Pubblichiamo l’intervento di Enrico Manca, Presidente della Fondazione Ugo Bordoni, per la presentazione del volume “ICT, Italia: idee, rischi, opportunità”
Il volume che presentiamo oggi raccoglie, in forma non tradizionale, lo svolgimento, lo scorso anno, delle “Giornate di Studio marconiane” promosse dalla Fondazione Ugo Bordoni per il centenario del Nobel a Guglielmo Marconi. Nel ricordo della sua straordinaria impresa si sono incontrate e confrontate idee e riflessioni ma anche emozioni di uomini di scienza, di rappresentanti delle Istituzioni, di uomini di Impresa, che hanno scandito con i loro pensieri e le loro esperienze i ritmi di quelle Giornate.
Ieri, come oggi, la Fondazione Bordoni promuove un evento non meramente celebrativo ma espressione di un impegno costante per la ricerca, l’innovazione e la tutela dei cittadini. Un concetto che intendiamo sottolineare nell’anno in cui si celebra l’Unità d’Italia alla cui realizzazione le telecomunicazioni, oggetto primario della nostra attività di Studio e di Ricerca, hanno dato un contributo decisivo.
“ICT Italia; idee, rischi, opportunità“: Comunicazione, Istruzione, Sanità, Giustizia, Pubblica Amministrazione, Impresa, Lavoro e tempo libero. Nulla, quindi, che non riguardi la vita degli italiani e che non abbia a che fare con l’ICT.
Guardando al mondo dell’ICT con occhio attento alla Ricerca e all’Innovazione si avverte la necessità di uno sforzo congiunto di tutto il Paese: del Parlamento, maggioranza e opposizione, del Governo, delle Imprese, per contrastare il rischio di una dispersione di professionalità e di competenze, di progressivo deterioramento di quella filiera che parte dalla scuola e dalla cultura diffusa, passa per il mondo della Ricerca e giunge fino alla capacità delle Aziende di trasformare la creatività in prodotto e, quindi, in progresso e ricchezza per il Paese.
Da questo punto di vista l’avventura scientifica ed umana di Marconi resta un esempio mirabile, di quella intelligente integrazione di scienza, saper fare, coraggio, imprenditorialità, internazionalizzazione e, ultimo ma non ultimo, quel pò di lucida follia che a Marconi certo non difettava. “Le idee migliori – diceva Erasmo da Rotterdam – non vengono dalla ragione, ma da una lucida, visionaria follia”. Del resto Marconi non fu il solo ad essere considerato da un Ministro dell’epoca un pazzo da internare in manicomio. Una sorte analoga era toccata pochi anni prima, ad un altro italiano; nel 1868, infatti, un giornale di New York riportava questa notizia: “arrestato un uomo che cercava di estorcere denaro a cittadini superstiziosi esibendo uno strumento in grado di trasmettere la voce umana a qualunque distanza per mezzo di cavi metallici. L’uomo – scriveva il giornale – chiama questo strumento telefono ma le persone informate sanno che è impossibile trasmettere la voce umana attraverso cavi”. L’uomo in questione era Antonio Meucci: un innovatore, emigrato in America a causa delle sue simpatie politiche con le correnti patriottiche più democratiche. Meucci, era amico personale di Garibaldi che fu suo ospite a New York nei primi anni 50 del 1800.
Guglielmo Marconi e Antonio Meucci, due Italiani a cui si deve la rivoluzione che ha cambiato e continuerà a cambiare il mondo. Una buona ragione per un scatto di orgoglio da cui partire per investire sul futuro. Decentrare e rendere omogeneo lo sviluppo delle diverse Regioni italiane del Nord come del Sud è l’obiettivo del nostro presente. Una parte importante di questo compito spetta, ancora una volta, come è stato nel passato, alle telecomunicazioni che hanno saputo procedere attraverso grandi “innovazioni e periodiche discontinuità” in coincidenza con l’avvento di nuove tecnologie e l’introduzione di nuovi servizi. Dal telegrafo, talvolta ricordato come l’Internet dell’era Vittoriana, al telefono cellulare, le tecnologie per le telecomunicazioni hanno contribuito in modo decisivo all’unificazione del Paese.
Oggi appare necessario promuovere una nuova forte “discontinuità innovativa” che veda nell’espansione delle telecomunicazioni fisse o mobili a larga banda, insieme ad un più diffuso e consapevole uso di Internet, lo strumento per una più capillare e diffusa Conoscenza. Un traguardo che le frequenze liberate dallo switch off e la loro necessaria armonizzazione per un utilizzo ottimale delle strutture di telecomunicazione, rende possibile raggiungere.
L’Italia è uno dei Paesi che in Europa più testimoniano l’influenza dei media nel saldare una cultura e garantire un’unità simbolica e linguistica.
Il nostro Paese, infatti, ha colto l’appuntamento con l’unità nazionale così come quello con la modernità, anche grazie se non soprattutto, ai legami, ai flussi culturali e ai rapporti sociali resi possibili dalla televisione e dal sistema della comunicazione.
Se, dagli anni ’50 agli anni ’80, la televisione fu un agente di unificazione linguistica e culturale, di aggregazione sociale e familiare, di rinnovamento dei costumi, oggi l’aggiornamento delle reti di comunicazione, la banda larga, l’estensione dell’alfabetizzazione digitale sono essenziali per valorizzare la creatività, il bagaglio storico-culturale e il dinamismo economico e sociale del Paese. Non si tratta più, oggi, di saldare gli italiani in un linguaggio condiviso e in un’identità collettiva, come ebbe il merito di fare la televisione, ma di mobilitare le energie, i saperi, i valori e gli slanci verso quel movimento di creatività diffusa – capillare – rappresentato dalle culture elettroniche.
