C’è un dubbio che aleggia sull’anno appena iniziato: il 2025 della geo-politica inizierà il 20 gennaio, cioè il giorno dell’insediamento alla Casa Bianca di Donald Trump per il suo secondo mandato?; o finirà il 20 gennaio, perché dopo si aprirà una fase inesplorata della diplomazia e della convivenza, la cui misura anche temporale andrà rimodulata?
Le più recenti dichiarazioni del presidente eletto e ormai ‘certificato’ degli Stati Uniti incoraggiano la seconda ipotesi. Ma, in ogni esso, chi prova ad allungare sul 2025 lo sguardo della geo-politica capisce subito che l’anno nasce corto, cortissimo: se il 20 gennaio Trump s’insedia alla Casa Bianca per la seconda volta, il 23 febbraio i tedeschi vanno alle urne in anticipo sul previsto di sei mesi – circostanza piuttosto eccezionale per loro – per eleggere il nuovo Bundestag.
I due eventi incideranno, in modo determinante, sugli assetti e sulle posizioni occidentali ed europee nel prossimo quadriennio. Fare, quindi, oggi previsioni su quelli che saranno gli sviluppi sui fronti di guerra in Ucraina e in Medio Oriente, sull’integrazione europea, sui rapporti con la Cina, sull’andamento dell’economia e sul clima è un azzardo.
Come nel 2017, anche il ritorno al potere di Trump è un salto nel buio: allora, l’incognita maggiore era l’imprevedibilità del personaggio; adesso, è il desiderio di rivalsa che lo anima – e la somma degli egocentrismi suo e di Elon Musk non è per nulla tranquillizzante, anche se non è affatto detto che il loro sodalizio sia destinato a durare -. Di fronte a sé, il magnate si ritrova un’Europa meno coesa e più fragile che nel 2017: Francia e Germania, i due Paesi faro dell’Unione, sono di fatto senza governo; le pulsioni nazionaliste, sovraniste, xenofobe minano l’integrazione; reminiscenze autoritarie e autarchiche attecchiscono dai Paesi Nordici all’Italia, dall’Ungheria alla Slovacchia; dall’Olanda all’Austria; Francia, Germania e Spagna non ne sono immuni.
Accadde Domani: il 20 gennaio, tutte le incognite del primo giorno e di quelli successivi
Fino a martedì sera, pensavamo che Trump, nel primo (e unico?) giorno da ‘presidente dittatore’, come lui stesso usava dire in campagna elettorale, volesse varare una raffica di misure su dazi e deportazioni e proclamare il ‘libera tutti’ di centinaia di facinorosi divenuti per decreto da criminali patrioti.
Dopo la conferenza stampa fluviale fatta a Mar-a-lago, in Florida, sappiamo che dobbiamo metterci l’elmetto e cominciare a individuare i rifugi più vicini a noi, perché Trump, nel secondo mandato, resta intenzionato a riportare la pace nel Medio Oriente e in Ucraina, senza badare troppo a se sia giusta o meno, ma minaccia guerre altrove, tanto per cominciare per annettersi il Canale di Panama e la Groenlandia, che costituiscono – dice – “interessi vitali” degli Stati Uniti.
Trump vuole anche cambiare nome al Golfo del Messico chiamandolo Golfo dell’America e mette in guardia gli alleati della Nato cui potrebbe chiedere un aumento delle spese per la difesa dall’attuale 2% del Pil fino al 5%.
Gli atti e soprattutto le parole del presidente eletto il 5 novembre e ‘certificato’ il 6 gennaio dal voto del Congresso riunito in sessione plenaria alimentano le peggiori inquietudini nel Mondo intero. E non c’è da fidarsi dell’adagio secondo cui alle promesse del candidato non seguono le azioni dell’eletto: rispetto al 2017, Trump sta mettendo cura nello spazzare via dal suo cammino quanti possono ostacolare i suoi progetti.
Nelle prime ore alla Casa Bianca, con ordini esecutivi, Trump potrà dare impulso alla deportazione degli immigrati senza documenti, che sono illegalmente nell’Unione, e potrà imporre dazi, raddoppiando quelli alla Cina e gravando del 25% l’import dal Messico e dal Canada, gli unici Pasi con cui gli Usa hanno frontiere terrestri – le cifre le ha fornite lui stesso -.
Ci sarà poi la cancellazione dei processi in cui lui è imputato – potrebbe richiedere qualche tempo – e la concessione della grazia agli insorti del 6 gennaio 2021: sono 1580 le persone già incriminate per reati federali, centinaia le condannate, molte delle quali in carcere. Non è chiaro se il perdono andrà solo a coloro che compirono reati minori, come superare le barriere della polizia ed entrare nel Congresso, o se sarà anche esteso a quanti compirono reati violenti, come attaccare le forze dell’ordine.
Un altro obiettivo a breve termine è l’uscita degli Usa dagli accordi sul clima di Parigi: andirivieni ormai stucchevole, dentro con Obama, fuori con Trump 1, di nuovo dentro con Biden, di nuovo fuori con Trump 2; e, soprattutto, lesivo delle possibilità per il Pianeta di centrare obiettivi ritenuti minimi e indispensabili per frenare il riscaldamento globale, nel segno di un negazionismo ispirato non dalla scienza ma da mere e miopi considerazioni economiche a breve termine.
