Ginevra Cerrina

State of Privacy 2023 per riflettere sulla privacy, concetto sul quale Stefano Rodotà nell’ultima intervista rilasciata a Media Duemila affermava: “Tsunami digitale, la privacy è morta?”.

Ginevra Cerrina Feroni, vice presidente del Garante per la protezione dei dati personali, professoressa ordinaria di Diritto costituzionale italiano e comparato nel Dipartimento di scienze giuridiche dell’Università di Firenze, avvocata iscritta all’Albo speciale dei professori universitari, componente del direttivo scientifico di numerose riviste di area giuspubblicistica comparata, membro del direttivo dell’Associazione italiana di diritto pubblico comparato, propone la visione dello stato mentale di una persona che non ha nulla da nascondere. Posso dire che è una sensazione condivisa dalla maggior parte di chi usa comportarsi civilmente seguendo, regole e leggi.

Ma il punto è che se l’utente non ha nulla da nascondere, forse lo ha chi chiede insistentemente di monitorarci.

Nel suo Intervento la professoressa Cerrina Feroni spiega che l’inizio dell’ingabbiamento è la richiesta di poter monitorare le transazioni con la carta di credito, poi con le telecamere monitorare gli accessi alla sua casa e così via fino a che non le chiedono di inserirle un chip. Allora ecco la ribellioni  scatenate dalla presa di coscienza del concetto di privacy.

Ebbene il messaggio è chiaro: Leggere tutto prima di firmare. Per essere cittadini consapevoli bisogna conoscere i propri diritti, la  privacy serve anche e soprattutto se non abbiamo nulla da nascondere. Ed anche alla democrazia.

Qui di seguito l’intervento integrale di Ginevra Cerrina Feroni, vice presidente del Garante per la protezione dei dati personali che si può ascoltare su Youtube.

Prima vennero a monitorare ogni transazione che facevo con la carta di credito.

È nel suo interesse, mi dissero: facciamo i conti per Lei e personalizziamo noi i prezzi.

E a Natale Le facciamo pure un bel regalo”.

Conveniente pensai.

Io non ho niente da nascondere.

Poi vennero ad installare videocamere fuori dalla mia porta.

Per la sicurezza di tutti.

Li osservai lavorare e tacqui, perché già ne avevo viste tante

e qualche videocamera in più sulla strada non poteva fare male a nessuno,

a parte i malintenzionati.

E io non ho alcuna cattiva intenzione.

Potevano osservarmi uscire di casa, o vedere gli ospiti che vi accoglievo.

Io non ho niente da nascondere.

Poi vennero a casa.

Per sapere quante stanze avessi, con chi abitassi, se avessi l’aria condizionata e cosa ci fosse nel frigo. E si collegarono a tutti i dispositivi intelligenti che avevo.

Dissero che l’analisi di quei dati mi avrebbe migliorato la vita e fatto pure risparmiare sulle bollette.

In fondo di quei dati non me ne facevo di nulla.

Io non ho niente da nascondere.

Poi arrivarono sul posto di lavoro per valutare la mia produttività.

Ogni 30 minuti si generava un report automatico che indicava a quante telefonate avessi risposto, se il mio tono di voce fosse stato convincente e quanti minuti avessi trascorso in bagno.

Ero sempre stata una lavoratrice modello.

Io non ho niente da nascondere.

Poi vennero a prendermi le impronte digitali, l’iride e i lineamenti del viso.

Avrei potuto fare a meno di tutte le password e girare finalmente senza documenti!

Niente più file negli uffici pubblici o all’aeroporto.

Premetti i polpastrelli e guardai le telecamere da tutte le angolazioni, come mi fu richiesto.

Io non ho niente da nascondere.

Poi mi fu detto di portare un braccialetto.

Mi dissero che serviva per controllare la mia salute, i miei stati d’animo e pure per prevenire future malattie.

In fondo, cosa c’era di male? Loro lo facevano per il mio bene.

Io non ho niente da nascondere.

Infine, un giorno, mi obbligarono ad inserire un chip sotto la pelle.

Era nel mio interesse, per pagare più agevolmente nei negozi, per valutare la mia forma fisica ed emotiva, per la mia sicurezza, per l’efficienza dello Stato…

Protestai…

Perché, Signora?”

“Per la privacy. So che ne ho diritto e ci tengo moltissimo”.

Ma noi sappiamo già tutto di Lei, dov’è andata in vacanza, dove andrà in vacanza, che ieri ha litigato con suo marito, che oggi è tornata tardi dal lavoro, chi vedrà stasera, cos’ha mangiato tre anni due mesi e sette giorni fa, i programmi che preferisce in tv…

ma un consiglio, Signora, cercare la ricetta della parmigiana senza friggere le melanzane non l’aiuterà a perdere quei tre chili che la tediano tanto”.

“E col suo colesterolo, poi!”                         

Cosa ci vuole nascondere? Noi vogliamo aiutarla, ma per farlo dobbiamo entrare dentro di Lei: registrare, analizzare, prevedere”.

Non dovrà più neppure esprimere un desiderio, non le faremo venire neanche la voglia che noi l’avremo già soddisfatta”.

 

“Ma io, io.. io non vi ho mai detto tutte queste cose!

E non vi permetto di saperle!”

 

Allora tirarono fuori dei fogli di carta. Pile e pile di moduli.

E c’era il mio consenso.

Per la privacy! Vede? È tutto trasparente e legittimo.

Il resto è paranoia, Signora. Qui non muore nessuno”.

Di privacy non si muore.

Ma di mancata sicurezza, di mancata efficienza sì.

Lei poi ha un punteggio altissimo! Lo conferma anche la sua parrucchiera!

Certo, se evitasse quel bicchiere di vino il venerdì sera al pub con le amiche… guadagnerebbe ancora qualche punto in più”.

 

Pensavo di non avere segreti, ma ora, invece, reclamavo disperatamente il diritto di averne.

 

Purtroppo, non avevo PIÙ niente da nascondere.

 

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