Nel 2005, all’inizio del nostro mandato, la prima azienda al mondo per capitalizzazione era la Esso corporation. Oggi la prima azienda al mondo è la Apple, che capitalizza più di tutta la borsa italiana. Nel 2005 i social network erano embrionali; oggi Facebook conta circa 900 milioni di utenti. Nati come “luoghi” per mettere in contatto le persone, oggi le reti sociali sono diventate sempre più pervasive, diventando nei fatti la piattaforma di accesso ad altri servizi: leggere notizie, fare acquisti, cercare lavoro, caricare e scaricare file di tutti i tipi, ed anche ricercare informazioni bypassando i motori di ricerca.
La velocità di circolazione delle idee e delle informazioni ha trasformato la popolazione mondiale in una società aperta fondata sulle comunicazioni digitali che ignora barriere statali e sconvolge stratificati assetti sociali e del potere.
In un settennio internet ha cambiato la faccia e la mentalità del mondo dei media: ha dematerializzato servizi e prodotti e ha cambiato la fruizione stessa dello spazio e del tempo. Ma ha anche allargato l’area dei lettori dei libri e dei giornali.
Internet è un cambio di paradigma nella produzione di beni, servizi, cultura e del vivere civile; se lo si considera “solo” come nuova tecnologia se ne perde la portata deflagrante e rivoluzionaria.

La TV cambia pelle ma non …..

Il campo televisivo è stato profondamente arato dalla rivisitazione operata dall’Autorità.
La premessa è stata la ricognizione della reale situazione dell’utilizzazione delle frequenze fatta dall’Autorità, d’intesa col Ministero delle Comunicazioni, col catasto delle frequenze. Dopo trent’anni di abulia è stato effettuato il censimento dell’intero spettro frequenziale televisivo, facendo chiarezza e consentendo allo Stato di riprendere il controllo di una situazione sfuggita di mano.
Il passo successivo è stato il piano delle frequenze, col quale l’Autorità ha proceduto a un radicale riordino che ha consentito il passaggio dal sistema televisivo analogico a quello digitale, con la moltiplicazione per sei dell’uso di ogni frequenza. Negli ultimi sette anni si è decuplicato il numero di famiglie che ricevono il segnale televisivo in tecnica digitale; sono già ventidue milioni le famiglie dotate di ricevitori digitali terrestri e otto milioni quelle abbonate ai servizi pay-tv. Entro l’anno in tutta l’Italia la televisione dovrà essere digitale.
Non meno importante è stato il recupero (come chiedeva la Commissione europea) di risorse destinate alle telecomunicazioni, che è derivato dal piano e che ha fruttato allo Stato un introito di quasi 4 miliardi nell’asta – la più grande mai effettuata in Italia – tenutasi a settembre dell’anno scorso; una gara che ha allentato il nodo scorsoio che strozzava l’espansione della banda larga mobile. La situazione della televisione italiana è – sia pure lentamente – in trasformazione.  Le sei reti generaliste di Rai e Mediaset detengono oggi circa il 67% dello share medio giornaliero (era l’85% nel 2005, oltre il 73% un anno fa); La7 quasi il 4%; Sky oltre il 5%. Si è affacciata alla ribalta qualche significativa TV locale. I canali tematici in chiaro sono cresciuti in audience del 27% in un anno. Col passaggio al digitale e con la TV satellitare il lancio di nuove offerte, gratuite e a pagamento, ha notevolmente ampliato le possibilità di scelta dei telespettatori. Siamo a circa 80 programmi nazionali in chiaro. L’offerta tende a crescere all’insegna di tre caratteristiche: la convergenza, la personalizzazione, la flessibilità. Il telespettatore non vuole più essere un ricettore passivo.  Il panorama è destinato a un’ulteriore evoluzione in virtù dell’utilizzazione del dividendo digitale che avverrà con l’asta che sostituirà il beauty contest, la quale ridefinirà lo spettro in coerenza con la redistribuzione delle frequenze e la razionalizzazione del loro uso prefigurate nella Conferenza di Ginevra del febbraio scorso.
Ma sono gli over the top e la catch-up TV che stanno contribuendo a disegnare un nuovo modello di TV ibrida, che ha nella rete la sua piattaforma d’elezione e che cresce rapidamente sia nella raccolta pubblicitaria che nelle forme di abbonamento.
Per quanto riguarda le risorse, comunque, permane fondamentalmente la tripartizione tra Rai, Mediaset e Sky Italia; tripartizione che a partire dal 2009 ha soppiantato il duopolio Rai-Mediaset. Le tre imprese occupano posizioni comparabili in termini di ricavi complessivi.
Persiste il divario tra le nostre televisioni e le migliori straniere, per la ricchezza d’informazione sui vari Paesi del mondo e per l’approfondimento qualificato dei temi trattati. La nostra televisione resta fondamentalmente una finestra sul cortile di casa nostra, una grande TV locale, con un esagerato interesse per i fatti di cronaca nera e con la tendenza a trasformare i processi giudiziari in processi mediatici. E’ rimasto deluso l’auspicio, condiviso dal Presidente della Repubblica, che a tale fuorviante tendenza ponesse argine il Comitato di autoregolamentazione dei processi in TV.


