Il punto di Luigi “Gigio” Rancilio e Leonardo Panetta corrispondente Mediaset da Bruxelles al seminario: “L’Europa alla sfida della disinformazione: #AI #Giornalismo #Fakenews.
Luigi Rancilio (Avvenire): Il buon giornalismo costa
Quella della disinformazione e della lotta ai falsi è una delle sfide più importanti che abbiamo davanti come professionisti del giornalismo e come cittadini. L’unico modo per combatterla con efficacia è che ognuno faccia la propria parte, senza nascondere i propri limiti e i propri errori.
I nostri limiti
Troppo spesso abbiamo raccontato ChatGPT come un gioco o come uno strumento del demonio, sottolineandone giustamente gli errori e le incongruenze. Gli abbiamo anche chiesto se è utile, facendo lo stesso errore di chiede a un oste se nel suo locale si mangia bene.
I sistemi basati su quella che chiamiamo Intelligenza artificiale sono costruiti per accontentarci, non per dirci la verità. Già oggi creano da soli foto, video e non solo articoli. Con problemi enormi di protezione del copyright e del rispetto di chi scrive, fotografa, disegna e crea.
Noi parliamo tanto di ChatGpt ma il sito Futurpedia ha già classificato oltre 1232 servizi che usano l’AI quasi per ogni uso, compreso scrivere recensioni di ristoranti, libri, film e musica, spesso con risultati non molto diversi da quelli realizzati da tanti giornalisti sottopagati.
Cosa fanno i giornali nel mondo con L’AI
L’agenzia Ap usa da anni l’intelligenza artificiale per creare report sulla borsa o sulle partite di basket e al Washington Post la usano per scremare migliaia di dati, estrapolando le informazioni che possano aiutare i giornalisti nelle loro inchieste.
Wired ha fatto una policy molto severa sull’uso di ChatGpt per creare contenuti. Ed è una scelta che dovremmo fare in tanti. Non sarà usata per scrivere opinioni, per creare immagini o formulare analisi.
Dall’’altra parte c’è il caso di Cnet, un giornale che si occupa di tecnologia. Dopo essere stato criticato per avere prodotto articoli inesatti utilizzando l’intelligenza artificiale, prima ha annunciato che si sarebbe fermato ma poi ha ricambiato idea. Perché per il suo business è più importante produrre centinaia di articoli poco curati che pochi di qualità.
Il colosso editoriale Axel Springer, che tra l’altro edita Bild e Die Welt, ha annunciato così l’arrivo nella redazione di ChatGPT: «Si salverà solo il giornalista che scriverà articoli di qualità o specializzati». Il che può essere una buona notizia visto che nessuno di noi vuole fare questo mestiere per impastare male delle agenzie di stampa.
NewsGuard, da parte sua, ci ha già messo in guardia su quanto diventerà sempre più facile produrre disinformazione con i nuovi sistemi. Pensate che già oggi, secondo l’Oxford Institute, 83 Paesi al mondo usano i social network per manipolare le persone sul piano politico.
Solo in questo primo anno di guerra in Ucraina servizi come Bellingcat e NewsGuard hanno smontato oltre 1000 fake news. Ma chi ha più tempo, più voglia, più interesse a scoprirle e a condividerle?
L’amara verità è che fare fact-checking costa tanto e rende poco. Così i giornali se ne occupano sempre meno.
Per esempio, su quale giornale in occasione di anno di guerra in Ucraina, avete letto almeno le bufale più grosse smascherate da Bellingcat o NewsGuard?
Quale giornale ha ammesso con i lettori di averne spacciate in buona fede o di non avere fatto servizi abbastanza accurati su certi fatti? Temo nessuno.
Ma allora perché un lettore deve seguire un giornale se non vede nettamente la differenza con tutti gli altri media?
Noi andiamo avanti come se nulla fosse ma la fiducia dei lettori precipita: secondo l’Edelman Trust Barometer, meno di un italiano su due [47%] ha fiducia nei media. In calo di tre punti percentuali rispetto al 2022.
