I dati del Fondo monetario internazionale riportano per l’Italia, per il 2013, un Prodotto Interno Lordo (PIL) pari a 1.805 miliardi di dollari, stimato 1.848 miliardi di dollari per il 2014 e con proiezione a 1.905 miliardi di dollari per il 2015. Nell’Area Euro i tre numeri sono, rispettivamente, 11.354, 11.650 e 12.049 miliardi di dollari e, per gli USA, 16.724, 17.437 e 18.390 miliardi di dollari. Il dato relativo alla disoccupazione, sempre con riferimento al periodo 2013-2014: per l’Italia poco superiore al 12% (12,05%-12,04%), leggermente inferiore a quello dell’Area Euro (12,3%-12,22%), nettamente superiore a quello degli USA (7,6%-7,36%). L’Italia è prima al mondo nel tessile, nell’abbigliamento, nei prodotti in cuoio e nell’occhialeria, seconda nell’automazione-meccanica, nei manufatti di base e nei manufatti diversi. Occupa buona posizione negli alimentari trasformati. Il settore automobilistico italiano conserva primati nella fascia sportiva. Altri comparti di rilievo per l’Italia riguardano gli acciai speciali e ad alto contenuto high tech, i codici a barre per l’ICT, la chimica di specialità e la farmaceutica di qualità, la costruzione di navi da crociera e la tecnologia per l’aerospazio e la difesa.
Nella formazione terziaria (i.e., principalmente, Fondo Funzionamento Ordinario (FFO) Università), l’investimento dell’Italia è stato, nel 2013, pari a circa 7 miliardi di euro, pari a 9,65 miliardi di dollari, dunque circa 0,53% del PIL italiano. Di questa cifra, oltre l’80%, ossia 5,6 miliardi di euro, è stimato il costo medio delle strutture universitarie italiane “a uomo fermo”. La popolazione italiana, nel 2012, è pari a 59.394.207 abitanti (dati ISTAT 1 gennaio 2012). Gli studenti iscritti, in Italia, nell’anno accademico 2011-2012 sono stati 1.751.192, i laureati 298.872 e i docenti 91.652 (fonte: 47esimo Rapporto sulla situazione sociale del Paese del CENSIS, 2013, su dati MIUR).
Dai dati sopra riportati si deduce (a inizio 2014) che:
• in Italia, si iscrive all’Università circa il 2,94% degli abitanti (ossia meno del 3%)
• degli iscritti, si laurea (i.e. termina positivamente il ciclo di formazione terziaria) il 17.01% (ossia meno del 20%)
• il rapporto del numero di studenti iscritti rispetto al numero di docenti è pari a poco più di 19 (19,1)
• il rapporto del numero di laureati rispetto al numero di docenti è pari a poco più di 3 (3,2)
• ove si consideri che ogni docente riceva mediamente “in ingresso” 19 (19,1) studenti da formare e solo 3 (3,2) di essi “escano laureati”, il rendimento formativo terziario medio per docente è pari, in Italia, al 16,75% (ossia inferiore al 20%).
D’altro lato, i risultati della Survey of Adult Skills diffusi nell’ottobre 2013 dall’OCSE per quello che riguarda la padronanza della lingua madre (literacy) e la competenza matematica funzionale (numeracy) non sono confortanti per l’Italia, classificata nelle ultime posizioni tra i 23 Paesi oggetto dell’indagine PIAAC (Programme for the International Assessment of Adult Competencies). Il 70% degli adulti italiani non è in grado di comprendere adeguatamente testi lunghi e complessi al fine di estrarne ed elaborare le informazioni richieste, contro il 49% della media dei Paesi partecipanti. Una quota analoga degli italiani adulti non è in grado di completare compiti basati sull’elaborazione di informazioni matematiche estrapolabili da contesti verbali o grafici (52% nella media dei Paesi partecipanti), come riportato dall’intervento del Governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco al X Forum del Libro Passaparola “Investire in conoscenza, cambiare il futuro” il 19 ottobre 2013. Il 47mo Rapporto Censis 2013 sulla situazione sociale del Paese riprende e puntualizza quanto riportato da Ignazio Visco, indicando (p. 101) come “il confronto OCSE evidenzia anche come il maggiore distacco tra il nostro Paese e gli altri che hanno partecipato all’indagine PIAAC, si riscontri proprio tra i laureati, con una differenza negativa di 16 punti nei punteggi ottenuti sia in literacy sia in numeracy”.