La televisione grande sorella

Malgrado il dilagante successo di internet, l’Italia è tuttora un Paese teledipendente.
Per quanto riguarda la comunicazione, infatti, se è indubbio che il maggior numero di informazioni proviene oggi da internet, l’informazione più influente è ancora quella fornita dalla televisione.
Le nuove forme della democrazia corrono sulla rete ma la politica visibile in Italia si fa pur sempre in televisione. Le persone e gli eventi che non appaiono sullo schermo televisivo non sono validati nell’immaginario collettivo.
Da qui la perdurante importanza della normativa sulla par condicio, alla cui osservanza presiede questa Autorità con un impegno che in occasione delle competizioni elettorali ha comportato il monitoraggio delle trasmissioni 24hx24 e tempestivi interventi con diffide, sanzioni e una costante azione di moral suasion. Il più delle volte i broadcaster hanno corrisposto all’invito o alla diffida dell’Autorità riequilibrando l’informazione (il che è l’obiettivo primario della legge).  Ammontano comunque a oltre 2,2 milioni di euro le sanzioni da noi irrogate. Di tali provvedimenti, quasi sempre impugnati, nessuno è stato annullato dal giudice amministrativo. All’esito di questo intenso lavoro possiamo dire conclusivamente che l’impianto normativo a tutela della par condicio si è dimostrato un indispensabile strumento a tutela della democrazia e che l’Autorità ne ha fatto attenta e pronta applicazione. Ce lo ha riconosciuto l’OSCE. La normativa di legge va adesso aggiornata per tener conto delle mutazioni subite dalla comunicazione televisiva (specie con l’inserimento dei politici nei programmi informativi) ed è da riconsiderare in relazione all’incalzante realtà di internet. Le aporie ed imperfezioni della legge sul sostegno privilegiato sono state segnalate al Parlamento. Qualcuno avrebbe voluto che noi facessimo di più. Ma questa – questa sì – è materia fondamentalmente riservata alla legge. Né le linee guida dell’OCSE, né la ratifica della Convenzione internazionale sul trust hanno indotto il nostro legislatore a precludere “a monte” il conflitto potenziale, stabilendo una disciplina preventiva delle incompatibilità”, un blind trust, un chinese wall fra attività imprenditoriale e di Governo. Si è voluto invece che questa Autorità (come, per la parte sua, l’Antitrust) stesse in agguato per cogliere in fallo l’impresa che avesse in concreto sostenuto l’esponente governativo: ma non per fischiare la squalifica bensì semplicemente per infliggere un’ammonizione. Scopo della legge non è infatti punire “alla prima che mi fai” ma solo in caso di reiterazione della violazione e di mancato ripristino dell’equilibrio con gli altri competitori elettorali.
Che avrebbe dovuto fare la nostra Autorità? Inventarsi un ircocervo che sovvenisse alle carenze della legge? O sanzionare tout court dove la legge prevede con estrema chiarezza una semplice diffida?  Più obliquo ancora è l’intento di colpire l’impresa potenzialmente strumentale al conflitto d’interessi mediante limitazioni alle sue dimensioni, in particolare con riferimento alla raccolta pubblicitaria. Questo intendimento è stato drasticamente censurato dall’Autorità Antitrust. L’AGCOM non può prestarsi ad avventurose supplenze del legislatore. L’AGCOM si è opposta all’assunto ministeriale che la pretesa mancanza di reciprocità comportasse l’esclusione di Sky dal beauty contest. E il Consiglio di Stato, con un motivatissimo parere, ha dato ragione all’Autorità, riaffermandone l’indipendenza e la competenza nell’assicurare il rispetto dei principi e delle decisioni comunitari. Lo stesso deve valere nei confronti di analoghe invasioni di campo, da qualsiasi parte provengano. Non è accettabile che da destra o da sinistra si reclutino le Autorità indipendenti per gettarle in combattimenti gladiatori nell’arena politica.

