La sessione plenaria del Congresso del Popolo ridisegna la mappa del potere interno cinese, come previsto dal Congresso del Partito comunista cinese dell’ottobre scorso. Ma Pechino, con Mosca, punta anche a ridisegnare la mappa del potere planetario, che ha negli arsenali nucleari – specie quelli di Usa e Russia – una componente essenziale. In apertura dei lavori, il governo cinese introduce un suo piano per rilanciare l’economia in fase di rallentamento: prospetta l’obiettivo d’una crescita annua “intorno al 5%” e si affida al traino dei consumi interni, mandando un segnale di diffidenza nella fluidità degli scambi internazionali -.

Parlano il presidente Xi Jinping e il premier Li Keqiang. Il ministro degli Esteri Qin Gang, all’esordio nel ruolo, spara bordate contro gli Stati Uniti. “La smettano di contrastarci o arriveremo allo scontro … La strategia del contenimento e della repressione non renderà grande l’America e non fermerà il rinnovamento della Cina”. Da Mosca, gli fa eco il portavoce del presidente russo Vladimir Putin, Dmitry Peskov: “In Ucraina, gli Usa alzano il livello del conflitto”.

Qin spiega che le buone relazioni fra Cina e Russia sono essenziali: “Più il Mondo diventa instabile, più è imperativo che Pechino e Mosca rafforzino e consolidino i loro rapporti”. Parole che creano allarme a Washington, dove da giorni si succedono moniti alla Cina perché non dia armi alla Russia in Ucraina – Pechino nega di averlo fatto – e minacce di reazioni se ciò avvenisse.

Se Qin mette in ansia il suo omologo Antony Blinken, segretario di Stato Usa, chissà l’effetto che avranno avuto a Pechino e a Mosca le frasi pronunciate sabato 4 marzo da Donald Trump durante un evento elettorale: smargiassate urticanti. Il conflitto in Ucraina rischia di diventare una Terza Guerra Mondiale? Niente paura: ci pensa il magnate dal ‘super-ego’: appena sarà stato rieletto presidente degli Stati Uniti, metterà “fine al conflitto in un giorno” e ridurrà Putin a miti consigli.

E a chi gli rimprovera di essere stato troppo amico di Putin durante la sua presidenza, senza peraltro esserne ricambiato, dice: “Sono stato l’unico presidente a non fare guerre; e durante il mio mandato, la Russia non ha preso alcun Paese”, mentre attaccò la Georgia quando alla Casa Bianca c’era George W. Bush, annesse la Crimea con Barack Obama e ha ora invaso l’Ucraina con Joe Biden. Con lui presidente, “non sarebbe mai successo”.

Come farà a porre termine al conflitto in un giorno, Trump non lo dice. Invece, ha un piano radicale per le relazioni con la Cina: eliminare in quattro anni tutte le importazioni cinesi e rendere gli Usa totalmente indipendenti dai prodotti cinesi. Paiono parole in libertà, ma il magnate magari ci crede.

La guerra in Ucraina e il ruolo della Cina
I propositi di Trump fanno più rumore sui media occidentali che sul fronte russo-ucraino, dove domina il botto tremendo di una nuova potente bomba teleguidata che i russi utilizzano per la prima volta nei pressi di Chernihiv: pesa 1,5 tonnellate ed è destinato a colpire obiettivi a una distanza fino a 40 km con 1.010 kg d’esplosivo ad alto potenziale. L’ordigno planante PAB-1500B fu mostrato per la prima volta in Russia nel 2019: è lungo oltre cinque metri e ha un diametro di 40 cm. Chi se ne scandalizza ricordi che un ordigno analogo, la Blu-82, detta in modo macabro ‘Daisy Cutter’, dove le margherite da tagliare erano i nemici da eliminare, venne utilizzata dagli Usa in Vietnam, nella Guerra del Golfo e in Afghanistan, prima di essere sostituita nel 2008 dalla più micidiale Moab.

L’iniziativa della Cina per la pace in Ucraina, cioè il piano in 12 punti presentato a fine febbraio, appare sempre più, agli analisti occidentali, come un passo per contrastare l’egemonia statunitense e per portare avanti il progetto, condiviso da Pechino e da Mosca, d’un nuovo ordine mondiale che non ruoti intorno agli Usa e alle loro alleanze, Nato ed Ue comprese. Pur proponendosi come mallevadore di un accordo, la Cina si rifiuta di riconoscere la natura del conflitto – un’invasione – e di condannare l’aggressione, mentre aumenta l’appoggio diplomatico ed economico alla Russia.

In una sua news analysis, l’AP segnala che per l’intelligence statunitense gli sforzi di propaganda cinesi assomigliano sempre di più a quelli russi: finora la Cina era stata una fonte di propaganda anti-americana prolifica, ma meno aggressiva nelle sue azioni della Russia; ora, le cose stanno cambiando. A Roma, l’Istituto Affari Internazionali dedica un convegno, intitolato Countering Chinese Disinformation in Italy, a come la leadership cinese abbia fatto in questi anni grossi sforzi per influenzare i leader e le opinioni pubbliche straniere, ivi comprese quelle italiane, sviluppando un approccio più assertivo e nuove vie di contatto con gli interlocutori internazionali.

Sempre l’AP trova un elemento positivo per l’Occidente nella metamorfosi cinese: il sostegno dato alla Russia rende più facile per Washington trovare alleati nel Pacifico, forse perché c’è chi teme che la Cina metta in pratica nell’area un’aggressività ‘modello russo’. E il Washington Post osserva che “la spaccatura tra Usa e Cina sta diventando più larga.

In un suo articolo, l’ambasciatore Francesco Bascone, acuto osservatore di relazioni internazionali, riconosce che, “nell’attuale guerra di logoramento che minaccia di protrarsi per parecchi mesi se non anni, le tenui speranze di una via di uscita negoziale si concentrano sulla Cina: Pechino ha interesse a evitare crisi durature dell’ordine internazionale, accreditarsi come potenza ragionevole, consolidare i proficui rapporti economici con l’Occidente. E solo la Cina saprebbe, se lo volesse, esercitare una energica pressione su Putin perché metta fine alla guerra di aggressione. Ma la Cina dimostra chiaramente che, in questa fase, non intende cavare le castagne dal fuoco all’Occidente e che tiene fede all’alleanza senza limiti con la Russia dichiarata prima dello scoppio del conflitto, limitandosi ad auspicare un negoziato di armistizio (quando sarà il momento) ed a schierarsi contro il ricorso alle armi nucleari”.

Del resto, l’ambasciatore Bascone osserva che “questo conflitto ha aspetti vantaggiosi per la Cina: contribuisce ad erodere le pretese egemoniche degli Stati Uniti e a consumare i loro arsenali convenzionali (e quelli di altri Paesi Nato); accelera l’evoluzione verso un sostanziale vassallaggio dei rapporti sino-russi; assicura abbondanti rifornimenti di idrocarburi russi a prezzi di favore… E un’eventuale sconfitta ucraina, dimostrando l’inefficacia del sostegno americano, aprirebbe la strada a una capitolazione di Taiwan, oltre ad alimentare le pulsioni isolazioniste nell’elettorato Usa”.

 

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Giampiero Gramaglia
Giornalista, collabora con vari media (periodici, quotidiani, siti, radio, tv), dopo avere lavorato per trent'anni all'ANSA, di cui è stato direttore dal 2006 al 2009. Dirige i corsi e le testate della scuola di giornalismo di Urbino e tiene corsi di giornalismo alla Sapienza.