Tentare di costruire un’analisi chiara ed efficace su tematiche attuali complesse come immigrazione, insicurezza sociale e terrorismo, che presentano ancora molteplici lati oscuri, significa innanzitutto conoscere ed informarsi, confrontarsi quotidianamente sui fenomeni sociali e politici, elaborare e riflettere su nuove e vecchie teorie e percezioni, incoraggiare a ri-considerare nuove analisi e letture del sociale. Significa ,allo stesso tempo, spogliarsi almeno per un attimo di tutti quei luoghi comuni, linguaggi d’odio e paure che caratterizzano la nostra quotidianità, la nostra politica, la nostra cultura e che nel tempo si sono rafforzate; luoghi comuni, semplici pre-concetti che si sono alimentati nel tempo attraverso propagande, false emergenze e narrazioni mediatiche che ripropongono un’idea distorta della realtà. Solo in questo modo potremo tentare di dare una lettura più oggettiva possibile al complesso fenomeno in analisi e provare cosi a riconoscere l’Altro come “soggetto sociale”, mettendo in pratica un tipo di comunicazione-relazione fondata sull’empatia, che rifiuta i luoghi comuni .
L’individuo contemporaneo condivide la propria quotidianità in Rete, mostra la sua forza e la sua debolezza attraverso l’ esperienza online che costruisce anche all’interno dei social media raccontando e raccontandosi, che necessità però di acquisire maggiore consapevolezza e responsabilità in quanto protagonista di un processo comunicazione attivo e accelerato.
Ci si muove all’interno di uno spazio e di un tempo aumentati, in una dimensione sempre più pubblica, priva di confini e una realtà ricca di stimoli esterni e di messaggi difficilmente interpretabili, ciò rischia di confondere e far perdere quei pochi punti di riferimento che si hanno proprio per il sovraccarico informativo.
L’acquisizione dell’identità di “cittadino mediale” riguarda tutti immigrati e non e tale condizione si raggiunge accentando di vivere la post-medialità educandosi ai media, con i media e all’intercultura, sviluppando un’intelligenza collettiva e connettiva: questa è la sfida contemporanea.
Conoscenza e buona comunicazione sono le due qualità del nuovo cittadino, che trasforma queste in due strategie per migliorare le relazioni, rompendo quella “bolla culturale” che semina confusione e disinformazione, re-imparando cosi ad accettare la comunicazione come sinonimo di “condivisione” e “negoziazione” e non come strumento di potere per insultare l’altro, nell’eterna ricerca dello scontro.
I media non sono altro che un nostro riflesso, una nostra proiezione, per questo la responsabilità e l’educazione permettono al cittadino mediale di imparare a se stesso e a gli altri, a proteggersi e proteggere dai rischi del web, individuare quei rumors falsi ed episodi di flaming che creano tensioni sociali, smettere di giocare con identità multiple, per disintossicare in questo modo un ambiente socio-virtuale ormai troppo marcato dall’egoismo e dell’ignoranza che corre il pericolo di trasformarsi in un “non-luogo” totalmente tossico.
Ecco chi sono, anzi, chi siamo oggi: “cittadini mediali”, attori e spettatori insieme nel processo comunicativo –relazionale ed inter-culturale.
Nell’era della post-verità, però, dove tutto rischia di essere continuamente messo in discussione per l’eccesso di informazione, distrazione, personalizzazione e per la mancanza di “competenze digitali”, la prima cosa da fare sarebbe evitare di chiudersi nella propria “bolla”.
Questa nuova modernità infatti, ha affermato il sociologo polacco Bauman in una lectio magistralis al Teatro della Società di Lecco qualche anno fa, “ha rinchiuso le persone in se stesse, in una sorta di bolla da cui niente può smuoverci, neanche le immagini drammatiche dei campi profughi o dei morti annegati”.
I movimenti migratori appaiono sempre più poliedrici, tanto che oggi molti luoghi di partenza si caratterizzano per essere anche luoghi di approdo o di transito.
La risposta politico-sociale che sembra prevalere è l’implementazione all’interno dei propri confini, di misure di sicurezza restrittive dei flussi migratori, con l’unico scopo di disincentivare l’ingresso altrui e renderlo più incerto e meno agevole.
È così che l’identità dell’uomo migrante si configura solo ed esclusivamente attraverso gli occhi del paese di immigrazione: identità che forse sarebbe più esatto definire come “non-identità”.
Essa si costituisce come un’eterna privazione: il migrante è un “non-nazionale”, è altro rispetto al tutto, è un non-soggetto sociale. È come se il soggetto subisse una sorta di “spersonalizzazione” e si configurasse come una “non-persona”.
Senza dubbio un ruolo importante per quanto riguarda la percezione e rappresentazione dei processi migratori è rivestito, prima ancora che dalla politica, dai mezzi di comunicazione di massa e in particolare dai new media.
