dai movimenti. Prima del Covid Nudm (Non una di meno) ha realizzato un piano in cui si parla anche di informazione tossica, per esempio nella narrazione della violenza di genere. Sono una femminista 24 ore al giorno, il mio è uno sguardo sul mondo con l’occhio di chi pretende soprattutto di non essere considerata alla stregua di una vecchia strega che è contro l’uomo.

Il pensiero e la pratica femministe lo sono a 360 gradi, abbiamo esperte in ogni settore del sapere umano, devono essere chiamate a dire la loro, non esistono cose da maschi e cose da femmine, ma cose che ci riguardano come umanità ”.

 

 

 

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Maria Pia Rossignaud
Giornalista curiosa, la divulgazione scientifica è nel suo DNA. Le tecnologie applicate al mondo dei media, e non solo, sono la sua passione. L'innovazione sociale, di pensiero, di metodo e di business il suo campo di ricerca. II presidente Sergio Mattarella la ha insignita dell'onorificenza di Cavaliere al Merito della Repubblica Italiana. Vice Presidente dell’Osservatorio TuttiMedia, associazione culturale creata nel 1996, unica in Europa perché aziende anche in concorrenza siedono allo stesso tavolo per costruire il futuro con equilibrio e senza prevaricazioni. Direttrice della prima rivista di cultura digitale Media Duemila (fondata nel 1983 da Giovanni Giovannini storico presidente FIEG) anticipa i cambiamenti per aiutare ad evitare i fallimenti, sempre in agguato laddove regna l'ignoranza. Insignita dal presidente Mattarella dell'onorificenza di "Cavaliere al Merito della repubblica Italiana. Fa parte del gruppo di esperti CNU Agcom. E' fra i 25 esperti di digitale scelti dalla Rappresentanza Italiana della Commissione Europea. La sua ultima pubblicazione: Oltre Orwell il gemello digitale anima la discussione culturale sul doppio digitale che dalla macchina passa all'uomo. Già responsabile corsi di formazione del Digital Lab @fieg, partecipa al GTWN (Global Telecom Women's Network) con articoli sulla rivista Mobile Century e sui libri dell'associazione. Per Ars Electronica (uno dei premi più prestigiosi nel campo dell'arte digitale) ha scritto nel catalogo "POSTCITY". Già docente universitaria alla Sapienza e alla LUISS.