Nelle Università statunitensi, è tornato il ’68: gli studenti contestano la guerra nella Striscia di Gaza come i loro nonni, allora, contestavano quella nel Vietnam e denunciano l’atteggiamento troppo tollerante dell’Amministrazione Biden nei confronti delle violazioni dei diritti umani israeliane. Negli Stati Uniti e altrove nel Mondo, anche in Italia, l’inizio della settimana ha visto un’ondata senza precedenti di proteste e arresti: alla Columbia e alla New York Universit e ad Harvard, Yale, Princeton, ovunque; alcuni atenei hanno sospeso le lezioni in presenza, almeno in coincidenza con la Pasqua ebraica, perché gli studenti ebrei hanno paura e denunciano atteggiamenti anti-semiti.

Nel giro di sei mesi, ma in realtà già nel giro di poche settimane, il governo Netanyahu ha saputo trasformare l’enorme afflato di vicinanza e solidarietà a Israele, dopo gli attacchi terroristici compiuti da Hamas e da altre sigle palestinesi il 7 ottobre – 1200 vittime e quasi 300 ostaggi presi -, in una diffusa denuncia degli eccessi e delle provocazioni compiuti dalle forze armate israeliane: oltre 34 mila vittime in 200 giorni nella Striscia, civili, donne, bambini; e il rischio che il conflitto infiammi l’intera Regione.

Hai voglia a dire di stare calmi, di tenere i nervi a posto, Se il ministro degli Esteri israeliano Israel Katz posta tweet di missili – iraniani – che piovono sul Colosseo o sulla Torre Eiffel, ti corrono i brividi lungo la schiena e ti viene pure da pensare che qualcuno giochi alla strategia della tensione, in un’area dove la tensione resta altissima e i rischi di contagio di un conflitto eccezionalmente letale sono accresciuti da comportamenti reciprocamente aggressivi e provocatori.

Il ministro degli Esteri italiano Antonio Tajani invita a “evitare di creare il panico”. “Non credo – afferma – che ci sia un’ipotesi di attacco all’Occidente” da parte dell’Iran, “che pure commette errori gravi: dare droni alla Russia, dare droni e armi a Hezbollah non va bene”. La scritta, in inglese, francese, ebraico, sui tweet di Katz, dice: “Fermate l’Iran prima che sia troppo tardi”. Il messaggio è rivolto al segretario di Stato Usa Antony Blinken e ai ministri italiano, tedesco Annalena Baerbock, francese Stéphane Séjourné e britannico David Cameron.

Le notizie che arrivano da Washington allungano, in prospettiva, i conflitti in corso. Il Congresso, dopo sei mesi di tira e molla, stanzia 95 miliardi di dollari per le guerre: 80 di armi per l’Ucraina, soprattutto munizioni e sistemi anti-aerei; 26 per Israele – due terzi per l’esercito israeliano, circa un terzo per aiuti umanitari ai palestinesi –; e il resto per l’Indo-Pacifico. Il provvedimento è definitivo: le prime consegne all’Ucraina – più urgenti – e a Israele avverranno a giorni.

Medio Oriente: fronti instabili, la Striscia, la Cisgiordania, Siria e Iraq
Dei fronti di tensione aperti, il Medio Oriente è quello più instabile. Dopo l’attacco con dei droni di Israele su Isfahan in Iran, la notte tra il 19 e il 20, forse solo un test della capacità israeliana di perforare le difese aeree iraniane, Tel Aviv e Teheran paiono in stallo: il drammatico ping-pong di attacchi, ritorsioni e contrattacchi s’è forse fermato, almeno per il momento. Ma in stallo sono pure le trattative per una tregua e per la restituzione degli ostaggi, mentre i rapporti tra il Qatar, uno dei mediatori con Egitto e Usa, e Hamas attraversano un momento difficile.

Israele si fa beffe della mozione dell’Onu – vincolante – che ordina la tregua e prepara l’offensiva di terra a Rafah, ignorando gli inviti alla moderazione di Usa e Ue. Preliminare è l’evacuazione dei palestinesi dal sud della Striscia, dove erano stati prima cacciati ed ammassati, verso il centro, a Khan Younis, dove la presenza militare israeliana s’è rarefatta (e dove si scopre una fossa comune con circa 300 corpi nel cortile dell’ospedale teatro di furiosi combattimenti).