Rai forever
Nei limiti della propria competenza, l’Autorità ha tentato di promuovere una riforma della Rai che la svincolasse dalla somatizzata influenza politica e ne reimpostasse l’organizzazione con una governance efficiente, una migliore utilizzazione delle risorse e la valorizzazione del servizio pubblico.
Si trattava di proposte misurate e, in quanto tali, a nostro avviso praticabili, che abbiamo rilanciato anno dopo anno. Ma hanno subito la sorte di tutte le altre. Parafrasando una frase famosa potremmo dire che “solo i morti hanno visto la fine del dibattito sulla Rai”.

Le telecomunicazioni: un presente fiorente che non ha seminato per il futuro
Dagli inizi del secolo al 2006, in anni di stagnazione dell’economia italiana, il settore delle telecomunicazioni ha continuato a svilupparsi a un tasso superiore al 6% annuo; ha sostanzialmente tenuto – in rapporto agli altri settori – anche in quest’ultimo triennium horribile.
Il peso del settore sul PIL è oggi del 2,7%; il mobile vale ormai stabilmente più del fisso .
Nel corso del settennio si è duplicato il numero di linee in postazione fissa che forniscono connessioni a banda larga a famiglie e imprese; sedici volte superiore è il numero di utenti che accedono a internet in mobilità.
Nella portabilità del numero telefonico siamo ai primi posti con 30 milioni di passaggi (dal 2006) e con tempi ridotti a un giorno lavorativo. I cambi di operatore negli ultimi 12 mesi hanno superato i 9 milioni: dato record in Europa!
L’innovazione tecnologica è stata travolgente, specie nella telefonia mobile, e pone l’Italia ai primi posti nel mondo.
Nelle reti mobili il traffico dati ha superato il tradizionale traffico voce, grazie alle tecnologie 3G e alla forte diffusione di nuovi terminali, come smartphone e tablet.
Siamo il Paese col maggior numero, in Europa, di telefoni cellulari e con la maggiore diffusione di apparecchi idonei a ricevere e trasmettere dati in mobilità (smartphone, ipad, chiavette USB).
Il mondo racchiuso nel telefonino, nel tablet, nel palmo di una mano: è questo che vogliamo, ragazzini e adulti.
E’ crescente e consolidata la presenza sul mercato italiano di grandi gruppi multinazionali in aperta competizione, con ricadute positive sull’occupazione, con miglioramento della qualità e con continuo ampliamento della gamma dei servizi offerti.
E’ costante la riduzione della quota di mercato degli incumbent: nel mobile nessun operatore possiede una quota superiore al 35%; nel fisso, nonostante la legacy del monopolio, la quota retail di Telecom è scesa di quasi 20 punti percentuali dal 2005, attestandosi, nella banda larga, al 53%.
Nel contempo le telecomunicazioni rimangono l’unico servizio con una dinamica marcatamente anti-inflattiva. La diminuzione dei prezzi finali del settore è stata di oltre il 33% negli ultimi quindici anni, a fronte di un aumento del 31% dell’indice generale dei prezzi. La forbice, quindi, è di oltre sessanta punti. Le telecomunicazioni rappresentano il solo settore regolamentato in cui i prezzi siano in costante riduzione (ben il 15% solo nel periodo 2005-2010), in vistoso contrasto con i forti aumenti di energia, acqua, trasporti.
I nostri provvedimenti sulla terminazione mobile, in interazione con la concorrenza, hanno determinato un potenziale risparmio per i consumatori di circa 4,5 miliardi di euro.
La leva dei prezzi è stata utilizzata anche al fine di incentivare lo sviluppo della concorrenza tra operatori infrastrutturati con investimenti efficienti. In questo quadro, le imprese concorrenti di Telecom Italia hanno acquisito, negli ultimi anni, 5 milioni di linee.
Promuovere la qualità dei servizi significa anche promuovere la consapevolezza. E limitare quel senso di smarrimento, quando non di frustrazione, del consumatore di fronte alle numerose offerte di accesso a internet a banda larga che, sovente, promettono più di quanto mantengano. Nemesys – la nostra iniziativa per la verifica della qualità dell’accesso ad internet a banda larga; la prima, del genere, in Europa – è un grosso successo.
Si parla tanto di risoluzioni extragiudiziali per deflazionare l’amministrazione della giustizia. Da noi il sistema di decentramento funzionale per la conciliazione e per la definizione delle controversie funziona egregiamente. I Corecom ne costituiscono l’ultimo miglio: complessivamente hanno esaminato in modo gratuito e in tempi rapidi 246 mila istanze di conciliazione e quasi 6 mila istanze di risoluzione di controversie. La percentuale di esiti favorevoli per i consumatori è passata negli ultimi anni dal 50% al 72%. La Corte di giustizia europea ha riconosciuto la validità e l’efficacia del modello.

