Propongo il discorso di Gilles Marchand,  direttore generale della televisione svizzera, su “Costruire la democrazia” che ha condiviso in occasione del convegno WORLD RADIO & PODCAST DAYdove ho partecipato anche io. 

Marchand parte dal finanziamento dei media per approdare al concetto di qualità.

“Il finanziamento dei media è una questione sempre più complicata per i media privati e sempre più discussa per i media pubblici – dice -. Il finanziamento dei media ne garantisce la stabilità. Questo è il presupposto della loro qualità professionale. Ma il concetto di qualità è quasi indefinibile. Ci sono tanti criteri di qualità quante sono le persone che sostengono di averla… Ma almeno una cosa è certa: senza finanziamenti relativamente stabili, il risultato mediatico è innegabilmente mediocre”.

Sono d’accordo con il direttore svizzero quando dice che senza mezzi e formazione  per i giornalisti  è difficile perché i rumors ( le chiacchiere del sottofondo) prendono il sopravvento sulla verità.

Ma un finanziamento stabile per i media non riguarda solo l’informazione: “In Svizzera commettiamo spesso l’errore di ridurre il dibattito sui media alla produzione giornalistica, all’informazione – spiega -. La stabilità dei finanziamenti consente anche produzioni originali, legate alla popolazione a cui è destinata. Mi riferisco a documentari, fiction, registrazioni artistiche e sportive o produzioni musicali. Questo immenso campo mediatico è un enorme fornitore di identità condivisa, di destini comuni. È particolarmente importante in paesi multiculturali e multilingue come la Svizzera”.

Poi parla di fonti di finanziamento:  “La prima  rappresentata dalle entrate commerciali, derivanti dalla vendita di contenuti o dalle entrate pubblicitarie, in tutte le forme possibili,\ dove i media privati hanno una straordinaria creatività – dice -. La seconda principale fonte di finanziamento è quella pubblica. Si tratta di un canone o di un finanziamento diretto dal bilancio dello Stato. Questo finanziamento pubblico permette quindi al servizio pubblico di esistere.  Il canone, come è noto in Svizzera, non è molto popolare. Perché è obbligatorio e non è legato a un uso specifico dei programmi. Il canone è una costruzione piuttosto complessa, che finanzia un sistema di solidarietà tra generi di programmi e tra regioni. È un po’ come le strade che non vengono utilizzate sempre, come le scuole che vengono finanziate anche quando i bambini sono cresciuti, o come gli ospedali che fortunatamente non vengono utilizzati tutti i giorni. Il canone universale è impegnativo e, in un sistema di democrazia diretta dove può essere regolarmente messo in discussione, richiede una vera maturità da parte dei cittadini. Questa maturità è stata dimostrata dalla popolazione svizzera nel 2018, quando ha respinto con oltre il 70% un’iniziativa popolare per l’abolizione del canone”.

Se il finanziamento diretto dal bilancio statale è più semplice, solleva la questione dell’indipendenza da eventuali pressioni politiche. In effetti il canone non è una protezione assoluta, ma il finanziamento diretto aumenta notevolmente il rischio di ingerenze, soprattutto se si considera che il bilancio dello Stato viene votato ogni anno in Parlamento ed ha bisogno del consenso pubblico.

Marchand sottolinea che “la questione particolarmente interessante e di grande attualità è che le due fonti di finanziamento, quella commerciale e quella pubblica, sono oggi entrambe sotto pressione. Per questo motivo il dibattito è sempre vivo e si indirizza verso la  filantropia e la  sponsorizzazione”.

 I media non sono altro che l’espressione della società in cui operano.

Marchand ci dice: “Tra due crisi – sanitaria, climatica, energetica e sociale – le nostre società si stanno sviluppando attorno ad alcuni grandi movimenti. Le nostre società si stanno globalizzando, digitalizzando, diventando più complesse e allo stesso tempo più fragili. Purtroppo, la globalizzazione non è proprio quello che si sognava. Oltre alla conoscenza, infatti, essa comporta anche una serie di problemi sociali, politici, culturali e climatici. La digitalizzazione è inevitabile, come sappiamo. Naturalmente, consente di compiere progressi reali in molti settori. Ma porta anche innumerevoli sfide, in particolare per quanto riguarda la protezione della sfera privata, l’esclusione sociale e il controllo. Così come la frammentazione mentale degli individui dipendenti dai loro schermi mobili. La complessità è l’interdipendenza delle azioni. Oggi tutto agisce su tutto. A tal punto che diventa difficile osservare e comprendere l’insieme. Di conseguenza, le grandi questioni socio-politiche vengono affrontate solo in termini di sentimenti personali o di fattori settoriali. L’analisi sistemica è diventata scoraggiante, troppo complicata, quasi inaccessibile”. Ma c’è l’Europa con le sue fragilità e su questo condivido la visione di un futuro con problemi di finanziamento delle pensioni e di assistenza sanitaria  che necessita di un nuovo equilibrio tra vita professionale.

