Roma. La nostra scuola è caratterizzata da dinamiche ricche di sfumature, spesso diverse e addirittura in contraddizione. Una realtà formativa quindi davvero complessa, che si riflette tutta sul grado di evoluzione tecnologica. Anch’essa, inevitabilmente, destinata a svilupparsi a macchia di leopardo.
In attesa che il Miur definisca la nuova “rosa” dei Direttori generali, abbiamo parlato di queste dinamiche, ed in particolare dei progetti di applicazione dell’e-government sulla nostra scuola, con uno dei massimi esperti operanti nell’ambito delle istituzioni: è Giovanni Biondi, Direttore generale dell’ex Indire, l’Agenzia nazionale per lo sviluppo dell’autonomia scolastica, l’ente nato nel lontano 1925 sulla scia della didattica come esperienza attiva introdotta da Giuseppe Lombardo Radice. Oggi Biondi è tra i primi decisori che incidono sull’informatizzazione del comparto con più dipendenti ed utenti della PA: i progetti si chiamano Scuola in rete, Didattica digitale, Servizi scuola-famiglia via Web, Anagrafe scolastica nazionale e Compagno di classe. In base alle prime stime richiederanno oltre 240 milioni di euro.
Direttore Biondi, in merito ai processi di e-government la scuola è inserita nell’obiettivo 1 e figura tra le priorità del Governo. Può preannunciare a Media Duemila le dinamiche immediate che si rifletteranno sulla didattica e sui rapporti scuola-famiglia?
Ci sono diversi progetti in corso. Alcuni piuttosto avanzati. Il primo è la distribuzione nelle scuole delle “lavagne interattive multimediali”: si tratta di superfici interattive collegate ad un computer che, anche attraverso un proiettore integrato e un campione di contenuti didattici digitali, consentono di portare nella didattica di tutti i giorni i linguaggi digitali. In questo modo gli stessi linguaggi moderni che i ragazzi parlano fuori dalla scuola iniziano a far parte delle lezioni scolastiche. Questo avviene anche perché tutto quel che viene svolto con la “lavagna” si può poi memorizzare, salvare su server e poi essere riaperto da casa. È un vero e proprio passepartout per aprire alle tecnologie la porta della classe. Per settembre speriamo di poterne consegnare oltre 12mila. Già questo strumento potrebbe cambiare non poco il modo di insegnare.
Ma i docenti sono in grado di gestire queste speciali lavagne multimediali?
Stiamo predisponendo la formazione di ben 41mila insegnanti: alcuni sono già informatizzati ma molti non conoscono ancora questo tipo di strumenti. Ed è importante che provvedano al più presto a superare questo gap: ci interessa che tutti i docenti siano messi in grado di trasformare la loro didattica. Ciò consiste in una parte di incontri in presenza, immersivi, fatti all’inizio dell’anno scolastico, cui faranno seguiranno degli incontri, una volta al mese, durante l’anno scolastico. C’è poi la parte digitale interattiva con la comunità di pratiche e di contenuti digitali.
Insomma un progetto in cui il Ministero crede davvero: ma perché si è puntato solo sulle scuole medie inferiori?
Sinora è andata così, ma le annuncio che entro la fine dell’anno in corso il bando verrà aperto anche per la scuola primaria e per la secondaria superiore. Quante lavagne prevediamo? Non è facile stabilirlo già da ora. Per il momento alle scuole medie ne sono state assegnate in media più di una per ogni istituto, perché in Italia vi sono 5.142 scuole medie inferiori, mentre noi entro settembre ne distribuiremo 12-13mila. Certo ve ne è qualche istituto che ne ha avute tre, ma quasi il 25% non ha fatto alcuna richiesta. Evidentemente il bando, avviato sotto il periodo natalizio, non è stato raccolto da tutti.
Questo per quanto riguarda l’informatizzazione. Ma per elevare invece le eccellenze di settore?