La cultura contemporanea, così come l’economia e la politica, sono sempre più incentrate sulle dinamiche di dialogo, scambio, reciprocità, su quell’opera microscopica eppure gigantesca costituita dalle tante relazioni ingenerate dall’incontro nei social network, dalla circolazione dei saperi, dalla partecipazione nei processi culturali in prima persona e tramite le comunità. Va quindi valorizzata la tendenza della società e della socialità contemporanea verso la “partecipazione” alla cosa pubblica, integrando tale spinta nella cornice istituzionale e nel solco della nostra tradizione culturale. Più riusciremo a far nostra la cultura elettronica e a stabilire una continuità tra la piazza in quanto spazio materiale, il palazzo nel senso delle istituzioni e la “piazza elettronica”, tanto più favoriremo forme di sintonia fra cittadini e istituzioni contrastando distacco e sfiducia nei confronti della politica e delle sue diverse articolazioni istituzionali; così come riaccorceremo le distanze tra le generazioni “elettroniche” e quelle disconnesse dalle reti.
Gli scambi e, più in generale, “l’one to one” hanno reso possibile comunicazioni elettroniche superando ogni categoria di spazio e tempo, hanno favorito la circolazione e la diffusione di sensibilità che hanno fatto nascere in pochi anni mondi come Wikipedia, Facebook, Myspace, Second Life, sino ad arrivare, per certi versi, seppur con caratteristiche molto peculiari, a Wikileaks.
“Abitare” le reti, significa soddisfare il desiderio di partecipare e di rinnovare la sfera pubblica non solo come utenti passivi ma come soggetti attivi della creatività, dando così vita a nuovi spazi pubblici che possono convivere e rinnovare quelli già esistenti. Penso, ad esempio, al modo in cui città all’avanguardia come Amsterdam, Philadelphia, Toronto o Montréal stanno investendo sulla realizzazione del proprio “comune elettronico” (o virtuale che dir si voglia) per aggiornare e rendere più adeguati i propri modelli urbani, istituzionali e commerciali. Il ritmo con cui si va intensificando il rapporto tra democrazia e tecnologia della comunicazione è esponenziale: in pochi anni dal ruolo rivoluzionario che ebbero le Radio e le Televisioni nell’89 per la caduta del Muro di Berlino siamo giunti oggi all’effetto dirompente dei nuovi media digitali nel suscitare e sostenere il movimento libertario che ha investito tanta parte del mondo arabo i cui approdi sono ancora tutti aperti.
Ma vorrei dire qualcosa di più: considero insufficiente la lettura secondo cui i media elettronici, Internet, Facebook o Twitter o quant’altro, siano “semplici” armi di questo ardente desiderio di libertà e democrazia.
Penso infatti che prima di essere essenziali strumenti di mobilitazione, i nuovi media sono il “terreno di coltura” su cui è potuto fiorire il movimento di libertà. Voglio dire cioè che senza la connessione tra i cittadini dello stesso Paese e quella con il resto del villaggio globale, non sarebbe stato non dico fattibile ma neanche pensabile che in quei Paesi, si sarebbero potuti rovesciare i regimi che dominavano fino a qualche settimana fa. I media elettronici, superando le barriere “materiali e fisiche” della censura e del controllo, sia pur tra mille difficoltà, hanno consentito lo scambio e la circolazione di aspettative e di desideri che una volta condivisi, perché connessi, hanno avuto la forza di scendere in piazza. Più in generale allargando lo sguardo alle gerarchie e ai mutamenti che stanno intervenendo nel nuovo ordine geopolitico internazionale fa riflettere, come nota Carlo Formenti nel Corriere della Sera di domenica 6 marzo, il fatto che la 47esima Munich Security Conference (appuntamento annuale in cui i decision-maker di tutto il pianeta discutono di sicurezza internazionale) abbia dedicato per la prima volta una sezione speciale alle sfide della Rete. Scrive l’International Herald Tribune: nessuna delle grandi potenze, America e Cina incluse, sembra oggi in grado di controllare un “luogo” che, non essendo fatto di terra, acqua o aria, bensì di relazioni tra esseri umani ha proprietà largamente imprevedibili, se non del tutto ingovernabili. L’America è convinta di essere la potenza che più di ogni altra ha le possibilità di utilizzare la Rete come arma vincente; anche da ciò le pressioni americane per indurre la Cina a rinunciare alla sua politica di controllo su Internet. Insomma c’è da chiedersi se la cyberguerra fredda può considerarsi già iniziata.
Quest’anno cade il Centenario della nascita di Herbert Marshall McLuhan, colui il quale per primo intravide le potenzialità della comunicazione in direzione della costituzione di un villaggio globale. Ecco cosa scrisse profeticamente nel 1962, prima ancora non solo di Internet, ma anche della televisione a colori: “Tutto il conservatorismo del mondo non può opporre neanche una resistenza simbolica all’assalto ecologico dei nuovi media elettronici”.
Il nostro compito è allora quello di accompagnare questo “assalto” riducendone i traumi e accogliendone le virtù, di coordinare quindi il dinamismo culturale, il fermento sociale, la creatività diffusa verso un’ulteriore modernizzazione del nostro Paese.
Mi sembra questo il modo per garantire all’Italia non solo un ruolo strategico e virtuoso nell’ambito della comunità europea e di tutta la società globale, ma anche di ribadire i valori su cui si fonda la nostra democrazia.
Enrico Manca
Presidente della Fondazione Ugo Bordoni