La terza parte del lavoro di Antonio Nicita#dueanni’ riguarda il pluralismo e i media: tema che in Italia – e non solo – patisce l’equivoco dell’equivalenza tra pluralismo e molteplicità delle voci. Perché non è affatto detto che una molteplicità di media garantisca il pluralismo, mentre è assolutamente vero il contrario, cioè che la mancanza di molteplicità di media impedisce il pluralismo.

Possono benissimo esserci molte testate e rispecchiare tutte la stessa opinione. So che tutti state pensando ai conflitti d’interesse televisivi e alle convergenze talora singolari, nelle scelte degli argomenti e nei titoli, fra le maggiori testate dei media tradizionali. Io vi propongo, invece, una riflessione sulle agenzie di stampa, che sono una vera e radicata anomalia italiana – e di cui ho qualche esperienza –.

Paesi la cui libertà di stampa e d’espressione non è in discussione, come gli Stati Uniti o, in Europa, la Gran Bretagna, la Francia, la Germania, la Spagna – quelli cioè confrontabili con l’Italia – hanno un numero di agenzie di stampa nettamente inferiore al nostro: quasi tutti ne hanno una sola generalista e una economica.

L’Italia ne ha una selva: ancora l’anno scorso, se ne contavano una dozzina, a giustificare e valorizzare la cui esistenza si citava spesso la salvaguardia del pluralismo. Il che, forse, aveva un senso nella Prima Repubblica, almeno fino agli Anni Ottanta, quando, accanto all’ANSA, la maggiore, una cooperativa di editori, e all’Agi, una creatura di Enrico Mattei rimasta all’Eni, c’erano agenzie espressione di parti politiche o portatrici d’interessi.

Oggi, non è più così: il prodotto delle varie agenzie si sovrappone in percentuale altissima, stesse notizie, stesse parole, stessa fonte, un comunicato, una dichiarazione, un tweet. C’è chi ne dà di più  – l’ANSA – e chi ne dà di meno; c’è chi le dà prima e chi dopo; c’è chi ne dà una meglio della concorrenza. Ma, alla fine della giornata, l’originalità dell’informazione – e, quindi, il contributo al pluralismo – sono residui.

Non essendo la domanda d’agenzie confrontabile con l’offerta, la maggior parte si reggeva sui contratti con l’Amministrazione pubblica, gestiti da Palazzo Chigi. Che ha ora adottato criteri di finanziamento nuovi e ha favorito una concentrazione delle testate: un dato senz’altro positivo. Peccato che i criteri siano essenzialmente quantitativi e non qualitativi (e neppure premino la differenziazione né incentivino il pluralismo): numero di giornalisti, numero di take prodotti – manco di titoli –, con un’attenzione a mio avviso non adeguata alla qualità dell’informazione.

L’Italia continua ad avere molte più agenzie di stampa degli altri Paesi, troppe, se a tenerle su sono fondi pubblici. E assiste senza apparentemente farsene cruccio al deterioramento del prodotto anche delle valide. Invece di utilizzare le risorse per esaltare la qualità, che è di per sé garanzia di pluralismo

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Giampiero Gramaglia
Giornalista, collabora con vari media (periodici, quotidiani, siti, radio, tv), dopo avere lavorato per trent'anni all'ANSA, di cui è stato direttore dal 2006 al 2009. Dirige i corsi e le testate della scuola di giornalismo di Urbino e tiene corsi di giornalismo alla Sapienza.