Ucraina

L’escalation della guerra in Ucraina s’intensifica e si diversifica. Ma non è (ancora?) l’escalation della controffensiva di Kiev. E’ un’escalation fatta di azioni asimmetriche e talora imprevedibili: alzano il livello di rischio per le popolazioni civili e hanno paternità incerte; nessuno le rivendica, anzi entrambe le parti ne scaricano la responsabilità sull’altra.

Martedì mattina, una grossa diga sul Dnipro nell’Ucraina meridionale, a Nova Khakovna, a nord-est di Kherson, e la centrale idroelettrica ad essa collegata sono state sabotate, innescando un’evacuazione di massa e creando il timore di gravi devastazioni. Impressionanti alcune immagini. L’ordine di evacuazione riguarda decine di migliaia di persone: c’è l’ordine di prendere con sé documenti e animali domestici, di spegnere gli elettrodomestici e lasciare le case.

L’impianto sorge sul fiume Dnipro, che è una linea del fronte da quando gli ucraini hanno ricacciato i russi sulla riva sinistra. L’intelligence ucraina sostiene che il sabotaggio è opera delle forze russe, che sono descritte  “in preda al panico” nell’imminenza della controffensiva ucraina; e denuncia “un atto di ecocidio”, cioè di deliberata distruzione dell’ambiente naturale. Mosca nega ogni addebito e fa notare che le acque che tracimano dalla diga inondano territori occupati da sue truppe e minacciano la Crimea, sua dal 2014.

La vicenda della diga si interseca con quella della centrale nucleare di Zaporizhzhia, caduta in mano ai russi all’inizio dell’invasione, ma intorno alla quale scaramucce, combattimenti, bombardamenti sono all’ordine del giorno, sempre con un rimpallo di accuse sulle responsabilità. I tecnici dell’Aiea, da mesi installati dentro l’impianto, assicurano che “non c’è rischio a breve termine d’esplosione o di fuga di materiale radioattivo”.

Pare quasi d’essere tornati indietro nel tempo, alle guerre del Risorgimento e alle marcite allagate per impacciare il nemico. Un ritorno indietro nel tempo c’è anche nel Pacifico, dove le tensioni intorno a Taiwan ripropongono la politica delle cannoniere tra Usa e Cina. Washington denuncia che una nave cinese nello stretto di Taiwan ha fatto “una manovra pericolosa”, ‘tagliando la strada’ a un incrociatore statunitense che, a migliaia di miglia nautiche dalle sue acque, ha dovuto ‘frenare’ per evitare una collisione. Discorso ‘asimmetrico’ analogo è quello per cui i kosovari della Serbia possono secedere dalla Serbia, ma i serbi del Kosovo non possono secedere dal Kosovo.

Lo spettro della Cina condiziona le relazioni tra Usa e Ue, che sono quasi allineate sull’Ucraina, ma che – scrive Politico – non hanno visioni coincidenti sull’atteggiamento da tenere verso Pechino: più duri gli americani, più morbidi gli europei. La percezione che Washington usi la guerra in Ucraina per “mettere sull’avviso” la Cina su Taiwan non favorisce la coesione transatlantica.

Mentre i militari sul terreno danno l’impressione di giocare reciprocamente al gatto col topo, Foreign Affairs, la rivista del Council on Foreign relations, torna a parlare del conflitto “che nessuno può vincere” e che richiede, quindi, una soluzione negoziale. Ma la diplomazia pare ‘tirare i remi in barca’, a parte la missione a Kiev di buona volontà (per ora interlocutoria) del cardinale Matteo Maria Zuppi, presidente della Cei e inviato di Papa Francesco a Kiev.

Articolo precedenteChi ha paura di ChatGpt? #Il giornalismo che verrà #IA Google trend
Articolo successivoIl bello per la Ricerca: evento Prometeus 8 giugno Roma
Giampiero Gramaglia
Giornalista, collabora con vari media (periodici, quotidiani, siti, radio, tv), dopo avere lavorato per trent'anni all'ANSA, di cui è stato direttore dal 2006 al 2009. Dirige i corsi e le testate della scuola di giornalismo di Urbino e tiene corsi di giornalismo alla Sapienza.