Accadde Domani: 6 gennaio 2021 / 6 gennaio 2025, le differenze di clima
A darci un’idea di quel che ci aspetta è la differenza tra il trasferimento dei poteri pacifico in corso quest’anno e quello drammatico del 2021: lunedì scorso, la ‘certificazione’ dei voti espressi, Stato per Stato, dai Grandi Elettori è avvenuta senza alcuna contestazione, mentre quattro anni prima un’orda di esagitati sobillati da Trump aveva preso d’assalto il Campidoglio e invaso il Congresso, mettendo a soqquadro l’aula e gli uffici, intralciando i lavori, facendo morti e feriti e compromettendo la democrazia statunitense.
La ritualità del 2025 è “un crudo contrasto con la violenza di quattro anni or sono”, che – notano quasi all’unisono i media Usa – rende più difficile comprendere la scelta fatta dal popolo americano il 5 novembre. In un commento sul giornale, il presidente Biden sottolinea che cosa gli americani dovrebbero ricordare: “Non possiamo permettere che la verità vada perduta”. Invece, Trump, che della verità non ha rispetto, si appresta a riscriverla, in una operazione alla ‘1984’ di George Orwell.
C’è una normalità della democrazia; e c’è una normalità trumpiana, che sovverte le regole, ma che – è un dato – la maggioranza dei cittadini statunitensi non solo accetta, ma esalta, rieleggendolo presidente. La normalità di chi pensa, come scrive l’Ap, che la sua dimora di Mar-a-lago in Florida sia “il centro dell’universo”: un magnete per quanti, leader o imprenditori, vogliono esercitare o acquisire influenza; il posto dove essere e, soprattutto, dove farsi vedere se si è o si vuole entrare nell’ ‘inner circle’ del 47° presidente degli Stati Uniti. Ultimo esempio, la visita trafelata, tra sabato e domenica 4 e 5 gennaio, della premier italiana Giorgia Meloni. Ma, prima di lei, da Mar-a-lago, dove, in un cottage, s’è installato Elon Musk, sono già passati Netanyahu e il presidente argentino Javier Milei e il premier ungherese Viktor Orban.
Chi non s’adegua o si mette di mezzo, salta, anche preventivamente: accade al premier canadese Justin Trudeau, icona ‘liberal’, degradato sui social da Trump a “governatore del 51° Stato dell’Unione”, fattosi da parte perché anche nel suo Paese c’è chi ascolta le sirene trumpiane. E così molti leader, tanti europei, si preparano a essere compiacenti con il magnate più che a resistergli.
E poi ci sono le guerre, cui Trump vuole porre fine, quelle in Medio Oriente, dove però minaccia “l’inferno” a Hamas se tutti gli ostaggi non saranno restituiti, e in Ucraina, dove c’è l’ipotesi d’un cessate-il-fuoco lungo la linea del fronte attuale, in attesa che i negoziati definiscano i futuri assetti dei confini russo-ucraini e anche i percorsi dell’Ucraina verso l’Ue (ma quasi certamente non verso la Nato).
Accadde Domani: gli appuntamenti istituzionali Sull’agenda 2025, restano certamente i punti fermi istituzionali. Il vertice del G7, il 51° della serie, si svolgerà dal 15 al 17 giugno a Kananaskis, non lontano da Calgary, nella provincia dell’Alberta, in Canada: è un ritorno al passato, perché Kananaskis – una cittadina fra le montagne – inaugurò, nel 2002, dopo l’esperienza traumatica e tragica di Genova 2001, la serie dei vertici fatti in località remote, facili da proteggere e di difficile accesso a manifestanti e contestatori.
Quel 28° ‘vertice dei Grandi’ era ancora un G8, perché vi partecipava la Russia, ammessa nel 1997 e poi espulsa nel 2014, dopo il cambio di regime in Ucraina e l’annessione della Crimea.
Il 20° vertice del G20 si svolgerà il 22 e 23 novembre, in SudAfrica, a Johannesburg. Il vertice dell’Apec, cioè dei Paesi che s’affacciano sul Pacifico, è previsto in novembre a Gyeongiu in Corea del Sud. Il 17° vertice dei Brics si farà in Brasile, in data da determinare e con una formazione ancora fluida: i Brics stanno crescendo di numero, ma la loro coesione resta modesta. E il vertice della Sco (Shanghai Cooperation Organisation) si farà in Cina nel segno dello sviluppo sostenibile. Brics e Sco sono due articolazioni dell’ordine mondiale alternativo cui Cina, Russia, Iran, India, Brasile, SudAfrica e altri Paesi stanno lavorando, in contrapposizione più o meno marcata all’Occidente.
Per le Nazioni Unite, il 2025 sarà l’anno dell’80° anniversario: l’Assemblea generale a settembre e la ricorrenza dell’entrata in vigore della Carta dell’Onu il 24 ottobre ne saranno i momenti salienti. La 30° edizione della UN Climate Change Conferenze, la Cop 30, si riunirà il novembre a Belém, in Brasile: di qui ad allora, gli Stati Uniti saranno di nuovo usciti dagli Accordi di Parigi sul clima, compromettendo ulteriormente il raggiungimento degli obiettivi giù concordati.
L’Ue terrà regolari vertici trimestrali a Bruxelles, ma ci saranno anche appuntamenti straordinari e informali: il primo a febbraio, u seminario fra i leader nella campagna belga. Dopo l’Ungheria, che esaurisce il 31 dicembre un travagliato mandato, Polonia dall’1 gennaio e Danimarca dall’1 luglio s’alterneranno alle presidenze semestrali del Consiglio dei Ministri dell’Ue. Lato Nato, il Vertice dell’Alleanza atlantica è convocato il 24 e 25 giugno all’Aia, in Olanda.