LIVIA SERLUPI CRESCENZI –

L’Italia digitale è l’obiettivo di sviluppo per modernizzare il paese e rilanciare l’economia. “Se le imprese italiane raddoppiassero gli investimenti in Ict, si avrebbe una crescita della produttività tra il 5 e il 10% e se, come sta accadendo negli altri paesi, lo sviluppo dell’Internet economy diventerà anche da noi il centro delle politiche per la crescita, il contributo all’aumento del Pil potrebbe essere dell’ordine del 4-5% nei prossimi tre anni”. Con queste parole Stefano Parisi, Presidente di Confindustria Digitale, la nuova Federazione delle imprese dell’Ict, ha aperto i lavori del primo “Italian Digital Agenda Annual Forum” che ha voluto battezzare questo importante incontro con uno slogan significativo: “Internet cambia l’Italia”. Oltre a imprenditori ed esperti dell’Ict, erano presenti i rappresentanti del governo, responsabili della Cabina di regia istituita dal governo per la realizzazione dell’Agenda Digitale in Italia, il ministro dello Sviluppo economico Corrado Passera e dell’Istruzione Francesco Profumo e poi, tra gli altri, Neelie Kroes, commissaria europea con delega all’Agenda Digitale. “Sono settecentomila i professionisti in ICT attesi entro il 2015” ha voluto sottolineare la commissaria europea. Una grande opportunità dunque, in un periodo di crisi economica, come quello che stiamo vivendo, in cui la disoccupazione è diventato il problema più preoccupante non solo per il nostro paese.

Nata con l’obiettivo di promuovere lo sviluppo dell’economia digitale a beneficio della concorrenza e dell’innovazione del Paese, Confindustria Digitale, che rappresenta imprese per un totale di oltre 250.000 addetti e un fatturato annuo di oltre 70 miliardi di euro, ha recentemente presentato un piano al Governo per raggiungere gli obiettivi stabiliti dall’Agenda digitale europea entro il 2015. “Le imprese italiane dell’Ict offrono la piena collaborazione al Governo perché l’Agenda Digitale diventi un grande progetto nazionale in grado di aprire il Paese a un nuovo ciclo economico”. Il presidente di Confindustria ha poi snocciolato numeri e percentuali per analizzare la situazione nel nostro paese. “Se le imprese italiane aumentassero solo dell’1% il loro fatturato estero attraverso le vendite online, le nostre esportazioni totali aumenterebbero dell’8% pareggiando il saldo import-export di beni e servizi”. Ma l’analisi non riguarda solo le imprese. Infatti, “ il completo switch off verso il digitale della Pubblica Amministrazione – ha continuato Parisi – può contribuire all’azione di spending review, riducendo finalmente la spesa pubblica annua in modo strutturale e recuperando risorse per oltre 56 miliardi di euro. La maggior disponibilità di servizi pubblici e privati on line consentirebbe un risparmio di circa 2mila euro l’anno a famiglia”. Il digitale quindi – ha ancora evidenziato Parisi – è una “grande opportunità dove persino l’industria e la cultura possono incontrarsi affinché contenuti e creatività arrivino a tutti i cittadini e alle imprese con regole certe”.

Oggi l’economia digitale in Italia pesa il 4% sul Pil, dato che segnala il ritardo del nostro Paese, dove l’uso di Internet è ancora limitato al 50% della popolazione contro il 68% della media Ue27, la pratica dell’eGovernment riguarda non più dell’8% (è del 21% la media Ue27) e quella dell’e-commerce il 15% (è del 43% nell’Ue27). Lo studio proposto da Confindustria Digitale evidenzia che il 45,5% delle famiglie italiane non possiede un collegamento a Internet e tra i motivi spiccano la mancanza di capacità d’uso e la mancata comprensione dei vantaggi della Rete. Ma anche per le imprese il gap è forte perché solo il 4% delle imprese italiane effettua vendite direttamente on line a fronte di una media Ue del 12%. Su un universo di circa un milione di piccole e medie imprese, circa 300mila sono dislocate in aree “Broadband Divide” un po’ su tutto il territorio. “L’Agenda Digitale coinvolge tutti – ha sottolineato il ministro dello Sviluppo economico Corrado Passera – persino la cultura digitale va ridisegnata. Un profondo cambio di mentalità che in parte può essere indotto. Si possono fare insieme delle norme per non lasciare indietro nessuna opportunità di realizzazione dell’Agenda Digitale e quindi di attuazione delle opportunità di crescita. La cabina di regia di cui faccio parte anche con il ministro Profumo ci coinvolge responsabilmente. Sicuramente sono da recuperare molti ritardi del nostro paese – ha ribadito il ministro – ma bisogna valorizzare le nostre eccellenze ed è indispensabile che l’Italia si doti di standard, regole e politiche generali che dovranno essere applicate anche a singole e specifiche realtà”. “Formare le molte persone che sono oggi ancora troppo distanti dai sistemi digitali intelligenti – ha poi ricordato il ministro dell’Istruzione Francesco Profumo – è elemento centrale su cui noi dobbiamo investire”. Il ministro Profumo ha poi riferito dei “due miliardi di euro stanziati per il perimetro delle comunità intelligenti” previste dall’Agenda digitale “per le quali è stato lanciato un primo bando con 240 milioni di euro per le otto regioni del mezzogiorno e l’iniziativa verrà replicata, nei prossimi mesi, con un secondo bando di circa 700 milioni di euro per le altre regioni del centro nord finalizzato allo sviluppo di competenze industriali nel perimetro delle comunità intelligenti”.

Il piano di Confindustria Digitale per l’attuazione dell’Agenda digitale si basa su cinque assi di intervento. Sviluppo della domanda pubblica e privata di servizi on line. Ciò vuol dire passare dalle code allo sportello al click online per gli adempimenti dematerializzati. Investimenti infrastrutturali; creazione di un vero mercato di Venture capital, con l’obiettivo di sostenere la nascita di giovani start-up Internet italiane; ecosistema Internet, con l’obiettivo di una offerta legale di contenuti presumendo la riforma del diritto d’autore la diffusione delle modalità di pagamento elettronico e la tutela della privacy. Infine, non meno importante, la formazione dei lavoratori non nativi digitali. Nel 2015 la Commissione Europea ha stimato che il 90% dei lavori richiederà skills Ict in tutti i settori, ma in Italia oggi meno del 10% delle ore di formazione viene dedicato a competenze digitali.

Liva Serlupi Crescenzi

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