Il premier Benjamin Netanyahu dice: “Nei prossimi giorni aumenteremo la pressione militare e politica su Hamas, perché questo è l’unico modo per liberare i nostri ostaggi e ottenere la vittoria”. E definisce “il massimo dell’assurdità” l’ipotesi di sanzioni degli Usa nei confronti del battaglione degli ultra-ortodossi Netzach Yehuda, famigerato per le brutalità in CisGiordania.

L’Amministrazione Biden intende bloccare gli aiuti militari all’unità ultra-ortodossa, applicando, per la prima volta nei confronti di Israele, una legge vecchia di 27 anni, la ‘legge Leahy, dal nome del senatore del Vermont Patrick Leahy, che la promosse, che vieta di fornire assistenza militare a unità militari straniere che violano senza essere sanzionate i diritti umani.

Gli episodi letali, le punture di spillo, le azioni terroristiche sono incessanti. La diplomazia latita: l’Occidente, dal G7 all’Ue, è solo capace di varare nuove sanzioni contro l’Iran, ma non sa fare nulla per fermare il conflitto. Il presidente turco Racep Tayyip Erdogan, sempre imprevedibile, incontra il capo di Hamas Ismail Haniyeh e gli assicura che “i sionisti pagheranno”; e va a Baghdad, dove il governo iracheno non riesce a ottenere dagli Usa il ritiro delle forze di stanza nel Paese.

Citiamo solo alcuni dei fatti degli ultimi giorni. Almeno 22 palestinesi tra cui 18 minori sono stati uccisi in una serie di attacchi israeliani contro case di Rafah. All’inizio della Pasqua ebraica, un’auto investe dei pedoni a Gerusalemme – tre i feriti -: due giovani ne escono, imbracciando un’arma, che però si inceppa, e si danno alla fuga, ma vengono arrestati. Hezbollah continua a lanciare razzi verso Israele e a subirne ritorsioni.

L’agenzia di stampa palestinese Wafa afferma che un uomo di 44 anni è stato ucciso a colpi d’arma da fuoco durante un raid militare israeliano notturno nella città di Gerico, in Cisgiordania. Altre due persone sono state ferite nei vicini campi profughi di Aqbat Jabr ed Ein el-Sultan.

Dal nord dell’Iraq, milizie-filo iraniane prendono di mira una base della coalizione anti-jihadista in Siria a guida Usa. E un’esplosione in una base di milizie filo-iraniane nel centro dell’Iraq causa un morto e otto feriti e innesca l’invio di un drone su Israele. Il governo di Baghdad esclude che si sia trattato di missili, Israele e Stati Uniti negano ogni responsabilità.

Israele: dimissioni di generali e smacco sull’Unrwa
Intanto s’è dimesso, 200 giorni dopo, Aharon Haliva, il generale comandante dell’intelligence militare israeliana che il 7 ottobre non seppe prevenire il massiccio attacco terroristico compiuto da Hamas – 1200 le vittime israeliane e quasi 300 gli ostaggi catturati -. La guerra a Gaza che ne è derivata ha già fatto oltre 34 mila vittime.

Alle dimissioni di Haliva si aggiungono quello di Yehuda Fuchs, capo del comando centrale. L’uscita di scena, quasi contemporanea, di due generali di divisione israeliani può certamente essere una coincidenza, ma può anche essere un segnale dissenso per qualche decisione non condivisa nella conduzione delle ostilità.

Il leader dell’opposizione Yair Lapid attacca il governo prendendo spunto proprio dalle dimissioni dei generali: “Il ritiro del capo dell’intelligence militare è giustificato e onorevole. Sarebbe stato opportuno che il premier Netanyahu facesse lo stesso”. Ma Netanyahu non ci pensa affatto, nonostante massicce e ripetute manifestazioni che chiedono il suo allontanamento e nuove elezioni; e ribadisce che la Pasqua ebraica non fermerà l’azione di Israele nella Striscia.