La diagnosi è dunque che i laureati italiani sono, con riferimento al contesto internazionale OCSE, pochi e formati in modo quantomeno non equilibrato. Nel loro processo formativo, viene privilegiata, ormai da tempo, la componente di istruzione rispetto a quella di educazione, tipicamente esercitata da antichi maestri, oggi rarissimi. Coloro che completano il percorso universitario a livello di laurea magistrale, si presentano al mondo esterno (imprese, professioni), con competenze, ma sono raramente dotati di capacità. Resta dunque in capo, come tempo e come costi, al comparto economico e produttivo nazionale il problema di colmare tale divario fra competenze e capacità, internazionalmente denominato capacity building. Per fare un esempio concreto, nel settore dell’ingegneria, le scuole politecniche sfornano ingegneri con competenze nel settore della ricerca di metodi di progettazione di un impianto, ma tipicamente del tutto ignari dei metodi stessi, della progettazione, della costruzione e dell’esercizio dell’impianto stesso. Altra osservazione importante è che la frazione minoritaria, che pure esiste, di laureati adeguatamente formata in senso completo, non è corrispondente, come contenuti di merito, ai segmenti economici del mondo produttivo italiano, ed è invece funzionale alle economie di altri Paesi del mondo. Infatti i laureati italiani migliori in quei Paesi operano e da essi sono molto ricercati.
Tutto ciò accade perché l’Accademia italiana continua a essere nei fatti, a dispetto di ripetuti annunci, sostanzialmente autoreferenziale, ancora di più con un sistema di valutazione esercitato dall’ANVUR, istituzione fatta da professori o ex-professori, e mentre la CRUI, all’unanimità dei Rettori, vota una mozione, il 20 marzo 2014, indirizzata Ministro dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca, che richiede risorse e incremento di numero di docenti senza preoccuparsi di fare almeno cenno al decisore politico del perché ciò debba essere utile all’Italia.
Non è utile fare diagnosi senza indicare terapie. La terapia possibile, nel caso in oggetto, consiste nell’affidare la valutazione del sistema della formazione terziaria, affinché ciò possa sortire qualche effetto, ai soggetti fruitori del prodotto o del servizio (il mondo delle imprese, delle professioni, il “mercato” in senso lato): insomma, agli utenti, ponendo al centro di tutto i soggetti che esprimono la domanda formativa e non quelli che sono deputati a presentare l’offerta. Inoltre, il sistema di formazione terziaria italiano, come precedentemente rappresentato ha un rendimento assai basso (minore del 20%, e il rapporto benefici/costi è tutto da valutare. Pertanto, l’Università italiana nel suo complesso dovrebbe essere chiamata a provvedere rapidamente un’opportuna due diligence svolta da un’istituzione internazionale di valore e con carattere di terzietà (per quanto possibile sia). Last but not least, va tenuto conto che, osservando il mondo della sanità, il Servizio Sanitario Nazionale (SSN) italiano costa 103,7 miliardi di euro all’anno, e soltanto agendo su poche voci molto semplici (quali l’eccesso di prescrizioni farmaceutiche, e piccole correzioni organizzative su base locale), senza creare sconvolgimenti strutturali o funzionali, si potrebbero risparmiare, all’anno, circa 5-6 miliardi di euro, ovvero quasi quanto l’intero costo dell’FFO universitario, 7 miliardi di euro, sopra richiamato, operazione facilmente attuabile attraverso un veloce concerto fra i decisori politici di competenza dei due diversi domini indicati.
Francesco Beltrame