Telecom e Open Access
Nel contesto di mercato sopra delineato Telecom Italia soffre; soffre come gli altri operatori ex monopolisti d’Europa. Se soffre di più lo si deve al fatto che, negli anni decorsi, Telecom Italia, sotto il peso dei debiti accumulati per effetto delle varie scalate, ha dismesso buona parte degli asset internazionali, determinando un processo di rifocalizzazione sui mercati nazionali, per cui le attività estere di Telecom Italia pesano sul suo fatturato meno di quanto pesino le analoghe attività delle prime quindici società europee del settore. L’attuale gestione di Telecom ha determinato un’inversione di tendenza a tal riguardo. E tuttavia, considerate le quote prevalenti che la società ancora detiene sui mercati nazionali, è inevitabile ch’essa risenta della maggiore attenzione cui l’incumbent è, per definizione, doverosamente soggetto nel mercato di riferimento.
Non ignoriamo che in Europa qualche Stato è incline a regolamentazioni che tengano in particolare considerazione il campione nazionale per consentirgli di affrontare le sfide mondiali; ma la nostra linea è stata di conformarci al Quadro comunitario. Con l’evoluzione del settore verso le reti di nuova generazione il problema indubbiamente si ripresenta con una quadratura diversa e in maniera più pressante ma è un problema da affrontare in sede europea, come dirò appresso.
Ad ogni modo, in una lungimirante visione condivisa con Telecom, questa Autorità ha ricercato una radicale reimpostazione del rapporto tra l’incumbent e gli operatori concorrenti.
Con Open Access è stata attuata la separazione organica della gestione della rete di accesso da quella di commercializzazione dei servizi di Telecom, assicurando strutturalmente condizioni di effettiva parità di trattamento tra Telecom e gli altri operatori.
Sì, Open Access funziona, grazie anche al sistema di governance che abbiamo costruito, di cui l’elemento più importante è l’Organismo di vigilanza sulla parità di accesso.
In Europa Open Access è considerato un benchmark, un modello da additare ad esempio; riconoscimenti cominciano a venire, sempre meno timidamente, anche in Italia. La regolazione non potrà non tenerne conto.

