di MICHELE MEZZA

 

Nell’anno di McLuhan – il 2011 è il centenario della nascita – un libro per ragionare sul cambio di paradigma culturale indotto dalla Rete, e anticipato proprio dal grande massmediologo di Toronto. Senza guardare in improbabili palle di vetro per  vaticinare inutili futuri, insieme a Derrick de Kerckhove che firma la prefazione e a Pier Luigi Celli, che propone la postfazione, tento di dare un senso ad una trasformazione che non ha nulla di deterministica tecnicalità, ma sembra piuttosto un grande ritorno, una conferma della supremazia del primato dell’uomo, di ogni uomo.

Proprio il formicolare di infiniti nani che si sostituiscono ai pochi aristocratici giganti, che ci avevano fatto credere di aiutarci a vedere meglio, ci rassicura sulla dimensione sociale della Rete. Non siamo alla vigilia di un futuro cibernetico e snaturante, quanto di un espansione di un moderno umanesimo digitale, che riemerge dopo la meccanicistica parentesi fordista.

L’informazione è la lente d’ingrandimento che ci fa meglio cogliere questo processo: si estende il consumo di notizie, si allarga la gamma dei produttori di news, si restringe lo spazio dei collettori, dei mediatori. O forse, muta solo il ruolo di questi antichi artigiani della comunicazione, che non devono decidere  più se questa o quella è la notizia, ma quale senso  l’abbondanza di notizie, che comunque arriva ai nostri occhi, potrebbe assumere in questo o quel contesto.

Non è poco, e comunque c’è poco da fare, bisogna arrendersi all’evidenza: queste “Sono le news bellezza!”.

 

Michele Mezza

giornalista Rai

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