La mostra personale di Bruno Pellegrini al Maxxi, come già riportato nell’articolo di Maria Pia Rossignaud mi ha dato piacere per la sua elegante bellezza.  I volti dipinti su ferro, una materia inusuale e intrigante portano domande ed, infatti, ho chiesto all’autore se i volti, tanto diversi, riflettono caratteri di persone reali. La risposta è stata subito netta: “No. Sono personaggi di finzione come caratteri di Teofrasto o La Bruyère“.

Possono entrare tutti in qualche romanzo di Balzac ! Ma non  credo sia questo l’intento di Bruno Pellegrino. Lui ha spiegato che se di narrazione si tratta, il racconto è individuale: ogni volto ha una storia concentrata nello sguardo.

Curioso, quale sono,  ho voluto subito verificare tentando di camminare fra gli stand delle sculture e una gentile sorvegliante mi ha impedito di penetrare l’istallazione. Peccato perché l’arte di Pellegrino è  proprio nella complessità delle variazioni nel trattamento degli occhi, ecco perché mi serviva la vicinanza.

Ogni volto presenta nuance dovute alla scelta di colori, non solo dell’iris, ma piuttosto del quadro interno dell’occhio. Una tecnica impressionista applicata a piccolissime superficie, che diventano parlanti.

Sebastiano Maffettone, amico e filosofo,  ha contribuito al titolo della mostra ‘Personae’ , questo, forse il motivo del suo insistere  sul tema dell’identità nel saluto di apertura con Giovanna Melandri, presidente della Fondazione Maxxi.

Ma nei discorsi che hanno aperto la mostra ai visitatori è mancato un accenno alla maschera, che trovo pertinente in quanto i volti disegnati sono irreali,  pertanto la mia mente è andata al ricordo della persona, interpretazione romana della maschera nel teatro greco. La maschera non faceva vedere l’identità né dell’attore, né del ruolo, definiva solo il genere maschio o femmine, tragico o comico. Il  vero ruolo della maschera era acustico non identitario, permetteva alla voce di farsi sentire più lontano, per esempio nel teatro di Epidauro .

Intanto la tematica della maschera è molto evidente nella mostra e nelle riflessioni sgambiate con l’autore che in alcune opere ha lasciato un’apertura per permettere  alla luce di passare attraverso. La mia conclusione è  che i volti senza buchi contano sulla luce degli occhi per permettere di attraversare la maschera.

Per concludere voglio immaginare una ragione segreta dell’ ossessione per i volti dell’autore: hypnagogia.

L’ipnagogia ( in italiano) non succede a tutti ogni volta che cominciamo dormire, porta nella mente visi con ogni dettaglio e mi fa pensare all’opera di Pellegrini (che mi ha confessato la sua noia quando deve dipingere una persona reale). Questa rara esperienza mi è tornata stanotte dopo aver visto la mostra. Dono casuale o veramente ispirato da Bruno Pellegrini?

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Derrick de Kerckhove
Direttore scientifico di Media Duemila e Osservatorio TuttiMedia. Visiting professor al Politecnico di Milano. Ha diretto dal 1983 al 2008 il McLuhan Program in Culture & Technology dell'Università di Toronto. È autore di "La pelle della cultura e dell'intelligenza connessa" ("The Skin of Culture and Connected Intelligence"). Già docente presso il Dipartimento di Scienze Sociali dell'Università degli Studi di Napoli Federico II dove è stato titolare degli insegnamenti di "Sociologia della cultura digitale" e di "Marketing e nuovi media".