Sul sistema della comunicazione italiano, e in un’ultima analisi della nostra democrazia, si è aperta, in coincidenza con il voto politico, una complessa “partita” di potere, con l’accordo tra Sky e Mediaset a fare da spartiacque, da alcuni interpretata come una nuova fase di stabilizzazione rispetto alla competizione esasperata del passato (Paolo Bricco su Il Sole 24 Ore del 31 marzo, “La doppia stabilizzazione”).
Continuiamo ad analizzare quanto sta accadendo, senza dimenticare la storia recente del sistema nazionale e il suo assetto, nei quali risiedono le cause di quanto accade e accadrà.
Accordo Sky-Mediaset: l’Antitrust chiederà informazioni, per ora. Non sappiamo su cosa potrà intervenire, perché non è annunciata alcuna fusione tra Sky e Premium, né una condivisione dei clienti delle due pay tv. La bussola dev’essere quella delle garanzie da dare agli utenti, in termini di prezzi, disdette, trasparenza dei contratti (non a 28 giorni, please…), possibilità di scelta, ampliamento delle fruizione di titoli e prodotti e non una loro riduzione forzata.
Va fatta chiarezza: sul digitale terrestre resteranno due piattaforme separate: Premium, con all’interno due canali “vetrina” di Sky; e la nuova pay low cost di Sky, composta da quattro canali di Sky e dai nove di Mediaset Premium – che saranno disponibili agli abbonati di Sky anche sulla piattaforma satellitare – più due canali opzionali di sport .
A livello di sistema, quindi, Premium rimane attiva, per ora, ma ridimensionata: cede i suoi canali di cinema e di tv alla piattaforma satellitare e partecipa con tali canali al lancio della mini-pay terrestre di Sky. Mediaset conferma la politica annunciata nella sua ultima convention di Montecarlo: il gruppo torna a investire nella tv in chiaro per tutti. Lancia così un nuovo canale nazionale, al numero 20 del telecomando, acquistato da ReteCapri (ma si può acquistare un numero di LCN?) e lo inaugura con Juventus-Real Madrid, che doveva essere un punto di forza di Premium. Acquista i Mondiali di Calcio e punta a strappare la Coppa Italia alla Rai. Obiettivo collaterale: ridurre la pubblicità sul servizio pubblico. Meglio:su Rai1. Obiettivo per il quale ha presentato due esposti all’Agcom e ha già ottenuto la “testa” dell’amministratore delegato di Rai Pubblicità, Fabrizio Piscopo, che con la sua politica di sconti sovradimensionati ha colpito gli altri mezzi e le altre tv non meno di Publitalia.
Sky diventa l’unica pay tv nazionale multipiattaforma – e qui si innesta la necessità di incrementare il suo investimento nell’industria audiovisiva nazionale. Con l’acquisto di capacità trasmissiva sul digitale terrestre da Mediaset, che ne utilizza più del 40% a livello nazionale, impedisce la perdita di valore per EITowers, la società che gestisce torri e impianti controllata dal gruppo che fa capo a Fininvest. E permette così di mantenere ancora aperta la strada per la creazione eventuale di un operatore unico nazionale delle torri di trasmissioni (che per i governi uscenti,e vista l’aria che tira anche per quelli entranti, dovrà avere una maggioranza pubblica).
Il sistema della pay tv tende a consolidarsi attorno a Sky, dopo che la fase di forte conflittualità (chi si ricorda la battaglia del “decoder unico”?) ha provocato danni e perdite. Poco meno di un miliardo di euro le perdite di Premium dal suo lancio a carico di Mediaset e dei suoi soci. Anche la Rai ha avuto i suoi danni: nel 2009 i suoi vertici decisero di non rinnovare l’accordo Sky-RaiSat che avrebbe portato 60 milioni l’anno (dieci di pubblicità) per sette anni nelle casse di Viale Mazzini. Per danneggiare Sky nella fase di forte conflittualità, ora conclusa. In quell’anno partì Tivùsat, non casualmente.
L’accordo Mediaset-Sky piomba come un macigno nella trattativa per l’acquisto dei diritti sul calcio di serie A per il prossimo triennio (per il quale Sky ha già tutte le coppe europee di calcio), spiazzando gli spagnoli di MediaPro, che cercano una sponda in TIM, quindi in Vivendi. Ma, soprattutto, l’accordo rappresenta una mossa di Silvio Berlusconi nello scacchiere dove avviene lo scontro per il controllo di TIM e lo scorporo della sue rete e dove Vincent Bollorè e la sua Vivendi devono decidere cosa fare delle due partecipazioni in TIM e in Mediaset e cosa fare in Italia. Lo scontro Vivendi-Mediaset dopo l’accordo per lo scambio azionario tra i due gruppi è nato proprio su Premium, quando i francesi (ma possibile che non siano riusciti, prima di firmare l’accordo, a valutare le perdite della pay terrestre di Berlusconi e il valore reale di Premium?) rinunciarono ad acquisirne il 100% del capitale. A Roma si dice: e te credo….Un accordo arbitrale tra Mediaset e Vivendi, a questo punto, non è assolutamente da escludere, anche se il precedente arbitrato è fallito, perchè i “tempi stanno cambiando”.
La rete di Telecom e Mediaset sono oggetto delle trattative per il nuovo governo e Cassa depositi e prestiti è già entrata in TIM. Prima si è privatizzata Telecom sulle spalle di chi ne ha comprato le azioni, adesso la si vuole far tornare pubblica con i soldi dei risparmiatori postali, quelli della Cassa Depositi…Le nazionalizzazioni di ritorno sono all’ordine del giorno, Alitalia e Telecom inclusi. Il governo, come sappiamo, sarà anche il dominus del nuovo vertice della Rai, che dovrebbe essere nominato entro l’estate, salvo rinvii. Attenzione: i contenuti della Rai sono fondamentali per affermarsi in un mercato della comunicazione dove la competizione avviene sempre più anche sullo streaming on line.
Rai e Mediaset, poi, saranno coinvolti, da qui al 2022, nel processo di spostamento delle trasmissioni televisive dalla banda 700 per far posto, su quelle frequenze, alla banda larga mobile: qui l’accordo Sky-Mediaset, con la creazione di una pay tv terrestre di Sky sui multiplex di EI Towers, potrebbe produrre qualche problema aggiuntivo. Finora sono state le imprese, dal fondo Elliot a Sky e Mediaset, a prendere l’iniziativa per modificare i rapporti di forza nell’industria della comunicazione. Ora tocca alla politica, alle Authority e al pubblico. Non necessariamente in quest’ordine, anche se alcune scelte sono ineludibili. A cominciare da una riforma del sistema che comprenda una rifondazione del servizio pubblico adeguata all’era del digitale e della Rete.