Il breve drammatico scarno filmato dell’uccisione di Neda, l’adolescente iraniana di 16 anni vittima della repressione del regime degli ayatollah, nelle proteste seguite alle elezioni presidenziali
del giugno scorso, è diventato un evento mondiale poco dopo essere stato pubblicato su YouTube e ha scosso le coscienze di tutti coloro che lo hanno visto. Tutta l’insurrezione è stata guidata – e pure raccontata – dai messaggi di Twitter e dalle immagini di YouTube

Era forse la prima volta che un video riusciva a rendere subito universale un esempio e un sacrificio nel nome della libertà ed era soprattutto la prima volta che Internet si imponeva come il solo veicolo per la formazione dell’immaginario collettivo per un evento di tale rilievo, benché le immagini della Rete avessero poi bisogno del rilancio delle grandi reti televisive per raggiungere il grande pubblico. Scriveva, in quei giorni, Emanuele Di Porto: “Inevitabilmente il cinema, che fino ad oggi ha attinto al serbatoio iconografico della televisione, dovrà fare i conti con questa nuova prospettiva, per raccontare le storie degli Jan Palach di quest’epoca”.

Le proteste in Iran hanno offerto la prova della capacità di Twitter e dei mille occhi dei nuovi media – l’espressione è di Antonio Sofi, sulla Newsletter Apogeo, un webzine di cultura digitale –
di raccontare un evento reso ‘invisibile’ o comunque parzialmente visibile ai media tradizionali dalle restrizioni imposte da un regime repressivo.

Ma quella vicenda, in cui notizie vere si sono intrecciate con notizie false e dove gli annunci di eventi non sono poi stati sempre seguiti dagli eventi, ha posto pure interrogativi sul ruolo
e sull’uso di Internet – strumento potente, ma di per sé neutrale rispetto alla verità – e, soprattutto, sulla necessità che il giornalismo professionale si doti di strumenti per filtrare dai ‘social network’ il grano delle buone notizie dal loglio delle esagerazioni, delle provocazioni e delle invenzioni.

E poi non è sempre vero che i ‘citizen journalists’ sono sempre svelti a rimpiazzare i media latitanti: poche settimane dopo i fatti iraniani, alla vigilia del G8 dell’Aquila, gli scontri etnici a Urumqi, capitale dello Xinjiang, nel nord-ovest della Cina, fecero almeno 184 morti e probabilmente di più, ma le testimonianze via Internet e su YouTube furono poche ed essenziali. Forse, perché quella regione cinese è meno dentro dell’Iran alla società dell’Informazione; e forse perché il regime di Pechino s’era meglio attrezzato di quello iraniano per tenere la rete sotto controllo.

G.Gr.

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