Con l’avvio di un bando per creare in Italia 100 classi per il futuro stiamo pensando anche all’alto profilo: l’obiettivo è dotare le migliori classi di un forte investimento tecnologico. Attraverso la messa a disposizione di tutti gli studenti di un personal computer portatile, di iPod, dell’accesso alla lavagna digitale e di tutti gli altri strumenti tecnologici necessari si vuole provare a verificare come un impatto così alto della tecnologia possa trasformare l’ambiente di apprendimento. Ovviamente ad essere coinvolte saranno le scuole già impegnate in progetti tecnologici di una certa portata. Lasciando fuori il personale non ancora informatizzato o non motivato.
Tra le ipotesi emerse durante gli incontri-dibattiti organizzati di recente da Media Duemila sui “Nati Digitali” ha riscosso consensi una proposta: quella di dotare tutte le classi primarie italiane di un PC. Che ne pensa?
L’idea di per sé è positiva, ma il problema non è questo. Il limite della scuola risiede piuttosto nell’ancora basso coinvolgimento delle risorse umane all’interno delle classi. Non lo diciamo solo noi. Anche negli Stati Uniti una commissione bipartisan del precedente Governo ad un certo punto tirò fuori una massima di questo genere: prima della tecnologia serve la capacità per governarla. Da noi poi la situazione è resa ancora più complicata dall’alta età media dei docenti. E il futuro non si preannuncia molto meglio: anche l’età media del precariato è piuttosto avanzata.
Questo per la didattica. Sul fronte del rapporto scuola-famiglia invece le cose vanno meglio? Tra quanto tempo i genitori cominceranno a fruire dei processi tecnologici applicati alla scuola?
Per quanto riguarda i progetti scuola-famiglia se ne sta occupando da vicino il Dipartimento d’innovazione tecnologica (Dit) e stiamo proprio in questo periodo passando alla fase operativa per verificarne la realizzazione. La fattibilità, invece, c’è già stata. Anzi, a tal proposito esistono più soluzioni: una è quella di assegnare dei fondi alle scuole per farle rendere totalmente autonome nel ricercare le soluzioni interattive migliori presenti sul mercato. Un’altra è quella di proporre noi (come Miur, ndr) soluzioni gratuite on line di cui le singole scuole possano fruire attraverso i rispettivi server. Ma è anche vero che alcuni istituti non ne sono ancora dotati. Esistono quindi diverse possibilità che stiamo valutando assieme al Dit.
Quanto incide il ridotto grado di alfabetizzazione delle famiglie italiane rispetto a quelle europee (in media il 17% contro il 32%) nel basso livello di multimedialità applicata al mondo dell’istruzione?
Direi molto. Come potrebbe giocare a favore? Anche perché nell’immaginario collettivo il computer è considerato un avversario della scuola: basti pensare che dalle famiglie è interpretato prevalentemente come uno strumento che serve per i videogiochi, a chattare e a far perdere tempo ai ragazzi. Dal punto di vista dei genitori, vittime di questo pregiudizio, può essere anche una posizione fondata. Il risultato è che non si può pretendere di avere un aiuto da loro. E allo stesso modo, come per i giovani il computer è un amico, per molti insegnanti è ancora un nemico. In generale si tratta di uno strumento che non è proprio ancora considerato un alleato della scuola.
Capitolo e-book: quali novità per la scuola, anche alla luce delle recenti “aperture” normative del ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini?
La norma introdotta di recente dal Miur è che nel 2011 le scuole dovranno adottare necessariamente libri digitali. Secondo me bisogna prima di tutto capire una cosa: che trasformare semplicemente la lettura da carta in digitale tramite l’e-book non cambia molto le cose. Il vero passaggio tecnologico si avrebbe, invece, passando dal manuale scolastico al libro di testo portando i contenuti digitali – quindi gli esercizi, le simulazioni, le dimostrazioni, i documenti storici, i filmati e tutto quello che produce oggi l’Ict – su una parte che è on line. Allora, solo in questo caso, il libro diventerebbe un testo di sole 100 pagine e rappresenterebbe la roadmap degli apprendimenti. Con tutto il resto che diventa vero valore aggiunto.
Uno scenario che rappresenterebbe il compimento, in ambiente didattico, della multimedialità applicata ai vantaggi dell’on line.