Emerge chiaramente un forte senso di irresponsabilità da parte dei media, in seguito all’adozione di una comunicazione inficiata ed un linguaggio mai neutrale che mira all’emotività (“alla pancia”) dello spettatore-cittadino; una “schematica etichettatura” del fenomeno che passa proprio attraverso le scelte lessicali frequenti nei media (l’espressione “invasione barbarica” ne è un chiaro esempio). L’immigrazione irregolare è stata ed è considerata tuttora come una minaccia costante all’economia nazionale, alla religione, alla cultura, ed è stata collegata “istintivamente” alla minaccia della criminalità organizzata.
Uno strumento che potrebbe essere utile ad evitare che l’incontro assuma dinamiche di scontro e di conflitto è rappresentato dalle competenze interculturali.
Nella definizione proposta dall’UNESCO, la competenza interculturale è “un nuovo tipo di alfabetizzazione, parimenti importante alle abilità nella scrittura, nella lettura o matematiche: l’alfabetizzazione culturale è l’ancora di salvataggio nel mondo di oggi, una risorsa fondamentale per gestire in modo adeguato i molteplici luoghi attraverso cui l’educazione si trasmette (dalla famiglia e dalla tradizione fino ai media, sia vecchi sia nuovi, e dalle attività e i gruppi informali) e uno strumento indispensabile per superare lo scontro tra ignoranze”.
Diventa cosi necessario considerare l’immigrazione come una questione di relazione e di interazione tra soggetti portatori di culture diverse, i differenti attributi socio-culturali non dovrebbero essere neutralizzati o assimilati, ma intesi come risorsa e non come pericolo sociale.
In questa prospettiva, il Modello Dinamico di Sensibilità Interculturale (MDSI) del sociologo M.J. Bennett può essere considerato come quadro concettuale di riferimento, un chiaro punto di partenza applicabile al complesso scenario sociale italiano, con il superamento della “Regola d’Oro” e l’assunzione di fondo dell’accettazione della diversità e il riconoscimento delle differenze.
La comunicazione interculturale è sinonimo di competenza, ascolto (attivo) e condivisione, un’interazione efficace con l’Altro all’interno di uno stesso spazio.
Più precisamente, secondo il sociologo Bennet , si tratta di un “processo di negoziazione di significati tra due o più soggetti con culture differenti e che hanno un unico obbiettivo: costruire e condividere realtà individuali e sociali”.
Considerare il Modello della Sensibilità Interculturale diviene particolarmente interessante in quanto, non solo mira ad imparare a riconoscere ed affrontare le differenze tra culture nel percepire il mondo, ma pone alla base un concetto che è oggi il principale problema per la situazione socio-politica italiana in riferimento al fenomeno migratorio e cioè quello di “differenzazione”.
Per Bennet le culture offrono varie interpretazioni e ci aiutano a percepire meglio il mondo che ci circonda, ecco che la differenza non diventa più sinonimo di insicurezza o devianza, ma risorsa, ovvero uno strumento che favorisce lo sviluppo della capacità di riconoscere e convivere con le differenze.
L’obbiettivo infatti, è il passaggio dalla “negazione-difesa” a quelle di’”accettazione-adattamento-integrazione”, dalla fase di “etnocentrismo”, che riconosce la cultura come un processo chiuso e stabile, a quella “ etnorelativismo”, dove la differenza non è una minaccia, ma sinonimo di “sfida”.
L’ultima tappa di questo percorso interculturale, quello appunto dell’integrazione, risulta essere particolarmente interessante.
Mentre nella fase di adattamento esistono diversi schemi di riferimento per ciascun individuo, nella fase di integrazione si tenta di ridurre i vari schemi ad uno solo, che non sia né la riaffermazione di una cultura, né una semplice comodità per la pacifica coesistenza di diverse visioni del mondo. L’integrazione richiede una definizione continua dell’identità del singolo individuo in termini di esperienze vissute. Questo potrebbe portare a non appartenere più a nessuna cultura, ma essere per sempre un “outsider integrato”.
Inoltre Bennet ritiene che l’apprendimento interculturale sia una sfida per la propria identità, in grado però di diventare un modo di vivere e un modo per arricchire la propria identità.
Il motore di tutto questo processo che mira all’integrazione, è la comunicazione empatica e cioè un nuovo modo di relazionarsi e conoscere l’Altro, non solo accettando e riconoscendo la differenza, ma adottando un nuovo stile comunicativo, una nuova visione del mondo, ampliare il proprio repertorio comportamentale.
La conoscenza, la comunicazione e la formazione oggi su queste tematiche, sono la radice di un processo interculturale ancora molto debole e anche per questo le politiche socio-economiche finora attuate, si sono dimostrate poco efficienti.
In realtà tale modello offre anche una visione più politica del fenomeno: considerato che l’apprendimento interculturale è un processo individuale, è essenziale imparare come si vive insieme in un mondo diversificato.
L’apprendimento interculturale visto in questa prospettiva, è il punto di partenza per una convivenza pacifica.
Non bisogna dimenticare che la cultura è un cammino continuo che si sviluppa e si evolve e la comunicazione rimane ancora l’unica via non conflittuale e pacifica per affrontare la contemporaneità, soprattutto in un mondo digitale interconnesso.
Giacomo Buoncompagni