La cultura digitale non ha interesse a negoziare, si occupa di fare ordine e di organizzare la società senza passare attraverso il linguaggio. Dal momento che comincia ad usare il linguaggio è per prenderne possesso.

I giornalisti sono l’ultima frontiera di difesa di uno scambio, insostituibile, di senso e di opinioni fra umani. Sono i difensori del valore e del ruolo del linguaggio nei rapporti fra umani. Più delle immagini, le parole sono l’arma della conoscenza. A livello globale, i giornalisti hanno la responsabilità di difendere il linguaggio in quanto produttore di significato, arginando l’invasione del linguaggio automatizzato. L’algoritmo non usa le parole per il loro significato, ma solo per dare istruzioni e comandi.
Il giornalismo è l’unico legame permanentemente attualizzato tra il mondo e il pubblico. Non solo la deontologia professionale deve rispettare la veridicità e l’affidabilità delle fonti, mantenersi a distanza dal potere, e d’ora in poi deve anche proteggere il valore dello scambio fra uomini, dall’automazione del discorso generativo dell’IA.

Il capitale cognitivo di ognuno di noi a partire dall’umanesimo e dalla cultura alfabetica è rappresentato dall’inserimento di esperienza di conoscenza che arriva dalla lettura, dal dialogo  fondato sulle parole.

Tutto quanto apprendiamo nel corso della nostra vita, la memoria solida, crescente, accumulata ci permette di arrivare a una situazione che si può definire capitale cognitivo. Gli uomini le donne davano giudizi su cose che conoscevano. La pubblicità, per esempio, non ti parla più, decide per te, ti influenza nelle scelte. Siamo vittime di un sistema digitale che non ha un rapporto family con l’umanesimo. Viviamo in una situazione in cui il nostro capitale cognitivo è buttato fuori sul nostro telefonino: esternalizzazione della memoria, del giudizio e dell’orientamento spaziale. Tutte le nostre grandi funzioni cognitive che abbiamo imparato e acquisito dalla cultura alfabetica sono fuori dal nostro corpo.

Adesso buttiamo fuori la memoria e il giudizio. Questo vuol dire che dobbiamo essere pronti a gestire l’economia, il governo, l’educazione, tutte le forme di scienza a partire dalla nuova relazione che abbiamo con l’intelligenza artificiale. A partire dal momento che i ragazzi nella scuola possono fare meglio con il telefonino dobbiamo ripensare come gestire l’insegnamento. La macchina manipola la parola, noi abbiamo ancora la creatività .

Non condanno l’IA, ma voglio sapere dove va l’uomo quando le decisioni sono prese dalla macchina. E questa è la prima grande domanda relativamente all’umanesimo ecco perché sono certo che i giornalisti sono l’ultima frontiera di difesa dello scambio di opinioni fra umani, sono i  difensori del valore e del ruolo del linguaggio nei rapporti fra umani. Il dialogo del giornalismo con il mondo costruisce le menti.

 

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Derrick de Kerckhove
Direttore scientifico di Media Duemila e Osservatorio TuttiMedia. Visiting professor al Politecnico di Milano. Ha diretto dal 1983 al 2008 il McLuhan Program in Culture & Technology dell'Università di Toronto. È autore di "La pelle della cultura e dell'intelligenza connessa" ("The Skin of Culture and Connected Intelligence"). Già docente presso il Dipartimento di Scienze Sociali dell'Università degli Studi di Napoli Federico II dove è stato titolare degli insegnamenti di "Sociologia della cultura digitale" e di "Marketing e nuovi media".