C’è attesa per l’inizio della sesta stagione di Black Mirror.

Luca e Alessandro la guardano quasi in contemporanea: una donna ritrova quasi se stessa nella serie tv che sta guardando di sera a casa, le scene riproducendo sue azioni e conversazioni del mattino e del pomeriggio. Quasi, perché un’attrice veste i suoi panni e c’è un contratto secondo cui una persona comune consente il trattamento narrativo della propria vita a favore pubblico. Infatti la realtà vissuta si ripresenta a schermo in lieve differita, in forma romanzata, a mezzo interprete.

Poiché Alessandro e Luca sono tantissimi anni che speculano su simili questioni, si scrivono con soddisfazione: “Black Mirror ha manifestato, finalmente, le nostre idee di Big Data Novel e Iperopera”.

Morcellini, Costanzo, Greenaway, lo stesso de Kerckhove sono soltanto alcuni dei confidenti di quanto dal 2001 é teoria dei “vissuti narrativi reali”, o iperopera, un format che in modo definitivo avrebbe corrisposto 1:1 la vita reale alle sue molte rappresentazioni. Però nel 2001 non c’erano i social e molto altro e anzitutto non era chiaro come potesse funzionare. La teoria della Big Data Novel, sviluppata in autonomia, ha suggerito così che il grande “romanzo” generato ogni istante dalle informazioni tracciate in digitale tende a creare iperopere, la novellizzazione dei dati personali.

La relazione 1:1 tra vissuto quotidiano e rappresentazioni potrà essere arricchita in modo diretto – abbiamo ragionato poi insieme – grazie a un “pantografo degli accadimenti” (algoritmo o elaborazione AI), ma occorre che, per essere trattato e poi ripresentato, il tale gesto quotidiano sia codificato, e ciò avviene nella misura in cui ogni gesto è oggi sempre più un dato, come in Black Mirror, che ripresenta in video, pantografati da una AI, i gesti quotidiani della protagonista.

Per trasferire simili dati alla narrazione per terzi serve che essi siano novellizzati (teoria della Big Data Novel): per darvi una forma narrativa essi dovranno essere prelevati da un estremo del pantografo (vissuto reale), semplificabile in un’app, e trasmessi all’estremo opposto (le rappresentazioni), ma anche viceversa. Nel suo lavoro “mitologico”, il pantografo renderà il gesto-dato quotidiano (comprare un oggetto, fruire di un servizio, compiere una scelta, ecc.) anche e simultaneamente altra narrazione, vissuti narrativi reali.

L’insieme dei gesti datizzati realizzerà dunque narrazioni di nuova specie, format inediti, definitivamente a scavalco tra reale e rappresentazioni (digitale, virtuale, ecc.). La donna che in Black Mirror ritrova il dato del proprio vissuto novellizzato 1:1 in una serie tv fruisce in leggera differita, insieme a potenziali milioni di altre persone comuni, il romanzo della propria vita “pantografata” da una AI. Gli effetti tornano nella vita reale e di nuovo alle sue rappresentazioni, nel disegno infinito di un nastro di Moebius, dove le facce sembrano due, ma ne è una soltanto, segno distintivo di ogni futura iperopera.

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