La tregua, che pareva a un passo, è ormai svanita, almeno nel breve termine. La guerra tra Israele e Hamas ha un nuovo fronte, Rafah, a Sud della Striscia. Ma ha anche una data di scadenza: l’inizio del Ramadan, il 10 marzo, secondo quanto annunciato dal premier israeliano Benjamin Netanyahu, che resiste alle pressioni della comunità internazionale per alleggerire la stretta militare e umanitaria sui civili palestinesi.
A Rafah, dove l’intelligence israeliana segnala quattro battaglioni di Hamas, si ammassano, ora, 1.400.000 persone, i due terzi degli abitanti della Striscia, rifugiati che hanno dovuto abbandonare le loro case a Gaza, a Khan Younis e altrove. Centinaia le vittime civili delle prime avvisaglie dell’offensiva israeliana. Gli sforzi negoziali proseguono, ma sotto traccia: oggi ci si crede meno, ma c’è chi spera sviluppi in settimana.
In 130 giorni, il conflitto, innescato dai raid terroristici di Hamas il 7 ottobre – 1200 israeliani uccisi e circa 300 presi ostaggio -, ha fatto quasi 30 mila morti, di cui almeno 12.500 minori. Ma le cifre delle carneficine non distolgono Netanyahu dai suoi obiettivi: eradicare Hamas dalla Striscia e assumerne il controllo.
Il Sud Africa, che ha già denunciato Israele alla Corte di Giustizia internazionale per genocidio, torna a sollecitare l’Onu perché si frapponga all’intervento a Rafah. Ma la comunità internazionale, le Nazioni Unite, gli Stati Uniti, l’Unione europea, continua a sciorinare la propria impotenza davanti alla determinazione israeliana di andare a fondo nell’azione militare.
Sul fronte ucraino, invece, dove la settimana prossima l’invasione russa compirà due anni, l’Ucraina avvicenda il comandante dell’esercito e non è ancora certa di ricevere nuovi aiuti dagli Stati Uniti, perché a Washington la fronda ‘trumpiana’ all’Amministrazione Biden li tiene bloccati.
E proprio Donald Trump diffonde ansia ed allarme fra gli alleati europei, minacciando di lasciarli alla mercé di Vladimir Putin se non spenderanno per la difesa il 2% del loro Pil. Parole e propositi che Joe Biden, presidente Usa, bolla come “pericolosi e sconvolgenti” e “non americani”.
In un certo senso, Putin raccoglie subito l’assist di Trump, mettendo nella lista dei ricercati russi Kaja Kallas, premier estone, candidata a un incarico di rilievo nei nuovi organigrammi dell’Ue, dopo le elezioni di giugno, e colpevole di volere rimuovere i monumenti dell’era sovietica che restano nel suo Paese.