Infine, appaiono inconsistenti, alla luce delle conclusioni di una commissione d’inchiesta indipendente, guidata dall’ex ministra degli Esteri francese Catherine Colonna, le accuse mosse da Israele all’agenzia dell’Onu per i rifugiati palestinesi, l’Unrwa: non ci sono prove che agenti dell’Agenzia abbiamo partecipato ai raid terroristici del 7 ottobre e Israele non ha mai espresso riserve o preoccupazioni su nessuno dei dipendenti dell’Agenzia dal 2011.

Ucraina: Kiev attende le nuove armi e spera di nuovo vittoria, Mosca dice non cambia nulla
Dopo il via libera del Congresso a ulteriori aiuti militari americani all’Ucraina, c’è un momento d’euforia a Kiev, dove si torna a parlare di vittoria e si ridimensionano le difficoltà recentemente denunciate: “Ci troviamo di fronte a una situazione piuttosto difficile, ma non catastrofica. Non ci sarà l’Armageddon”, dice alla Bbc il capo dei servizi segreti militari ucraini Kyrylo Budanov.

I presidenti Usa Joe Biden e ucraino Volodymyr Zelensky concordano in una telefonata la fornitura di missili balistici a corto raggio Atacms da parte degli Usa all’Ucraina: era un punto controverso. E per ovviare alle carenze attuali di difese contro-aeree, Kiev sollecita anche i Paesi europei a darle i Patriots di cui dispongono. Gran Bretagna, Germania, Svezia danno echi in varia misura positivi. Non che le armi al mondo manchino: secondo l’Istituto internazionale di ricerche sulla pace (Sipri) di Stoccolma, la spesa militare globale è stata record nel 2023, 2,4 trilioni di dollari.

Biden parla al telefono anche con la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, che gli assicura che l’Unione non farà passi indietro nell’appoggio all’Ucraina. Tra Washington e Bruxelles. sponde Ue e Nato, c’è soddisfazione per lo sblocco degli aiuti. Ma il Washington Post s’interroga se ciò basterà a “turn the tide”, cioè a cambiare il corso degli eventi.

Il presidente polacco Andrzej Duda, reduce da una cena a New York con l’ex presidente Usa Donald Trump, afferma che la Polonia è “pronta” ad accogliere armi nucleari sul proprio territorio “per rafforzare la sicurezza del fianco orientale dell’Alleanza atlantica” e viene quasi zittito dal premier polacco Donald Tusk – i due appartengono a schieramenti politici opposti -. La Russia fa sapere che, se ciò avvenisse, “adotterà le misure necessarie per garantire la sicurezza nazionale”.

Per Mosca, il maggior coinvolgimento degli Stati Uniti nel conflitto ucraino sarà “un fiasco, come in Vietnam”. Secondo il Ministero della Difesa russo, la guerra è finora costata all’Ucraina la perdita di 500 mila uomini: cifre che, come quelle di fonte ucraina, sanno di propaganda. Viktor Orban, premier ungherese, politicamente vicino a Duda, getta benzina sul fuoco: “Siamo a un passo dall’invio di truppe dell’Occidente” in Ucraina.

Il bollettino di guerra registra, ogni notte, attacchi russi sulle infrastrutture ucraine, ma ci sono anche lanci di droni dall’Ucraina sulla Russia. La marina ucraina sostiene di avere colpito la ‘Kommuna’, storica nave russa, nel porto di Sebastopoli; Mosca parla di attacco respinto; un video mostra una nave in fiamme proprio nel porto – pare – di Sebastopoli. Il fronte di sposta di poco, ma è possibile che i russi cerchino di ottenere qualche successo simbolico per il 9 Maggio, quando loro celebrano la vittoria nella Seconda Guerra Mondiale.

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Giampiero Gramaglia
Giornalista, collabora con vari media (periodici, quotidiani, siti, radio, tv), dopo avere lavorato per trent'anni all'ANSA, di cui è stato direttore dal 2006 al 2009. Dirige i corsi e le testate della scuola di giornalismo di Urbino e tiene corsi di giornalismo alla Sapienza.