Il futuro anteriore anticipa il futuro prossimo
Internet è un fenomenale motore di crescita sociale ed economica, ma la rete fissa è satura e quella mobile rischia ricorrenti crisi asmatiche.
Lo vado dicendo dal 2006, con l’anticipo occorrente per la realizzazione di una grande infrastruttura (il che significa prematuramente, secondo la mentalità più corriva).
L’Italia è sotto la media UE per diffusione della banda larga fissa, per numero di famiglie connesse a internet e a internet veloce, per gli acquisti e per il commercio on line (nell’UK anche le case si vendono e si acquistano in rete). Per le esportazioni mediante l’ICT l’Italia è fanalino di coda in Europa; solo il 4% delle PMI – ovvero la spina dorsale del nostro tessuto produttivo – vendono on-line, mentre la media UE-27 è del 12%.
La via che hanno intrapreso gli operatori di telecomunicazioni per la loro espansione è quella di dotarsi di un maggior numero di frequenze per la telefonia mobile. Da qui il successo della recente asta. Ma, pur col potenziamento Lte, senza l’integrazione con la fibra (quanto meno per il backhauling dalle stazioni radio), la rete mobile non sopporterà ingenti volumi di traffico, specie nelle ore di punta e soprattutto per lo streaming video. Il problema delle reti di nuova generazione, anche per la rete fissa, non è più rinviabile.
Non può fornire alibi al rinvio la mancanza di regole. Noi infatti abbiamo provveduto a quanto di nostra competenza dettando per le reti di nuova generazione regole che sono ritenute tra le più complete in Europa. Certo, il Quadro di contenimento dell’Europa comunitaria è più complessato che negli altri continenti. Noi – anche per le reti di nuova generazione –  quel Quadro abbiamo voluto rispettarlo, a differenza di Paesi come la Germania; ma insistiamo nell’auspicare che le regole europee vengano aggiornate sotto l’incalzante spinta della necessità di realizzare finalmente le reti di cui la comunicazione ha bisogno.
Valorizzare l’innovazione senza comprimere la competizione è tentare la quadratura del cerchio: comporta un continuo braccio di ferro tra obiettivi antitetici che fanno da remora l’uno all’altro. Senza una regolazione premiale non c’è incentivo per gli investimenti.
Senonchè il comparto delle telecomunicazioni, mentre è chiamato ad investire sia nel fisso che nel mobile, non riesce ad appropriarsi del valore atteso in corrispondenza degli investimenti nelle nuove reti. La crescente partecipazione ai ricavi complessivi della filiera delle telecomunicazioni – così come dell’audiovisivo – da parte degli Over the top è inarrestabile.
Si è verificato uno spostamento dell’asse della competizione nel campo ICT: da una competizione tra gli operatori infrastrutturati per il mercato dell’accesso ad internet si è passati a una competizione tra il complesso degli operatori telco da una parte e i fornitori di servizi over-the-top dall’altra. Dopo aver disintermediato il ruolo dei fornitori di accesso su rete fissa, i fornitori di servizi stanno disintermediando anche le reti mobili (che rischiano di diventare una commodity). La loro azione ha un’estensione globale, che travalica le strategie regolatorie dei singoli Paesi interessati. Si sta delineando uno scenario in cui il flusso dei ricavi, dei volumi di traffico e degli investimenti sono tra loro scollegati.
E’ tempo che l’Unione europea focalizzi la propria attenzione su questo sconvolgente fenomeno.

