Questi grandi balzi di visualizzazioni che si registrano in Rete con il lancio di nuovi spot pubblicitari per alcune aziende non creano valore come i mezzi tradizionali dove si ha la certezza che lo spot è stato visto ed è visto più volte. Ripetitività del messaggio fondamentale?
Un primo aspetto che distingue la comunicazione sul web da quella sui media tradizionali è la non ripetitività del messaggio. Attualmente vediamo le prime sperimentazioni, proprio perché finora il messaggio pubblicitario sulla Rete in realtà lo vedevamo una volta e poi spariva. Troppo poco per essere memorizzato dal consumatore e per ottenere effetti nelle vendite paragonabili a quelli che si ottengono con messaggi pubblicitari sui media tradizionali.
Ad esempio se mi collego a YouTube per vedere un video che mi interessa quest’ultimo mi costringe a guardare uno spot pubblicitario, ma se poi continuo a rimanere sulla piattaforma quello spot non lo vedo più. Mentre invece in Tv l’audiovisivo funziona molto bene perché nell’arco di un film ho la possibilità di rivedere il messaggio pubblicitario più volte e quindi di conseguenza il messaggio, il brand e il prodotto si fissano nella mente del consumatore.
Il secondo tassello fondamentale è la differente modalità con cui l’utente si approccia e accetta la pubblicità. Davanti alla TV siamo più passivi, più facilmente l’accettiamo il messaggio pubblicitario, mentre quando navighiamo sul web siamo interessati a cercare e conoscere qualcosa, quindi siamo dei soggetti attivi ed essere costretti a vedere il messaggio pubblicitario è una forzatura nei confronti dell’individuo che spesso attira quei meccanismi di percezione, selezione e memorizzazione selettiva che già si conoscono in ambito pubblicitario e che bloccano l’accettazione e la memorizzazione del messaggio. Dunque manca la ripetizione e abbiamo un soggetto attivo che, se infastidito, potrebbe attivare quei processi che bloccano qualunque possibilità di seduzione del consumatore. Questo ha fatto pensare che la pubblicità sulla Rete non funziona.
In realtà c’è un altro aspetto che bisogna considerare. Se il messaggio gratifica, è piacevole e lega indissolubilmente linguaggio, prodotto e brand allora anche nella Rete funziona. Ad esempio nel caso di Ceres ci sono degli instant message pubblicitari dove, prendendo spunto dall’attualità, si prende una notizia, la si trasforma in un messaggio pubblicitario e ad essa si aggancia il brand e il nome del prodotto. In quel caso il messaggio divertente, piacevole, gratificante per l’utente si lega indissolubilmente con il nome del prodotto. Quindi per poter funzionare un messaggio pubblicitario in rete, il messaggio non deve scindere il messaggio gratificante per l’utente con il brand e il prodotto.
Agganciare lo spot all’ID dell’utente. Possibile soluzione?
Sì, un’altra soluzione è stata trovata con la tecnologia informatica, con i processi di ingegnerizzazione del marketing in Rete: con le cosiddette marketing automation. Sono delle tecniche con cui si aggancia l’individuo interessato ad un determinato argomento o a un prodotto su un e-commerce, e a quel punto il messaggio pubblicitario, la proposta scontata di quel prodotto, lo insegue ovunque. L’individuo si troverà questo messaggio su siti anche diversi da quello in cui è stato agganciato.
Esempio: vado su Amazon vedo una borsa che mi piace, arrivo quasi a finalizzare l’acquisto ma non lo faccio ed esco dal sistema. Il sistema riconosce l’ID identificativo del mio PC e se dopo due giorni rivado su internet – e quel prodotto ha attivato una marketing automation – in qualsiasi sito che visiterò vedrò quella borsa. Anzi normalmente con la marketing automation i prodotti si visualizzano sempre con un prezzo scontato rispetto a quello che avevamo visto sul sito inizialmente. Il tormentone che si attiva nei confronti dell’utente rende la pubblicità in rete: ineludibile e ripetitiva, riproducendo dunque lo schema fondamentale della comunicazione pubblicitaria classica.