Marchand precisa che  “globalizzazione, digitalizzazione, complessità e fragilità sono totalmente interconnesse. La globalizzazione ci riporta, ad esempio, alle piattaforme internazionali di streaming e alla loro cultura mondiale, ai giganti dell’intrattenimento tecnologico o a nuovi attori come gli operatori telefonici (Sunrise e Swisscom in Svizzera), che nel campo dello sport stanno facendo esplodere il mercato dei diritti. La digitalizzazione è onnipresente nel mondo dei media. Sta portando alla graduale fine del consumo di programmi lineari a favore di una visione individuale, personalizzata e mobile. La digitalizzazione comporta anche la graduale fine della carta, del rapporto fisico con l’oggetto mediale. E infine, questa digitalizzazione infiamma la guerra tra stampa e audiovisivi, che si ritrovano tutti sullo stesso terreno, online, dopo decenni di convivenza piuttosto pacifica, ciascuno a coltivare felicemente il proprio piccolo giardino recintato.

La complessità sembra essere la nuova regola per i media. Va detto che oltre alla nuova concorrenza, ai cambiamenti d’uso, alle sfide politiche e commerciali, dobbiamo ancora fare i conti con la totale interdipendenza tra progettazione editoriale, produzione tecnica e distribuzione multivettoriale.

Nella catena del valore dei media non è più possibile distinguere tra progettazione, produzione e distribuzione.

Infine, la fragilità, che riguarda tutti i media.  I modelli di business dei media sono molto precari. La pubblicità commerciale sta migrando verso piattaforme digitali internazionali che non reinvestono, o lo fanno solo marginalmente, nei mercati locali. Per quanto riguarda il finanziamento pubblico, esso viene messo in discussione in un modo o nell’altro in tutta Europa”.

In conclusione i  i media storici sono sostituibili,  la dispersione del pubblico, frammentato dalla digitalizzazione,  causa la dispersione della pubblicità in tutto il mondo, ma Marchand spiega che “in Svizzera, tuttavia, la pubblicità ha svolto un ruolo fondamentale nello sviluppo di un’offerta mediatica diversificata e multilingue, ma la massa critica, cioè il numero di lettori, ascoltatori o spettatori, è insufficiente per finanziare la produzione di contenuti e che nella nuova società digitale, le persone preferiscono pagare per l’accesso, per la connessione, piuttosto che per il contenuto stesso. Questo provoca la dissociazione tra distribuzione e contenuto: un vero e proprio cambio di paradigma.

Infatti  la ricerca attiva della diversificazione delle attività ha portato molti gruppi media ad investire con successo in servizi e piattaforme di vendita online e alla ricerca affannosa di attenzione. “Bisogna fare rumore, suscitare interesse, mantenere l’attenzione per qualche secondo – spiega Marchand -. A volte a scapito della rilevanza delle informazioni. E con il rischio di incoraggiare sempre più le notizie di bassa qualità e gli scontri. Il che porta a un calo di credibilità e quindi di legittimità dei media: una trappola è perfetta!”.

L’intervento del direttore svizzero si conclude sui dati: “Registrandoci, effettuando il login, depositiamo i nostri dati,  che diventano un bene tanto più prezioso quanto più le entrate pubblicitarie tradizionali diminuiscono. Questo perché i dati vengono utilizzati per il marketing diretto, processo che solleva questioni etiche e legali molto specifiche. Inoltre, le normative variano da Paese a Paese, mentre i dati attraversano felicemente le frontiere. Infine, come tutti sappiamo, il confine tra raccomandazione e manipolazione commerciale o politica è labile. Il che ci riporta alla nostra troika media-finanziamento-democrazia”.

il passaggio dalla notizia alla chiacchiera porta  il rischio di perdita di valore reale o presunto e un deterioramento della fiducia dei cittadini nei confronti dei media. Infine  viene messo in discussione il contributo dei media alla democrazia.

È quindi importante un chiaro sostegno da parte dei media, accompagnato da un meccanismo di diritti ma anche di doveri.  La questione dei media è quindi oggi centrale.

Continuiamo la discussione prossima settimana

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Derrick de Kerckhove
Direttore scientifico di Media Duemila e Osservatorio TuttiMedia. Visiting professor al Politecnico di Milano. Ha diretto dal 1983 al 2008 il McLuhan Program in Culture & Technology dell'Università di Toronto. È autore di "La pelle della cultura e dell'intelligenza connessa" ("The Skin of Culture and Connected Intelligence"). Già docente presso il Dipartimento di Scienze Sociali dell'Università degli Studi di Napoli Federico II dove è stato titolare degli insegnamenti di "Sociologia della cultura digitale" e di "Marketing e nuovi media".