L’imperativo è la crescita
La crescita dell’economia è l’imperativo primario che si impone ai nostri giorni. Urgono, urgono misure che la stimolino, da adottare prima che i pur salutari provvedimenti di risanamento finanziario avvitino il Paese in una spirale di recessione forse senza uscita.
Importanti provvedimenti sono stati varati nelle scorse settimane dal Governo. E’ il segno dell’avvio di un nuovo corso.
Ma permangono segni gravi d’involuzione del Paese che non dipendono dalla congiuntura; sono insiti in forme di chiusura mentale che minano il progresso e possono segnare il declino di un Paese.
Non solo la telefonia mobile, la quale ha un incremento esponenziale, ma tutti i servizi del futuro prossimo e di quello ulteriore richiedono una rete a banda larga e ultra larga.
L’internet delle cose segnerà un ulteriore salto di qualità nel consumo di byte.
Dal 2010 l’Europa ha un’Agenda digitale, con obiettivi precisi e sfidanti da raggiungere nel 2013 e nel 2020, anche se con una visione un po’ impacciata circa le azioni con cui traguardarli.
E’ ormai un punto fermo che lo sviluppo di un ecosistema digitale è alla base del recupero di produttività, per migliorare la competitività internazionale di un Paese e per creare nuova occupazione qualificata.
L’economia internet in Italia vale solo il 2% del PIL; la stessa stima conduce a valutare l’internet economy del Regno Unito nel 7,2% del PIL.
Il ritardo nello sviluppo della banda larga costa all’Italia tra l’1 e l’1,5% del PIL.
Senza infrastrutture a banda ultra larga i sistemi economici avanzati finiscono su binari morti.
Se ne mostrano consapevoli i tre Ministri che costituiscono la Cabina di regia per l’Agenda digitale.
Come osservava il Ministro Passera, per le infrastrutture è l’offerta a generare la domanda. Quando avremmo costruito le autostrade se avessimo atteso che prima fossero fabbricate le automobili che le avrebbero percorse?
Ma non meno importante è lo sviluppo concomitante dei servizi. Infrastrutture e servizi devono fertilizzarsi a vicenda; disponibilità di applicazioni e utilizzo reale devono andare di pari passo, così come l’alfabetizzazione digitale della popolazione. Nella sua segnalazione al Governo e al Parlamento l’AGCOM ha dato suggerimenti specifici e mirati, rilanciati pubblicamente da Confindustria Digitale.
C’è ancora scarsa consapevolezza delle potenzialità globali delle tecnologie della società dell’informazione; il che relega queste ultime a uno dei tanti strumenti di sviluppo economico, mentre esse possono invece dare una spallata a un sistema imballato. Il settore delle tlc è la chiave di volta della rivoluzione digitale che, abilitando l’innovazione, può cambiare radicalmente i paradigmi dell’economia e della società.
La Cassa Depositi e Prestiti è ancora un convitato di pietra. Ci sono invece iniziative di fondi privati, di Amministrazioni pubbliche e di operatori che segnano dei passi avanti sul terreno delle realizzazioni concrete.
Ma l’Agenda digitale è un progetto olistico e non può esaurirsi in una serie non sequenziale di azioni frammentate.
Ha osservato la Commissaria Kroes che se l’economia digitale fosse un Paese la sua performance le varrebbe la partecipazione al G-20. Il suo tasso di crescita del 12% annuo supera quello cinese.
Nessun altro settore è in grado di accelerare in misura comparabile la crescita e lo sviluppo del Paese, in un momento in cui ne abbiamo assoluto bisogno. Soprattutto per le generazioni future.
Non è più tempo di simulazioni, o di iniziative sperimentali. Dum Romae consulitur, Italia regressa est.