Esattamente. Le faccio un esempio: anziché mettere su carta una fotografia sbiadita di un’opera di Giotto, ecco che sul video potremmo farla diventare interattiva, con accanto l’immagine di un pittore contemporaneo per vederne le differenze oppure la dimostrazione animata della rotazione dei pianeti. E ciò è possibile perché ormai le tecnologie consentono di utilizzare il computer come un congegno che ti fa realizzare un’esperienza. È come imparare a pilotare un aereo su un manuale o un simulatore di volo: se il manuale si legge sulla carta o sull’e-book non cambia granché. Mentre tutt’altra cosa è entrare in una realtà che, seppure con il simulatore, ti permette di imparare facendo: quindi manipolando gli oggetti, fare propri documenti storici, anche originali di cento anni fa, che valgono più di tante lezioni puramente teoriche. È questo il passaggio da realizzare.
Ma secondo lei, che quotidianamente si scontra con i nodi legati allaformazione e all’aggiornamento del personale della scuola italiana, i nostri docenti sono pronti per raccogliere questa opportunità? A farla diventare strumento attivo per migliorare l’apprendimento dei loro studenti?
Partiamo da un assunto: non è che diffondendo la tecnologia a macchia d’olio si risolverà automaticamente il problema della modesta presenza di cultura digitale. Detto questo, bisogna anche ricordare che il ministero dell’Istruzione quando affronta una questione comune a tutte le scuole fa notevoli sforzi perché agisce sempre su grandissimi numeri: fare la formazione a 41mila docenti contemporaneamente su tutto il territorio nazionale non è una cosa banale. Le assicuro che è un impegno notevolissimo.
Come Indire abbiamo constatato che tra i neo-assunti vi è una parte di docenti che oggi inviano per la prima volta nella loro vita un’e-mail: certo, in questi casi noi li costringiamo a fare una “forzatura”. Di cui però con il tempo ci sono quasi sempre grati. All’inizio però può essere dura: molti insegnanti, anche se laureati e preparati, di fronte alla tecnologia hanno come un blocco psicologico. Perché? È il classico approccio di un individuo verso un qualcosa che apparentemente non lo riguarda.
Parliamo ora di Università: come procedono i progetti, anche questi inseriti nella strategia e-gov 2012, di digitalizzazione on line della didattica e dei servizi amministrativi degli atenei italiani?
Credo che nella situazione attuale se volessimo aumentare il numero di studenti laureati dovremmo eliminare i non frequentanti. Sono quelli che non vanno alle lezioni perché lavorano o sono lontani dall’Università, ma si vedono assegnare in vista di ogni esame una pila di libri senza aver mai visto in faccia il professore: un compito improbo che spesso li porta all’insuccesso, visto che lo studente è prima di tutto abbandonato a se stesso.
Ma i problemi dell’Università italiana sono tantissimi: perché mette in evidenza l’alto numero di fuori corso?
Perché è l’emblema di una carenza culturale. Che anche in questo caso prevale su quella materiale. Oggi, invece, per venire incontro a questi studenti basterebbe utilizzare le strutture e le tecnologie, già a disposizione, facendo delle classi virtuali, delle attività on line e del tutoring serio. Purtroppo però non lo fanno: anche gli stessi atenei telematici sono spesso emanatori di sole dispense elettroniche. In Tv, la notte, l’effetto diventa addirittura soporifero immediato: il modello, sempre mono-direzionale, si basa su dei contenuti trasmessi attraverso un media, la telecamera, che non è nata o sceneggiata per il media. In queste lezioni, con il docente che spesso nemmeno guarda nella telecamera, tutti i canoni di comunicazione vengono “uccisi”. Certo, ci sono anche parti on line ed interattive, ma in generale le attività svolte dalle cattedre non si avvalgono di queste possibilità.
Può fornirci qualche esempio virtuoso?
Subito. Se i docenti universitari iniziassero a dialogare in modo asincrono, attraverso dei forum, mettendo a disposizione delle Faq, si semplificherebbe di molto non solo la comunicazione: si darebbe modo anche ai tanti studenti sinora esclusi a partecipare attivamente all’Università. Tra i vari progetti che si stanno portando avanti quello amministrativo è invece sicuramente più agevole da realizzare. Quel che è difficile da cambiare sono i comportamenti.
Alessandro Giuliani