“La vera domanda da porsi è se l’intelligenza artificiale debba avere gli stessi diritti che hanno i giornalisti e noi tutti: il diritto di leggere, il diritto di imparare, il diritto di usare le informazioni una volta conosciute”.
Propongo questo articolo di JEFF JARVIS la cui versione integrale in inglese si può leggere qui, che è il sunto della testimonianza alla sottocommissione del Senato Usa sull’intelligenza artificiale e il futuro del giornalismo di un uomo che è stato giornalista per cinquant’anni e professore di giornalismo negli ultimi diciotto.
Jarvis propone una reimmaginazione del diritto d’autore, di guardare all’AI come opportunità senza trascurare i rischi ma di sostenere tecnologia e informazione al fine di farle collaborare e di ricostruire il giornalismo.
“The Gutenberg Parenthesis: The Age of Print and its Lessons for the Age of the Internet” (Bloomsbury, 2023), il suo ultimo libro è il punto di partenza della riflessione, perché ci ricorda che la legge americana sul copyright del 1790 riguardava solo grafici, mappe e libri. “Il Post Office Act del 1792 – racconta – permise ai giornali di scambiarsi copie gratuitamente, consentendo ai giornalisti di copiare e ristampare gli articoli degli altri per creare una rete per le notizie”. E sottolinea che la storia insegna che ogni nuovo media ha dovuto subire accoglienze ostili come la radio. “Gli editori – racconta Jarvis -costrinsero le emittenti a firmare il Biltmore Agreement del 1933 minacciando di non stampare gli elenchi dei programmi”.
E precisa: “Gli editori accusavano la radio – così come da allora accusano la televisione, Internet e l’intelligenza artificiale – di rubare i loro contenuti, il pubblico e gli introiti, come se ciascuno di essi fosse stato loro concesso da un privilegio reale”.
Ieri come oggi la democrazia era sempre messa in gioco perché da sempre il giornalismo indipendente è considerato vitale per la democrazia. È anche sempre più raro e prezioso”. E per lo studioso e giornalista americano “Ancora oggi, i giornalisti – alla radio o al New York Times – leggono, imparano e riutilizzano i fatti e le conoscenze acquisite dal lavoro dei colleghi giornalisti. Senza questa libertà garantita, i giornali e i notiziari televisivi, radiofonici e online non potrebbero funzionare”.
Ecco perché la vera domanda da porsi è se l’intelligenza artificiale debba avere gli stessi diritti che hanno i giornalisti e noi tutti: il diritto di leggere, il diritto di imparare, il diritto di usare le informazioni una volta conosciute.
Ma se viene privata di questi diritti, cosa potremmo perdere?
Prima di tutto Jarvis parla di opportunità derivante dalla collaborazione perché l’IA presenta molte possibilità interessanti per le notizie e i media. “Si è dimostrata eccellente nella traduzione – specifica – tanto che già alcune organizzazioni giornalistiche la usano per tradurre articoli”.
Poi passa ai rischi che derivano ad un Internet in mano a forze private. In particolare non concorda con il New York Times che ha chiesto di cancellare l’intera storia dei suoi contenuti, quelli che erano liberamente disponibili da Common Crawl, fondazione che da sedici anni archivia l’intero web. “Personalmente – dice – quando ho appreso che i miei libri erano inclusi nell’insieme di dati Books3 utilizzati per addestrare grandi modelli linguistici, ne sono stato felice, perché non scrivo solo per fare soldi, ma anche per diffondere idee”.
Il suo timore è un ecosistema informativo con le notizie autorevoli dietro i paywall, a disposizione solo dei cittadini privilegiati e delle grandi aziende in grado di pagarle. Agli altri resteranno propaganda, disinformazione, cospirazioni, spam e bugie?
Il diritto d’autore va reimmaginato
Per lui il diritto d’autore in quest’epoca di cambiamenti deve partire da una discussione sull’IA generativa come uso equo e trasformativo. “I nostri concetti di creatività come contenuto e di contenuto come proprietà hanno le loro radici nel diritto d’autore – dice -. Ora arrivano le macchine che producono contenuti infiniti ed i giornalisti devono capire che il loro valore non sta nella produzione di una merce, ma nel servizio che aiuta i cittadini informati a migliorare le loro comunità”.
In conclusione Jeff Jarvis dice che sia per la tecnologia che per il giornalismo è meglio sostenere l’innovazione: “Ciò significa consentire lo sviluppo open-source, incoraggiando sia i modelli di IA, sia i dati – come quelli offerti da Common Crawl – a essere condivisi liberamente”.
Insomma il giornalismo va ricostruito e a tal proposito lui stesso ha contribuito a creare un corso di laurea chiamato Engagement Journalism ma vede possibilità anche nel Solutions Journalism, nel Constructive Journalism, nel Reparative Journalism, nel Dialog Journalism e nel Collaborative Journalism. “Ciò che accomuna queste esperienze – spiega – è un’etica di ascolto delle comunità e delle loro esigenze”.
Jeff Jarvis è titolare della cattedra Leonard Tow per l’innovazione del giornalismo e dirige il Tow-Knight Center for Entrepreneurial Journalism presso la Craig Newmark Graduate School of Journalism della City University di New York.