Il rapporto col Parlamento e con l’Unione europea
Il rapporto col Parlamento – che si è sviluppato, oltre che nelle relazioni annuali, in più di 40 audizioni – ha costituito per l’Autorità un momento importante di verifica del suo operato dinanzi all’Organo più rappresentativo del Paese. Ne abbiamo tratto stimolo per il migliore esercizio delle nostre funzioni, allontanando – semmai ci fosse stata – qualsiasi tentazione di autoreferenzialità.
In tempi recenti è sorta qualche incomprensione sulla ragion d’essere della competenza delle Authorities, quale garantita dal Quadro comunitario.
Le Autorità indipendenti hanno fornito risposta all’esigenza di ripensare l’organizzazione dell’amministrazione statale nei rapporti interni tra Stato e cittadini e, parallelamente, nei rapporti esterni tra i singoli Paesi e tra essi e gli organismi sovranazionali”.
Il Consiglio di Stato ha rilevato che, nel rapporto tra politica e tecnica, la presenza del regolatore determina che “a quest’ultimo, in linea di massima, spetta la conformazione del mercato mediante l’esercizio della funzione di regolazione”, proprio al fine di evitare che “il mercato sia definito secondo criteri mutevoli, soggetti al variare degli orientamenti delle maggioranze politiche”.
E la Corte di Giustizia, ancor più esplicitamente, ha affermato che “le ANR devono promuovere gli obiettivi della regolamentazione previsti dall’art. 8 della direttiva «quadro» nell’esercizio delle funzioni di regolamentazione specificate nel quadro normativo comune. Di conseguenza […] anche il bilanciamento di tali obiettivi, in sede di definizione e di analisi di un mercato rilevante suscettibile di regolamentazione, spetta alle ANR e non al legislatore nazionale” .
Le regole nella nostra materia devono dunque avere origine endogena, non esogena al mercato. E in un mercato comune le regole devono essere fondamentalmente comuni. Alla loro adozione bisogna pervenire con il giusto procedimento (analisi di mercato, consultazione pubblica) previsto dalle regole comunitarie.
Per questo le norme e i principi comunitari che valgono nel nostro ordinamento giuridico esigono che le Autorità operino in piena autonomia e con indipendenza di giudizio e di valutazione.
Con la modifica dell’art. 117 Cost. il nostro Paese ha accettato le limitazioni di sovranità che derivano dall’appartenenza all’Unione europea.
Certo, alcune delle competenze affidate all’AGCOM stanno con un piede sulla soglia di diritti fondamentali, garantiti dalla nostra Costituzione e dal Trattato dell’Unione europea, come la libertà d’iniziativa economica privata (art. 41 Cost), la dignità sociale (art. 4 Cost), il rispetto della dignità umana (art. 21 Trattato), la protezione dei minori (art. 37 Cost), il pluralismo (art. 2 Trattato), la libera manifestazione e comunicazione del pensiero (art. 21 Cost).
Su questo limitare la legge può sovvenire con disposizioni di principio, essendo comunque il fine tuning e i tecnicismi riservati alla più pronta, costante, dinamica azione del regolatore.
L’AGCOM ha il merito di aver avviato trasparentemente un dibattito sulla protezione del diritto di autore on-line in un panorama legislativo che vede una legislazione vecchia di settanta anni. Non abbia timori il popolo della rete! L’AGCOM ha dimostrato nella sua azione quotidiana di saper conciliare antinomie che coinvolgono nevralgicamente diritti basilari per la convivenza civile e per il corretto funzionamento della democrazia, come, appunto, il bilanciamento tra il diritto di cronaca e di manifestazione e diffusione del pensiero e la par condicio, nonché la salvaguardia, rispetto a quello stesso diritto, della dignità della persona.
Con lo stesso equilibrio e senso della misura l’AGCOM saprà conciliare il diritto alla libera circolazione del pensiero sulla rete nelle nuove forme della tecnologia col diritto d’autore, ch’è il fertilizzante della società dell’oggi e di quella a venire: anche a esso ha riguardo la Costituzione (art. 9).
Internet ha un’insostituibile funzione informativa; nessuno più di noi ne è consapevole. Ma nessun diritto è senza limiti. Il diritto alla libertà di navigazione marittima non ha comportato il diritto alla pirateria.
L’intesa era però che il Governo avrebbe adottato una norma di interpretazione autentica che rendesse leggibili per tutti le nome primarie che inquadrano la nostra competenza. E’ vero che una tale norma non è indispensabile, ma sarebbe certamente utile in una materia, qual è quella in questione, nella quale, per la sua sensibilità, è auspicabile la massima chiarezza. Finché il Governo non adotterà questa norma, noi – almeno in questa Consiliatura – non ci sentiremo tenuti alla deliberazione del regolamento, pur così equilibrato, che abbiamo predisposto e messo a punto con ampia consultazione.

Dopo anni in cui ha cercato con sforzo di stare alla ruota dei migliori Regolatori europei, l’AGCOM in questo settennio è passata nel gruppo di testa.
L’attribuzione della presidenza dell’ERG (oggi BEREC), dell’EMERG, del Réseau delle Autorità audiovisive del Mediterraneo, del Gruppo europeo del radiospettro1 ne sono la cartina di tornasole. Molte nostre misure sono considerate best practice e oggetto d’imitazione.
Con questo non vogliamo certo asserire che siamo stati sempre all’altezza del nostro compito. Siamo più che consapevoli dei nostri limiti soggettivi; peraltro, anche al di là di questi, di fronte a scenari che mutano con rapidità sconvolgente, il compito del regolatore è inevitabilmente inadeguato, specie quando non si tratta semplicemente di regolare l’esistente ma di dettare regole a prova di futuro. A maggior ragione quando la missione è quella di un’Autorità convergente, qual è la nostra. Il perseguimento dell’obiettivo avviene sempre in modo asintotico perché, malgrado la tempestività e flessibilità della disciplina regolamentare, l’obiettivo si è spesso già spostato in avanti quando la regola dettata per esso entra in applicazione. La certezza del diritto non esclude l’operatività diuturna di un cantiere sempre aperto.

Functi sumus munere nostro. Faccio mio l’auspicio espresso una volta dal carissimo e compianto professor Leopoldo Elia:
Faciant meliora sequentes!

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