Ormai da lettori ci accontentiamo ognuno del nostro spicchio di verità. Che peraltro sempre più spesso passa da canali non ufficiali. Penso a certi canali YouTube che fanno 700mila visualizzazioni a video con persone che raccontano a modo loro il conflitto e al contrario a video di professionisti che si fermano a poche migliaia.
In Spagna il fenomeno più importante di informazione si chiama Ac2ality. L’hanno creato quattro ragazze spagnole (che non vogliono nemmeno fare le giornaliste) per spiegare ai loro coetanei le informazioni che i giornali «non spiegavano in maniera chiara».
Guadate che c’è un collegamento tra i collaboratori pagati da alcuni giornali 3 euro ad articolo, lo tsunami di ChatGpt e il successo crescente di chi fa informazione senza essere giornalista. E qui entrano in gioco – anche se facciamo troppo spesso finta che non esistano – le colpe e le mancanze degli editori.
Per troppi la priorità sembra essere tagliare e fare tanto sembra più importante che fare bene.
Ma il buon giornalismo costa. E va pagato bene.
Lo accennavo all’inizio: la guerra ai falsi sarà la sfida più importante che abbiamo davanti e che voi giovani colleghi avrete davanti. Ma è una guerra che non si vince da soli. Perché chi crea falsi fa soldi e raccoglie finanziamenti e chi cerca di smascherarli non ne ha mai abbastanza.
L’Europa sta facendo tanto in questa direzione e non va lasciata sola.
Chiudo con una modesta proposta:
che l’Europa e la FIEG chiedano agli editori di impegnarsi seriamente su due punti:
1) indicare in maniera molto chiara ai lettori quando i giornali usano sistemi come ChatGPT per creare contenuti
2) impegnarsi a non sottopagare i giornalisti collaboratori.
A voi ragazzi chiedo un favore:
non tradite mai il primo ruolo del giornalista che è perseguire e raccontare la verità. Sempre. Tanto più quando è scomoda. Tanto più quando entrerete in una redazione e troverete magari un andazzo diverso da quello che speravate.
Il futuro della nostra professione non passerà solo dalla tecnologia ma soprattutto dalla nostra capacità di esser credibili con e oltre le tecnologie.
Leonardo Panetta (Corrispondente Mediaset da Bruxelles): Rete di amicizie per la verificare le notizie
“Mi colloco a metà tra la rivoluzione dei social network e il momento in cui i giornalisti facevano ancora il famoso “giro di nera” – racconta Leonardo Panetta -. Quando ho cominciato a fare il giornalista nelle tv locali il “giro di nera” era quel giro di telefonate che si faceva attorno alle sette/sette e mezza del mattino a carabinieri, polizia e ospedali per sapere se c’era stato qualche fatto di cronaca. Mi è capitato di citare questa prassi a giovani e mi son reso conto che stavo parlando di qualcosa di sconosciuto: oggi anche il fact-checking si fa all’interno del mondo di internet.
Si perde, quindi, il contatto diretto con le fonti.
Nel caso della cronaca le fonti possono essere i carabinieri, la polizia, le procure. Nel caso di informazioni globali come quelle che si trovano sui siti è molto più difficile verificare. La Brexit è l’esempio principe per capire dove siamo arrivati e quale è il confine delle fake news e quanto sia difficile ormai ristabilire la verità. Dalla Brexit in poi, chi si occupa di comunicazione in Europa si è trovato un po’ nella situazione degli astronauti dell’Apollo 13 collegati con Houston: qualcosa a livello di informazione non ha funzionato e si deve risalire all’origine del guasto, per evitare il peggio. Le fake news sono in grado di incidere profondamente anche nelle decisioni politiche, sono diventate così uno dei principali nodi dell’Ue, amplificatesi a cause delle altre crisi, come il Covid e la guerra in Ucraina.
Siamo così arrivati alla nascita di vere e proprie task force per contrastare la disinformazione che vedono coinvolte le istituzioni, gli editori e ora anche i social network. Un fenomeno epocale che rimette al centro il dibattito sulla libertà di espressione, funzionamento delle democrazie e il mondo dei media.
Il consiglio che do a voi giovani presenti in sala è di costruire una rete di amicizie con le quali verificare le notizie perché le fake news possono incidere profondamente nelle decisioni politiche, come avvenuto appunto per la Brexit”.